Capitolo venticinque.

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Seguii Dimithryus attraverso le ampie stanze della tenuta, arrivando poi davanti ad una massiccia porta di legno, che si apprestò ad aprire tirandone il chiavistello.
Spalancò il passaggio, ponendosi di lato, facendomi un cenno col capo per consentirmi di avanzare. Mi guardai attorno: l'arredamento di quella stanza era prettamente in legno. Al centro era sistemato un tavolo rotondeggiante con tre sedie, intagliate, disposte tutte attorno; le mura circolari di quell'ampio ambiente erano ricoperte da infiniti scaffali che ne seguivano il perimetro, un mappamondo in avorio era posto in un angolo e, accanto ad esso, vi era una poltroncina color mogano consumata dal tempo. Notai fosse una stanza poco utilizzata poiché nessuna impronta aleggiava, visibile, su quel leggero strato di polvere formatosi nel tempo.
Dimithryus si mostrò impaziente fin da subito, per poter dare inizio alla nostra lezione quanto prima: era ingestibile, ogni minimo errore da parte mia era una sgridata che avrei dovuto subire; erano passate ore e riuscii ad apprendere soltanto le basi: schiena dritta, mento in su, mani leggermente unite all'altezza del ventre.
-Signore e signori, benvenuti alla fiera del grottesco!- Iniziò a prendersi gioco di me. -Diamine Jolie, signorilità non vuol dire essere una fottuta mazza da baseball!- Alzò il tono della voce e credetti sarebbe esploso da un momento all'altro.
-Smettila con questa arroganza. Non so neanche perché sto facendo tutto questo. Io non ti devo niente.- Ringhiai; le mie parole non sortirono nessun effetto in quanto, con passi lenti e misurati si avvicinó a me, osservandomi come se fossi qualcosa di raro, da studiare minuziosamente per poterlo comprendere.
Ero in piedi, ferma come una statua, cercando di mantenere la postura che lui tanto agognava, e lo osservai  di sottecchi passeggiarmi attorno fino a fronteggiarmi nuovamente. I suoi occhi iniziarono ad assumere la tonalitá dello smeraldo, e piccole venuzze rosse si frastagliarono sulla sclera, scurendosi di secondo in secondo; avrebbe dovuto spaventarmi ma, al contrario, suscitò in me meraviglia e stupore.
Poggiò il suo dito sul mio zigomo, al di sotto dell'orecchio, trascinandolo poi in una lenta carezza fino al mento, mantenendo i suoi occhi su tutto il tragitto compiuto dal suo gesto.
-I tuoi gesti, le tue movenze,- diede un piccolo colpetto, imponendo al mio viso di sollevarsi leggermente; terminata questa operazione, posò la sua mano sul mio stomaco esercitando una leggera pressione che portò il mio petto a sollevarsi e al mio fiato di essere trattenuto, per metà, nei miei polmoni; -devono sedurre la mente della persona che hai di fronte.-
Sentii dei leggeri brividi correre su per la mia spina dorsale, attraversandomi da parte a parte; seguii le sue istruzioni involontariamente, assorta com'ero dal vellutato timbro delle parole rilasciate attraverso le sue labbra , e che riuscirono a rilassarmi quel tanto da appesantire le mie palpebre e far aprire di poco la mia bocca, da cui l'aria uscì in piccoli sbuffi.
-Devi permettere al tuo corpo di esprimersi, di comunicare; devi essere il loro afrodisiaco Jolie. Fatti donare la loro mente ed avrai la loro anima. Una donna colta è il più potente afrodisiaco in questa società, in questo nuovo sistema dove, la cultura e l'eleganza, sono ormai un privilegio di pochi.-
Mi affiancò, per portare la sua mano sinistra alla base della mia schiena, ed un'ondata del suo profumo mi investì: fresca pioggia autunnale con un leggero sentore di legna arsa,cuoio e bacche di ginepro. Mi venne voglia di affondare il naso nella sua logora giacca di pelle nera per poter godere ancora di quella fragranza inusuale, decisa ma sobria. Credo che ognuno di noi abbia un odore proprio, una sorta di marchio distintivo di riconoscimento, che ci permette di associarne un volto ed un nome, proprio come fanno gli animali, solo che in pochi hanno il privilegio di riuscire a percepire l'aroma che ciascuno emana; definibile come un'abilità ancestrale.
Aspettai che continuasse a parlare, per non dover essere io quella che avrebbe scoppiato quella bolla di complicità creatasi, non che ne avessi voglia.
-Il fascino delle buone maniere, della seduzione, è tutta una questione di inganno: devi indossare l'abito della manipolazione per provocare nell'interlocutore desiderio ma, se risulterai troppo controllata lo metterai sulla difensiva, diffiderá da te.- Premette leggermente la sua mano e la mia schiena si sollevò, quasi come se fino a quel momento fossi stata ricurva su me stessa. I piccoli sospiri spezzati diedero prova dell'effetto che quell'uomo stava avendo su di me: era un abile giocatore, dovetti ammetterlo. Stava constatando le sue parole sulla mia persona, stava mettendo in pratica ciò che mi stava insegnando. Lo guardai con la coda degli occhi, leggendo sul suo volto tutta la serietà con cui stava misurando le sue parole, mentre era intento ad osservare i suoi stessi gesti.
-Devi quantificare gli ingredienti, e verificare sempre che siano quelli giusti Jolie. Devi creare un mix perfetto per contagiare la gente, farle credere ciò che tu vuoi che essi credano. Tu devi essere il virus.- Mi osservò in volto, staccandosi ed allontanandosi da me; nella sua più totale serietà si accertò che avessi appreso ogni singola parola detta, che ne avessi percepito anche il sottile significato nascosto. Annuii senza mentire perché fui certa che quelle parole le avrei difficilmente potute dimenticare.
I suoi occhi, riassorbirono tutti i colori e le sfaccettature prodotti precedentemente, ritornando del loro naturale verde salvia.
-Esercitati. Per oggi abbiamo terminato, domani vorrò constatare i tuoi progressi.- Mi fece cenno di seguirlo attraverso la porta che ci avrebbe ricondotti al lungo corridoio illuminato,  riaccompagnandomi nuovamente nella mia stanza.
Giunta alla soglia, lo osservai andare via, procedendo giù per la scalinata; era lui il vero virus e si stava insinuando in me per avvelenarmi.

Azazel - Lucifer's SonWhere stories live. Discover now