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Come descrivere la mia estate 2021 in poche parole? Direi che le più adatte siano "programmazione", "respiro" e..."pensieri osceni", il mio vecchissimo nemico. Il primo punto è molto facile da spiegare. Mi svegliavo la mattina, sviluppavo il videogioco a cui mi stavo dedicando, pranzavo, tornavo al computer, facevo sport, cenavo e andavo a dormire, tutto ripetuto fino a settembre. Era delizioso vedere il progetto nascere dalle mie mani: mi gasavo un botto per i progressi fatti di volta in volta. In quei tre mesi, avrei prodotto un vero videogioco, non come le banalità arcade che avevo fatto negli anni passati. Era un misto tra un gioco di combattimento ambientato nel Medioevo e Life is Strange, che mi aveva influenzato più di ogni altra cosa negli ultimi due anni. L'idea dell'effetto farfalla e il costante pensiero che le mie scelte hanno precise conseguenze sulla mia vita derivano proprio da quel gioco. Probabilmente rientra nella lista delle cose bellissime che però mi hanno anche segnato in modo negativo, così come Faded, tanto per fare un esempio. Cioè, quella canzone è tuttora la mia preferita, ma porta con sé un senso di angoscia e di depressione che mi sarei risparmiato ben volentieri, motivo per cui preferisco non ascoltarla, paradossalmente. Un discorso analogo vale per quel videogioco. Eccezionale, ma tristissimo. Macinando tutorial da tutte le parti e copiando di qua e di là cosucce da Life is Strange, stava venendo su davvero un bel prototipo, più o meno confermando le aspettative che avevo prima di cominciare, motivo per cui mi divertivo come un matto a passare tutto il giorno davanti allo schermo. Passiamo al punto due, "respiro". Purtroppo, non riuscivo più a respirare normalmente. Può sembrare una barzelletta, ma non lo è affatto. Avete presente gli individui normali? Esatto, quelli che non pensano di dover respirare, perché il processo è automatico. Ebbene, io mi sentivo di dover respirare in modo manuale, come se, senza il mio diretto controllo, sarei morto soffocato. Molte delle cose più semplici in assoluto stavano diventando complicate: parlare, mangiare, bere, fare sport. Ad esempio, dovevo evitare di formulare periodi troppo lunghi, altrimenti sarei arrivato a metà senza più un filo di fiato. Le mie frasi divennero molto più corte, costituite dal minor numero di sillabe possibile, in modo tale da essere pronunciate senza particolari problemi. Ogni volta che stavo per aprire bocca, mi concentravo sull'obiettivo, prendevo fiato e incrociavo le dita, sperando di arrivare in fondo senza problemi. Era tutta una questione mentale. Nei momenti in cui non ci pensavo, parlare tornava a essere un compito relativamente semplice. Purtroppo per me, quel pensiero mi correva in testa il 98% delle volte prima di dire qualcosa, dunque mi capitava fin troppo spesso di parlare in modo sincopato, a monosillabi, prendendo fiato a seguito di ogni parola. Meglio tralasciare quanto fossi patetico prima di bere! Prendevo un lungo respiro, per poi dare solo un piccolissimo sorso, visto che, non potendo bere e respirare contemporaneamente, avevo paura di rimanere senza ossigeno per più di mezzo secondo. Mi mancavano quelle belle bevute fatte tutte d'un fiato, ma ormai avevo perduto quella capacità. Mentre mangiavo, il problema era minore per quanto riguardava la respirazione in sé, però ero terrorizzato che un pezzo di cibo potesse infilarsi in gola e soffocarmi. I miei genitori sono sempre stati molto fissati con questa cosa. Una volta, in età comunque piuttosto recente, avevo visto mia madre tossire energicamente a seguito di qualcosa che le era andato di traverso. Subito mi ero precipitato da lei, colpendola ripetutamente sulla schiena, come mi era stato insegnato da loro stessi. Per fortuna, dopo poco la situazione tornò stabile, ma mai potrò scordarmi la paura che provai quel giorno. Episodi analoghi, ma meno gravi, si erano verificati anche in passato, almeno una volta all'anno, fin da quando ero bambino. Per colpa di tutti quegli spaventi, ero a dir poco terrorizzato dal morire soffocato per via del cibo. La prima volta che quella paura alterò di molto il mio comportamento avevo non più di 9 anni. Da un giorno all'altro, forse spaventato dall'ennesimo tragico episodio, iniziai a mangiare come una lumaca, masticando migliaia di volte prima di ingoiare. Ricordo ancora di aver impiegato mezz'ora solo per quattro spicchi di mela, una sera. In quel brutto periodo, mangiai molto meno rispetto al solito, sia perché non avevo voglia di spendere tre ore davanti a un piatto sia perché ero terrorizzato dal mangiare: meno cibo avrei ingerito, minore sarebbe stata la probabilità che sarei morto soffocato. Non ricordo quanto durò la faccenda, ma fu così significativa che tornò ad aggredirmi a distanza di 10 anni. Tornai a mangiare piuttosto lentamente, non come in passato, ma comunque a velocità molto ridotta, e fui costretto di nuovo a cestinare i cibi che avevo classificato come pericolosi, come il prosciutto crudo. Ogni volta che mia madre mi presentava un piatto davanti, ne mangiavo un pezzo e subito lo schedavo come facile da mangiare o difficile, aggettivo che andava a pari passo con il tempo impiegato per finirlo. La frutta, ad esempio, era molto facile, perché il rischio di strozzarsi con essa era alquanto basso e inoltre era veloce da mangiare. Invece, la mozzarella sulla pizza era terribile, perché temevo mi si impuntasse in gola. Erano tutte fisse mentali, ma stavano prendendo il sopravvento su di me e non potevo farci niente. A volte, avevo problemi a respirare e masticare allo stesso tempo, ragion per cui ero solito fare un gesto un po' strano per calmarmi, cioè appoggiare il braccio sinistro sulla fronte. Coprirla con qualcosa, per qualche motivo, mi dava conforto, infatti di notte dormivo in quella posizione. Non comprendevo perché avessi il bisogno di farlo, ma sentivo come se la fronte mi stesse scappando via e io dovessi tirarla indietro. A volte, compivo quel tic anche quando non stavo mangiando. Volete che vi spieghi il motivo della mia fobia di rimanere senza ossigeno? Lo sapete già. Il danno irreparabile al cervello. Se solo fossi rimasto senza aria per soli 60 secondi, tutto quello che avevo accumulato in quegli anni sarebbe stato bruciato all'istante. Quell'idea mi terrorizzava a tal punto da avermi fatto sviluppare quell'insopportabile fissazione. Evitavo l'apnea come la peste, addirittura che mi spaventavo persino ad espirare, cosa che influì molto negativamente sulle mie prestazioni sportive. Anche se il lavoro era anaerobico, io riuscivo comunque a entrare in iperventilazione, inspirando ed espirando come un ossesso, per paura di rimanere senza ossigeno. Finivo gli allenamenti con la testa che mi girava all'impazzata, cosa che mi capitava spesso anche durante la seduta stessa. I miei genitori mi dicevano che quello stupido pensiero sarebbe andato via, così come i precedenti, come il timore di pensare una bestemmia, che infatti era quasi scomparso del tutto, seppur ancora presente al minimo della sua intensità. Eppure, io ero preoccupato, perché in realtà quel problema era nato ben prima dell'estate. A marzo del 2021, il prof di latino mi aveva ordinato di leggere un brano ad alta voce, ma stranamente, quel giorno stavo facendo particolare fatica per quello stupido compito, forse per paura di dire uno strafalcione davanti a tutta la classe. Assurdo, però, visto che non mi era mai capitato. Nelle settimane successive il problema non se n'era andato, anzi, aveva cominciato a manifestarsi a seguito delle mie sessioni di allenamento serali. Una volta giunto a cena, facevo fatica a mangiare perché avevo l'impressione di non avere aria. Già lì la cosa era raccapricciante, ma sia io sia i miei genitori avevamo lasciato correre, credendo fosse solo una delle mie solite scemenze. Ma durante l'estate, quella seccatura era diventata lancinante. Ero consapevole che il problema fosse solo mentale, visto che, quando mi dimenticavo di dover respirare manualmente, il mio corpo lo faceva in automatico. Tuttavia, quel pensiero stava sempre lì, mi stava uccidendo. Una sera mio fratello, stufo di sentirmi parlare a monosillabi, mi aveva preso di forza e buttato via dalla sua stanza. Io mi ero chiuso nella mia, trattenendo le lacrime e riaccarezzando l'idea del suicidio nel caso in cui non fossi mai riuscito ad eliminare quel morbo. Provvidenzialmente, era arrivata mia madre per placare la situazione e ristabilire la pace tra noi due a seguito di quell'inaspettatissimo litigio. Fu un segno che dovevo fare qualcosa, ma non sapevo proprio come estirpare via quel chiodo nella mia mente. Il mio presunto malanno mi colpiva con minore intensità fuori da casa, permettendomi di parlare con amici o sconosciuti senza apparire un pazzo totale, ma dentro era il peggiore degli incubi, sfido chiunque a vivere senza dare di matto con un simile flagello. All'epoca non ne sapevo niente, ma non era altro che l'ennesima manifestazione del disturbo ossessivo compulsivo. A saperlo prima, mi sarei risparmiato non pochi problemi. Comunque purtroppo, quell'estate ebbi anche una seconda spina nel fianco, che inizialmente avevo chiamato col nome di "pensieri osceni", se ricordate. Vogliamo rompere il taboo e chiamarla in modo più appropriato? Bene. Masturbazione. Faccio fatica pure a scriverlo. Durante l'anno scolastico, la situazione era rimasta esattamente sotto il mio controllo. Mi capitava di praticare quel terribile gesto assai di rado e senza il desiderio di guardare video di signorine calde, tanto per intenderci. Ero sull'ordine di una volta al mese, addirittura. La mia mente non pensava minimamente al sesso, occupata com'era dalla scuola, dall'odio verso Luigi e dal casto amore verso Gaia. Potrebbe sembrare strana la mia disgiunzione dell'amore dal sesso, ma per me funzionava così: più una ragazza mi interessava, meno stimolo sessuale avevo nei suoi confronti. Ad esempio, non mi ero mai immaginato Ivi o Serena senza vestiti. D'altro canto, avevo ceduto in quel becero pensiero verso Aurora, il che provava che non fossi davvero innamorato di lei. Se c'era solo attrazione fisica, insomma, non era vero amore. Purtroppo, verso metà luglio, complice il relax e il fatto che avessi poche preoccupazioni per la mente, nonostante fossi piuttosto impegnato col videogioco, mi balenò in mente l'idea di andare a visitare, per la prima volta in vita mia, un sito pornografico. Uh, che fatica scrivere queste parole. Così, all'improvviso. Mi immaginavo che mi sarei trovato di fronte la fonte suprema del piacere e sciaguratamente non riuscivo a togliermi di dosso quello sporco pensiero. Ero tremendamente attratto perché, a differenza di tutti quelli della mia età, io non avevo mai fatto una cosa del genere, cioè andare a curiosare in quei siti scellerati e perversi, e non sapevo cosa aspettarmi. Al massimo mi ero limitato a usare fonti secondarie come Google Immagini o Youtube per spiare il bel corpo femminile, ma non mi ero mai addentrato in un sito apposito. Avete presente quando sopra ho utilizzato l'espressione "video di signorine calde"? Ecco, in verità io non vedevo nulla di che, rispetto a un porno in carne e ossa. Ma la voglia di compiere quel peccato si faceva di giorno in giorno più forte, a tal punto che, come mi era capitato in passato, svariate volte mi bloccò il sonno e mi costrinse a trascorrere la notte in bianco. Giacevo sul letto inerme, pregando che sarei riuscito ad addormentarmi comunque, ma il mio corpo respingeva il sonno, voleva solo un po' di piacere carnale. Così, tre o quattro notti mi vidi costretto ad alzarmi verso le 3, andare quatto quatto al bagno al piano di sotto e compiere il sacrilegio (senza ricorrere alla tecnologia). Il bello cominciava dopo. Come ben sapete, dopo aver ceduto alla carne, mi sentivo impuro e quindi sentivo il bisogno di purificarmi. L'unico modo per raggiungere il mio intento era quindi lavarmi le mani almeno una decina di volta, fino a farmele screpolare del tutto. Purtroppo, in quelle occasioni dovetti prestare particolare attenzione, perché era notte fonda e non volevo svegliare i miei genitori, o meglio non volevo farli sospettare che stessi compiendo quel terribile reato. Perciò, non potevo fare altro che lavarmi le mani con un filo di acqua ogni volta, rallentando ulteriormente il già laborioso processo perché di norma facevo invece andare il rubinetto alla massima potenza. Così, dopo essermi insaponato ben bene, giravo la manopola al minimo e, facendo attenzione che l'acqua non facesse troppo chiasso per via della sua caduta nel lavandino, estirpavo dalle mie mani il peccato abominevole, per poi ripetere il processo fino a collassare. Anche se non ero più credente, mantenevo comunque il lessico cristiano in quella situazione, motivo per cui nella mia mente ero solito utilizzare termini come "purificare", "peccato" ed espressioni simili. Terminata la fase di decontaminazione, me ne tornavo nel mio letto, sfinito, ma finalmente in grado di dormire. Odiavo masturbarmi, perché ritenevo sciocco scambiare trenta secondi di piacere con trenta minuti di senso di colpa e depurazione delle mie mani, ma non potevo farci niente. Come mi aveva detto lo psicologo, era normale, eppure non riuscivo ad accettarlo. Meno mi capitava di cedere in tentazione, meglio era, sia per il mio tempo sia per le mie mani. Tuttavia, quelle scappatelle notturne mi attiravano ancora di più a ficcare i miei occhi su uno di quei siti perversi, a tal punto che programmai un giorno apposito in cui finalmente avrei soddisfatto quella smania carnale, nominato da me "giorno dello sfogo", rifacendomi al film "La notte del giudizio" in cui avevo sentito usare quell'espressione per la prima volta. Mi sentivo più o meno giustificato perché a settembre avrei cominciato l'università e dunque azzerato per sempre il mio tempo libero, perciò mi sembrava legittimo fare qualcosa leggermente fuori dalla norma durante l'estate. In verità, il giorno dello sfogo non era stato selezionato a priori, bensì sarebbe capitato nel momento in cui sarei rimasto da solo in casa per un buon intervallo di tempo: avevo bisogno della massima libertà possibile per assaporare ogni momento, nonché di un paio di ore per lavare una decina di volte ogni centimetro quadrato del mio corpo impuro a seguito dell'abbandono. Bene intendiamoci, non avrei fatto nulla di che, se paragonato a quello che facevano i miei coetanei regolarmente, soltanto che per me era un'esperienza del tutto nuova, a differenza loro. Non biasimatemi, per favore, ma non riuscivo più a vivere con quel pensiero sempre in testa. Speravo che, placato l'aculeo del desiderio, sarei stato più libero e le notti non sarebbero state più un'incognita ogni singola volta! Volevo solo un po' di pace!

Solo nella mia testaWhere stories live. Discover now