25

4 3 0
                                    

13 giugno 2021. Il giorno successivo, lo STEP. Si stava svolgendo la finale del Roland Garros tra Djokovic e Tsitsipas con quest'ultimo avanti per due set a zero. Dovevamo partire per andare a Roma, ma non riuscivo a staccare gli occhi dalla televisione. Essendo io e mia madre tifosi di Roger Federer, non potevamo permettere che il serbo Novak Djokovic si avvicinasse al record di Federer e soprattutto che avesse la possibilità, quell'anno, di completare il Grande Slam. Per chi non sa nemmeno il punteggio di questo sport, vi do qualche dritta per capire meglio di cosa sto parlando. Durante la stagione tennistica, che va da gennaio a novembre, ci sono svariati tornei, ma solo quattro di questi, i più importanti, sono chiamati slam o major. Si distinguono dagli altri perché si giocano alla meglio di cinque set, anziché tre. Federer, il tizio tifato da me e mia madre, ne aveva vinti 20, mentre il rivale Djokovic era appena dietro con 18 titoli. Chi riesce a vincerli tutti e 4 nello stesso anno compie il cosiddetto Grande Slam, una roba così rara che non accadeva dal 1969. Ebbene, se Djokovic fosse riuscito nell'impresa quell'anno, sarebbe stato acclamato come il più grande tennista di tutti i tempi, sottraendo l'appellativo a Federer ed eguagliando il record di slam vinti. Il Roland Garros è il secondo torneo dello slam dell'anno e Novak si era già aggiudicato il primo in quella stagione.

<<Ma allora perché eravate tanto spaventati se mancavano ancora, oltre alla finale del Roland Garros, altri due major?>> potreste chiedervi.

La risposta è molto semplice. Il terzo, Wimbledon, era già automaticamente nelle sue mani perché sull'erba, la superficie dei campi a Wimbledon (le altre due possibili sono terra battuta e cemento), non c'era nessuno competitivo quanto lui. Federer, l'unico in grado di metterlo in difficoltà lì, si era operato al ginocchio nel 2020 e stava fuori da ormai un anno intero. Di conseguenza, dopo aver vinto Wimbledon, a Djokovic sarebbe rimasto solo l'ultimo slam (chiamato US Open) e avrebbe messo anima e corpo pur di vincerlo. Ora capite perché lo stavamo gufando con grandissimo ardore? Sarebbe stata una sciagura se avesse vinto il Roland Garros! Purtroppo, era ora di partire con mio padre verso Roma, dove il giorno successivo avrei sostenuto lo STEP presso il British Council, quell'ente strano a cui papà aveva fatto il bonifico per prenotare l'esame. Presi con me libro e quaderno di arte, materia che avrei ripassato (e studiato) durante il viaggio, visto che avrei avuto la maturità il 18, e uscii di casa. L'atmosfera era grandiosa: Tsitsipas stava a un solo set dalla vittoria, il cielo era limpidissimo e non vedevamo l'ora di partire per quell'avventura. Unico piccolo problema: fuori faceva caldissimo e la macchina, esposta al Sole da chissà quante ore, era rovente.

<<Sali su, che si raffredda subito con l'aria condizionata!>> mi disse mio padre.

Ero perplesso, poiché sapevo che non era vero, ma non volevo rovinare quella bellissima atmosfera. Per qualche motivo, papà va in escandescenza se, prima di entrare in macchina d'estate, aspetto che si raffreddi un po'. Evidentemente non sopporta aspettare tre minuti lì fuori senza fare niente. O forse inizia ad imprecare perché pensa che io sia quello esagerato, come vi ho già raccontato a proposito dei rumori forti o la luce troppo intensa. Comunque, pur di non iniziare a litigare con lui, seppur titubante, decisi di entrare. Dopo solo dieci secondi lì dentro, però, stavo già crepando: non arrivava nemmeno un filo d'aria verso i sedili posteriori. In quel momento capii come si sente un cibo che viene messo dentro il forno. Provai a non pensare al caldo immane che mi stava uccidendo, focalizzandomi su Picasso, che tra l'altro la prof di arte aveva aggiunto al programma ufficiale a nostra insaputa, oltre a buona parte della roba del quinto che non aveva mai spiegato. A settembre di quell'anno dovevamo ancora finire il libro del terzo! Era fin troppo ovvio dedurre che non saremmo mai arrivati all'ultimo libro. Mi sono sempre chiesto chi sia stato l'idiota della mia classe incaricato di firmare il programma di arte, che non si era posto due domande sul perché fossero comparsi dal nulla Picasso, Klimt, Dalì, Magritte e tutti gli altri. La prof si era ben guardata dall'avvisarci, comunque. Purtroppo, Picasso non riusciva a distrarmi dal caldo rovente dentro l'auto. La mia fronte iniziò a sudare copiosamente, mi stavo quasi sentendo male: danno irreparabile al cervello in arrivo. E tutto ciò per colpa di papà che non aveva voluto aspettare che si raffreddasse. Cioè, in realtà non gliel'avevo chiesto, ma in quel momento volevo tutto meno che sentirmi addosso le sue urla. Odiavo il fatto di dover subire quei presunti "danni", come mi piace chiamarli, per colpa degli altri (ricordatevi che la mia titubanza nell'allontanarmi dalle casse era colpa dei miei genitori, sotto sotto). Se solo fosse stato una persona normale anche lui, gli avrei chiesto gentilmente di attendere un po' e così non avrei preso fuoco sul sedile posteriore. E invece no, doveva fare il pazzo. Tale padre, tale figlio. Nel giro di dieci minuti, tutto l'entusiasmo che avevo prima evaporò nell'aria, come tutti i miei liquidi corporei. Ormai avevo subito un danno irreparabile, che senso aveva andare a Roma? Interpretai quell'avvenimento come segno di sciagura non solo per l'esame del giorno dopo, ma anche per la finale del Roland Garros.

Solo nella mia testaWhere stories live. Discover now