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Due giorni dopo, ci fu la gara a squadre, o meglio i quarti di finale della competizione tra scuole. I membri del team dei sogni vennero scelti, sempre per Mafia della Fassi, in base alla classifica dei Giochi di Archimede: davvero singolare che, in un modo o nell'altro, sua figlia Cinzia vi fosse rientrata. Malgrado potesse sembrare un criterio piuttosto oggettivo e imparziale, in realtà non lo era affatto, di sicuro la prof aveva preso quella decisione solo per privilegiare la figlia.

<<Vorrei proprio capire perché hanno messo Cinzia nella squadra, 'sta cosa mi dà proprio fastidio. Ci stava Giovanni, come sempre! Gliel'avevo pure detto!>> mi aveva scritto Andrea, che tentava in tutti i modi di farmi uscire dalla mia sfera di neutralità assoluta.

Giovanni era un tizio di un'altra classe, anche lui un amante della matematica. In effetti Andrea aveva ragione, era stupido stilare una lista definitiva solo in base a un test di un'ora, considerando poi che Giovanni, nelle gare a squadre, rendeva molto di più rispetto a Cinzia. Addirittura, pensate che pure il ruolo di capitano del team, che mi spettava di diritto visto che facevo parte della squadra dal 2018, era stato deciso univocamente in base alla classifica dei Giochi di Archimede! Se avesse vinto Luigi, l'avrebbero dato a lui, che idiozia! Purtroppo la Fassi non era vista di buon occhio da nessuno, pure i vecchi membri del team amavano denigrarla a causa delle sue decisioni dispotiche e nepotistiche. Alla figlia era riservato, per analogia, lo stesso crudele trattamento, anche per via della sua bizzarra indole: nel 2018 ci aveva provato spudoratamente con un mio compagno di classe, nel 2019 con me, negli ultimi due anni con Luigi, trascurando poi tutti gli occhi dolci fatti a obiettivi "minori". Poverina, un po' la compativo, visto che si trovava nella mia medesima condizione. Me la immaginavo come una di quelle che amano piangere di fronte ai film strappalacrime, sensibili e romantiche, desiderose come non mai di vivere anche loro una bellissima storia d'amore, ma purtroppo costantemente rifiutate per via del loro aspetto: una sorta di mia versione femminile. Certo, era solo una mia immaginazione, ma a giudicare dal suo comportamento, avrebbe fatto di tutto per trovarsi un ragazzo. Pensai fin troppe volte all'eventualità di mettermi insieme a lei, giusto per provare il piacere di sentirmi amato alla follia e dedicarci finalmente a tutte quelle sdolcinerie che ero solito leggere nei libri: camminare stringendoci la mano, coccolarci sulle panchine del parco, sussurrarci parole deliziose. Ero sicuro che lei avrebbe accettato, in fondo era più facile di rubare le caramelle a un bambino, ma una domanda della mia coscienza, forte e chiara, risuonava costantemente dentro di me.

<<Se dovessi farti vedere in giro con lei, magari anche dai tuoi genitori, ti vergogneresti?>>

Sì, mi sarei vergognato, perché in verità era bruttina e nemmeno troppo simpatica. Insomma, la nostra relazione sarebbe stata fuffa, una falsità totale, messa su giusto per soddisfare reciproci desideri sessuali. Quella domanda mi aiutava ogni volta dovessi ragionare un attimo sui miei sentimenti verso una ragazza. Ad esempio, con Gaia non avrei provato alcun tipo di vergogna, né tantomeno con Serena, forse un pochino con Aurora a causa della sua superficialità, nonostante anche lei fosse bella tanto quanto le altre due. Per fortuna, almeno in circostanze amorose, la mia mente a volte era capace di mettermi fuori dai guai grazie all'arte della riflessione, anziché buttarmici dentro come adorava fare la maggior parte del tempo. Ad esempio, vi pare logico dovermi preoccupare di Luigi durante una gara a squadre, in cui si vince o si perde insieme? La risposta è negativa, eppure la mia testa non ne voleva sapere: lui era un nemico e doveva essere sconfitto pure lì. Io e Andrea ci saremmo occupati dei problemi di geometria, lui e Cinzia dei quesiti di combinatoria e i tre ragazzi rimanenti avrebbero fatto il resto. L'obiettivo, per me, non era passare il turno, ma fare più punti di lui, ovvero contribuire in modo più determinante, far vedere a tutti che la comitiva aveva un leader di nome Maurizio. Un'ora prima della gara, nonostante fosse online, ci riunimmo tutti a scuola, Fassi compresa: sarebbe stato troppo difficile collaborare con il proprio partner da remoto, al diavolo le misure di prevenzione del Covid. Ci piazzammo su un grande tavolo in sala insegnanti, addobbato con svariati laptop per consultare il testo della gara e inviare le risposte, nonché con bevande, caramelle e dolciumi vari per tenerci attivi per tutta la durata della competizione. Gli animi erano tranquilli e le aspettative molto basse, eppure una sorta di pressione non era ignorabile nell'aria: se avessimo fallito, il liceo non si sarebbe qualificato in semifinale per la prima volta dal 2017. Non che me ne fregasse molto, in verità, visto che un buon risultato serviva solo alla Fassi per farsi bella di fronte alla preside. Piuttosto, miravo a risolvere un buon numero di esercizi sia per contribuire di più rispetto a Luigi sia per dimostrarmi di essere più o meno capace anche nella competizione a squadre. In tutte le gare degli anni passati, infatti, il mio aiuto al team era stato trascurabile, a volte addirittura inesistente: era proprio difficile emergere in mezzo a quei fenomeni che divoravano tutti gli esercizi della lista come fossero merendine, lasciando a me molto meno delle briciole. Quel giorno, però, mi sarei dovuto credere io il fenomeno del momento e finalmente portare in alto la squadra con le mie mani. Mi misi seduto a capotavola, con Andrea alla mia sinistra, cercando di stare il più lontano possibile da Luigi per evitare che entrasse nel mio campo visivo: il solo vederlo in quel contesto faceva agitare in me spiriti feroci. Per fortuna, a differenza mia, non aveva avuto il privilegio di far parte della squadra dei campioni, quella del biennio 2018-2019. Lui era solo un ciarlatano che, nell'estate del 2019, desideroso anche lui di entrare nella cerchia dei rispettabili della matematica, mi aveva chiesto in che modo potesse farsi notare e unirsi al gruppo. Lo ammetto, si era guadagnato il posto, ma non mi piacque per niente che il tutto fosse dovuto partire da me, con le mie raccomandazioni. Lui non c'entrava nulla in quell'ambiente, quello era il mio campo e basta: ecco perché odiavo vederlo sedere a quel tavolo. L'unica cosa da fare, in quel momento, era dimostrare a tutti chi fosse il vero re, il pezzo forte della squadra. Così, una volta iniziata la gara, io e Andrea iniziammo a darci dentro e a far cantare la nostra intesa vincente. Risolvemmo il problema jolly nel giro di dieci minuti, quello che avrebbe dato un punteggio doppio rispetto al normale. Poi, continuammo la nostra cavalcata, andando di qua e di là, inviando risposte giuste sempre al primo tentativo, come se protetti da una sorta di incantesimo di infallibilità. Lavorammo sempre insieme, dal primo fino all'ultimo minuto. Dopo la gara, ci accorgemmo di aver contribuito, solo noi due, a tre quarti dei punti accumulati.

Solo nella mia testaWhere stories live. Discover now