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Le scuole, non riaprirono il sette gennaio, come pronosticato: il Covid dilagava in tutto l'emisfero settentrionale. Ci saremmo dovuti sorbire ancora chissà quanti mesi di didattica a distanza. Nonostante me ne stessi molto bene nella mia cameretta e amassi il fatto di non dover più fare compiti in classe per paura di prendere un voto più basso di Luigi, una parte di me, anzi, una grossissima parte di me scalpitava per tornare a scuola. Il motivo era fin troppo semplice: Gaia. Se non avessero riaperto le scuole nel breve periodo, forse non ci saremmo mai visti. Ci scrivevamo ininterrottamente da ormai più di due settimane e avrei voluto cavalcare l'onda, cioè incontrarla, parlarci finalmente a quattr'occhi e, chissà, chiederle un appuntamento. Ma se quei maledetti non si fossero sbrigati, magari l'onda si sarebbe affievolita e avrei potuto salutare per sempre le mie potenziali passeggiate romantiche con lei al parco. In quel momento, purtroppo, poco potevo fare. Misi da parte Gaia nella mia testa, l'avrei ritirata fuori quando sarebbe stato il caso. Il mio cervello, liberato da quell'ingente pensiero amoroso, tornò a concentrarsi sulla mia carriera. In particolare, notò che non era stato molto saggio da parte mia aver inviato solo una candidatura, considerando poi che la probabilità di successo era estremamente bassa. Certo, c'era sempre il piano B del Politecnico al quale ero già stato ammesso, ma il mio desiderio di andare fuori dall'Italia e finalmente imparare bene l'inglese era molto grande. Mi misi quindi a cercare altre università a cui fare richiesta. Ricordandomi del sommo e potente Mark Zuckerberg, pensai che Harvard sarebbe stata una valida alternativa. Andai sul loro sito. Purtroppo, le candidature erano chiuse proprio il 7 gennaio.

<<Magari Stanford, allora!>> pensai, ambizioso.

Anche lì, chiuse la stessa data. Non poteva essere una coincidenza. Ci misi poco a realizzare che il sistema universitario americano era centralizzato, dunque la data di scadenza era la stessa per la maggior parte degli istituti. Quelli che facevano eccezione non mi interessavano. La mia era una logica del tipo "O tutto o niente". Non sarebbe valsa la pena andare negli Stati Uniti per frequentare un'università poco celebre. Dunque, fui costretto a cercare altrove. Sapendo parlare soltanto l'inglese oltre l'italiano, mi restava solo un'altra nazione nella quale andare a trafficare: l'Inghilterra. O Regno Unito, insomma, quella zona lì. Volendo c'era anche l'Australia, ma non aveva università con grandi nomi. D'altro canto, la regina Elisabetta vantava Oxford e Cambridge. Taglio corto: quelle due, purtroppo, avevano chiuso le porte a metà ottobre. Facendo ricerche accurate su quanto buone e selettive fossero le altre università inglesi, mi ritrovai a scrivere una richiesta di ammissione all'Imperial College London. Non del calibro del MIT o di Oxford, ma poco sotto. Ironia della sorte, accettava pure il Duolingo English Test con punteggio superiore a 115. Quel pappagallo mi stava salvando la vita. A differenza di quanto fatto in precedenza per il MIT, in cui il lavoro era diviso in una interminabile serie di domande a cui rispondere una a una, quella volta mi sarei dovuto cimentare nella scrittura di un unico lungo testo, chiamato personal statement, ovvero una presentazione di sé, dei propri hobby e interessi, delle proprie capacità.

Comunque, stando a quanto avevo letto in giro, fare errori grossolani di inglese nella stesura del proprio personal statement sarebbe stato davvero grave e avrebbe gettato un cattivo occhio sulla candidatura. Non che dipendesse solo ed esclusivamente da quello e dal proprio curriculum (come invece era per il MIT) visto che avrei dovuto sostenere anche un test di ammissione online, ma partire con il piede giusto era essenziale. Sebbene precedentemente mi fossi affidato soltanto alle mie forze e a qualche autocorrettore online, quella volta avevo bisogno di qualcuno, in carne e ossa, che avesse voglia di correggere la mia presentazione. Scartai subito Loredana: troppo scarsa in inglese e soprattutto non mi piaceva che si mettesse a leggere roba personale su di me. Mi serviva un estraneo, qualcuno che non conoscevo. È molto più semplice parlare dei propri sogni e ambizioni a uno sconosciuto piuttosto che, ad esempio, a un amico o un genitore. Dove trovare però un tizio qualunque? Bravo in inglese, poi? La tecnologia venne di nuovo in mio aiuto. Con l'app "HelloTalk", mi sarei messo in contatto con dei veri inglesi. Pensata in realtà per insegnarsi le lingue madri a vicenda, io l'avrei usata per sfruttare malamente il mio partner. Non potevo perdere tempo a mettermi a spiegare la pronuncia di "Come stai?" o "Ciao" a gente che non avrei mai visto in vita mia. Cinismo totale. Scrollai la lista di utenti consigliati e, seguendo la legge dei grandi numeri, ne contattai una ventina esordendo con "Ciao, mi daresti una mano a correggere il mio personal statement per l'università?".

Solo nella mia testaWhere stories live. Discover now