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La posizione a stella non stava funzionando. Buttato sul letto, sforzandomi di dormire, tenevo braccia e gambe a V, in modo tale da aumentare l'aerazione sul mio corpo. E appena la mia mente mi solleticava con il solito "Manca poco, a breve ti addormenterai", subito una scossa mi attraversava da cima e fondo e perdevo l'assopimento tanto faticosamente accumulato. Le altre notti non mi sembravano così calde. Inizialmente avevo desistito dall'accendere l'aria condizionata perché era un simbolo dell'estate e io, in quel momento, ero tutto meno che in vacanza. I problemi fioccavano da tutte le parti: non c'era nemmeno il classico silenzio campagnolo, visto che in lontananza riuscivo a udire un rullo di tamburi fastidiosissimo. Tra tutti i giorni in cui potevano suonare, avevano scelto proprio quello? Non era nemmeno un venerdì o un sabato! I miei tentativi si stavano rivelando tutti vani, pure la celebre tecnica del "stai immobile e prima o poi ti addormenterai". Il ragionamento era ovvio: rimanendo completamenti fermi sul letto, a occhi chiusi, mi sarei addormentato, per forza di cose. Utilizzandola nel corso degli anni, mi ero però accorto che il suo magico effetto cessava di esistere nell'esatto momento in cui pensavo: <<Tanto prima o poi mi dovrò addormentare!>>. Puntualmente, la notte si trasformava in una lunga agonia, costituita da angoscia e noia, seppur, in linea teorica, la considerazione fosse corretta: sarebbe stato impossibile trascorrere 9 ore consecutive distesi sul letto. Purtroppo per me, quell'infausta frase mi attraversò la mente e non potei ignorarla. A un certo punto, sentii mia madre salire le scale, il che non poteva significare che una sola cosa: erano già le 22:40. Avevo dunque buttato via un'ora di sonno senza combinare niente di buono. Era tempo di agire. Accantonata l'idea "aria condizionata solo in vacanza", presi il telecomando e lo schiaffai alla massima potenza. La stanza si riempì di un buon fresco, che di sicuro mi avrebbe aiutato a dormire. Non potendo però lasciarlo acceso tutta la notte sia per motivi di consumo sia perché sarei rimasto congelato, dopo cinque minuti decisi di spegnerlo. Risultato: la stanza tornò arida come prima. Mentre il caldo prodotto dai termosifoni si mantiene per parecchio tempo all'interno della casa, seppur ci metta un pochino a carburare, il condizionatore è sempre stato una gran fregatura. I benefici sono istantanei, perché ti sputa subito una bellissima aria fresca addosso, ma appena viene spento, tutto ritorna, paradossalmente, nella situazione iniziale. Quella notte non fece eccezione, motivo per cui lo riaccesi poco dopo, per poi spegnerlo nuovamente, per poi accenderlo e così via, almeno una ventina di volte. Il rullo di tamburi, intanto, proseguiva imperterrito. Proprio non ce la facevo: una smania di allontanare l'arsura mi assaliva costantemente, passati appena 30 secondi dalla chiusura del condizionatore. E più mi muovevo, più mi accaldavo. La finestra, possibile fonte di fresco, era chiusa per colpa di quella stupida banda, che si stava divertendo a rovinarmi l'orale di maturità. Insomma, quella era la tanto celebrata, tanto famosa notte prima degli esami? Papà mi aveva proposto di ascoltare l'omonima canzone prima di andare a dormire, ma avevo rifiutato l'offerta per non farmi influenzare negativamente dal testo del brano: se avesse parlato di difficoltà nell'addormentarsi (come era probabile), quelle parole mi avrebbero riecheggiato in testa per tutta la notte. Ma ormai, era come se l'avessi scritta io stesso quella canzone. Il mio corpo proprio non ce la faceva a darsi una calmata e a stare fermo. Sentii qualcun altro salire le scale: era mio padre, dunque avevo già varcato la soglia della mezzanotte. Come diavolo faceva il tempo a scorrere così in fretta? Ormai si era fatto piuttosto tardi e in quell'infinito ciclo di accensione e spegnimento del condizionatore, mi capitò all'improvviso di chiudere gli occhi e di non riaprirli più per molto tempo. Quando mi destai di nuovo, non mi era ben chiaro cosa fosse accaduto. Mi sentivo stanco, come nel momento in cui la sveglia suona ma vorresti continuare a dormire, dunque ero davvero riuscito ad addormentarmi. Ma che ore erano? E che giorno era, quello? Non udivo alcun allarme proveniente dal telefono. La mia mente, molto assonnata, era anche molto confusa. A poco a poco, però, si ricordò di cosa mi sarebbe spettato quella mattina, della paura del giorno precedente, della difficoltà che avevo avuto a chiudere occhio. Subito un fuoco si accese dentro di me, sciogliendo il ghiaccio del sonno. Accidenti, da lì a poche ore avrei visto tutti miei prof in fila e se non fossi stato al 100%, ci sarebbe stata una buona probabilità che non avrei preso la lode! Provai a far tornare indietro quella bellissima sensazione di assopimento che avevo sentito dopo essermi svegliato, ma ormai era partita per la tangente. Non era più caldo come prima, ma l'arsura era stata sostituita dall'ansia. Niente da fare, mi sentivo ancora più in difficoltà. Mi alzai dal letto, sperando che andare al bagno mi avrebbe aiutato. Purtroppo ebbi anche il desiderio di scoprire quanto tempo mi separava dalla sveglia. Erano le 5, accidenti, avevo dormito così poco? Mi fiondai in bagno utilizzando la torcia del telefono per non subire accecamenti e quindi danni irreparabili, pregando che la vescica vuota mi avrebbe aiutato a riprendere sonno. Mentre stavo per rientrare in camera, sentii una porta aprirsi: era mia madre, che comparve mezzo secondo dopo di fronte a me, intenta anche lei nell'andare in bagno. Evidentemente l'avevo svegliata. Ero indeciso se rivelarle la mia sofferenza o lasciar correre, ma alla fine optai per la prima.

<<Non riesco a dormire, non ce la faccio! Sono agitatissimo, avrò dormito 5 ore a dir tanto!>>

Era vero: considerando che in quel momento erano le 5 e ipotizzando che mio padre, come di consueto, fosse andato a letto a mezzanotte, le mie ore di sonno erano piuttosto scarse. Infatti mi sentivo uno schifo. Mamma apparve un po' turbata dalle mie parole: era convinta che stessi dormendo come un angioletto. Cercò di essere ottimista.

<<Dai, hai ancora un'ora e mezza prima della sveglia!>>
Mi accompagnò amorevolmente al mio letto e mi sistemò come se avessi ancora 2 anni. Ero sfinito e disperato: solo in quel momento scoppiai davvero a piangere.

<<No, non è vero! Andrà male! Andrà malissimo! Sono troppo stanco, non ce la farò!>> le urlai, tra le lacrime.

Accidenti, non piangevo in quel modo da tempo. Si stava verificando il mio incubo numero uno: non riuscire a dormire. Sapevo fin troppo bene quanto la mancanza di sonno potesse intaccare le performance di uno studente o di un atleta.

<<Djokovic può perdere per una miriade di motivi oggi, magari ha avuto una nottata storta!>> era solita dire mamma, prima di ogni partita del suo arcinemico.

<<Ho bisogno di dormire, così posso mantenere la mia media perfetta ed essere il migliore della classe. Non devo essere troppo assonnato, altrimenti la stanchezza influenzerà la mia salute e le mie prestazioni mentali>> affermava Light Yagami, anche se forse con troppa arroganza.

Purtroppo, ho sempre avuto la capacità di prendere il peggio da ciò che vedo o sento. Non sto dicendo che mi lascio condizionare dai cattivi comportamenti e finisco per emularli, ma solo che, se ascolto qualcosa di spiacevole come gli esempi sopra, ovvero "la mancanza di sonno può peggiorare le tue abilità fisiche e mentali", è molto probabile che quella frase mi riecheggi in testa quando meno la desidero, come alle 5 di quella mattina, e non faccia altro che peggiorare le cose. Stesso discorso vale per immagini o video sgradevoli. Insomma, la mia mente tutto faceva pur di dare spago al mio intrinseco pessimismo, che in quel momento mi aveva fatto esplodere in un fiume di lacrime. Mamma, vedendomi comportare in quel modo, fece uno dei gesti più affettuosi che una persona sulla faccia della terra mi abbia mai fatto. Mi abbracciò forte e pronunciò dolcemente parole di saggezza che non scorderò mai.

<<Maurizio, calmati, va tutto bene. È normale essere agitati, in fondo è il tuo primo esame. Non credere di essere l'unico in questa situazione, oggi, o che gli altri non ci siano mai passati. Anche tuo fratello, la notte prima della seconda prova, non era riuscito a dormire. E sai una cosa? Tutto era andato per il meglio. Non pensare che, in situazioni del genere, il poco sonno possa influenzarti negativamente: l'adrenalina ti terrà su, ricorda. Ora, comunque, hai ancora un'ora e mezzo, rilassati e rimettiti a dormire. Fidati di me, andrà tutto per il verso giusto.>>

Smisi di piangere e mi tranquillizzai: non mi ero mai sentito tanto amato. Solo in quel momento mi accorsi di quanto fossero importanti i genitori, gli unici che, indipendemente da quello che fai, ti ameranno sempre e saranno lì per te fino alla fine dei loro giorni. Mi diede un bacio sulla fronte, si allontanò e chiuse la porta della mia stanza. Avevo ancora le guance un po' bagnate per le lacrime, ma era una sensazione quasi piacevole, dopo quelle parole confortevoli. Comunque, inutile dire che non riuscii a chiudere occhio fino alla tanto attesa sveglia, ma quando udii quel suono, mi sentii estremamente sollevato: il peggio era ormai finito. Proprio quel 18 giugno 2021, coniai una nuova espressione nel vocabolario comprensibile solo da me: D-Day, o come l'avevano anche chiamato, "il giorno più lungo". Nella mia accezione, si intende la giornata che precede un grande momento, che sia un esame, un appuntamento o qualsiasi evento per il quale voglio essere al 100%. Quello è il giorno più lungo perché già so, in anticipo, che addormentarmi non sarà facile come le altre volte, perché la posta in gioco è alta. Di conseguenza, la notte potrebbe sembrare infinita, da qui l'espressione "il giorno più lungo". Ecco, il 18 giugno fu un vero e proprio D-Day. 

Solo nella mia testaWhere stories live. Discover now