capitolo ventitré

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SARAH


"Due volte" la dottoressa Cooke prese la penna con entrambe le mani, tenendola per le due estremità e facendole portare l'attenzione su quel piccolo gesto, mentre ascoltava la sua voce carica di soddisfazione: "Ero orgogliosa dei tuoi progressi quando mi hai chiamato, ma non so veramente cosa dire..."si fermò, posando la penna sui fogli davanti a lei, mentre Sarah spostava l'attenzione al volto della donna: "Sei stata bravissima, Sarah."

Dopo la sua prima esposizione alla fobia aveva chiamato la psicologa informandola di ciò che era successo e aveva sentito l'orgoglio, nella voce della donna che la elogiava per il suo successo.

Aveva provato una seconda volta, sempre assieme a Rafael e per una tratta più lunga: avevano preso la metropolitana dalla fermata di Pigalle, molto vicina a La Cigale, ed erano giunti fino alla fermata di Jules Joffrin.

Quando erano usciti ed erano tornati alla luce del sole, si era trovata in una parte di Parigi completamente sconosciuta e Rafael aveva approfittato di quell'occasione per farle fare un giro in quella zona, lasciandola girovagare per il quartiere residenziale, pieno di negozi e café che aveva quella tipica impronta parigina, fatta di eleganza e tinte tenui.

I palazzi color crema incorniciavano le strade e i negozi con le loro vetrine e le tende dei locali, davano un tocco di colore in più.

"Non riesco ancora a starci per parecchio tempo" mormorò Sarah, tornando alla realtà e giocherellando con una ciocca di capelli: "E da sola è fuori discussione."

Ogni volta che era scesa e aveva affrontato il mostro, era sempre stata con Rafael: senza di lui non sapeva se ce l'avrebbe fatta oppure sarebbe tornata a scappare.

La dottoressa Cooke le sorrise, picchiettando i polpastrelli sulla scrivania: "Però è un risultato incredibile" dichiarò, sorridendole e stringendo le mani l'una nell'altra: "Hai preso la tua paura e l'hai affrontata."

Sarah annuì, chinando il capo e sistemandosi sulla poltroncina, trattenendosi dal tirare su le gambe e abbracciarle, usando poi le ginocchia come appoggio per il viso: "Ogni volta che vedo quei binari" mormorò, intrecciando le mani l'una nell'altra e lasciando andare un lungo sospiro, mentre chiudeva gli occhi: "Penso a quello che è successo a papà e..."

Si fermò, incapace di continuare: non aveva visto il padre morire ma, attraverso gli articoli di giornale che aveva letto con un bisogno di sapere al limite dell'inquietante, aveva potuto ricostruire nella sua mente cosa era successo e quanto suo padre potesse aver sofferto.

Forse era nata lì la sua fobia.

"Non mi hai mai raccontato come è successo" mormorò la dottoressa, tamburellando appena la penna e facendole spostare lo sguardo su quel piccolo e lieve movimento: "Lui ha avuto un incidente in metropolitana, però non mi hai detto come."

"Non lo so nemmeno io, posso solo dire quello che ho letto" mormorò Sarah, dando voce ai pensieri che aveva avuto poco prima, inspirando e trattenendo l'aria per una manciata di secondi, mentre organizzava le parole dentro di sé: "Lui era sceso per fare una coincidenza e la sua borsa è rimasta incastrata nella porta. Lui..."

"Puoi fermarti, Sarah. Non è importante."

"Lui è stato trascinato dal treno e poi quando ha incontrato quello opposto è stato..." continuò, ignorando quanto detto dalla psicologa e spostando l'attenzione su alcuni libri che erano stati impilati sulla scrivania, dai quali fuoriuscivano alcuni fogli bianchi.

"Si tratta di un incidente brutale" mormorò la donna, lasciando andare un lungo sospiro: "Ed è comprensibile che tu abbia sviluppato una paura inconscia" Sarah annuì con la testa, tenendo lo sguardo sulle sue mani "Purtroppo succedono e sono quei fattori su cui non abbiamo nessun potere."

La vie en rose - parte 2On viuen les histories. Descobreix ara