Capitolo ventisei.

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Credo che il dubbio e l'incertezza siano le basi su cui la vita costruisce la proprie fondamenta, instabili certo, ma dipende dai punti di vista

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Credo che il dubbio e l'incertezza siano le basi su cui la vita costruisce la proprie fondamenta, instabili certo, ma dipende dai punti di vista. Il dubbio può essere il piú grande dei mali per i timorosi, troppo spaventati dall'ignoto, dall'ignoranza del domani ma, allo stesso tempo, può essere la più grande speranza per chi vive ogni momento, vedendolo come un costante interrogativo, una chiave che apre le porte della conoscenza: un infinito limite da superare che non sai mai cosa potrà  riservarti. Per chi invece, come me, si trova esattamente nel mezzo di queste due fazioni, la situazione è ben piú che complessa: vogliamo affrontare la vita così come viene ma, nonostante ciò, il non riuscire a vedere oltre il nostro naso, non avere una visione troppo ampia del futuro, ci spaventa a morte.
Mi trovai esattamente nella scomoda posizione di voler vivere appieno questa situazione, del tutto degradante per me, per scoprire cosa il tempo mi avrebbe riservato, essendone al contempo impaurita. Da dove avrei potuto cominciare a scavare per poter trovare qualche indizio capace di fare chiarezza su tutta questa storia? Ero perennemente sotto il controllo di uno degli abitanti di quella tenuta, non avendo il tempo o lo spazio necessario da dedicare alle mie ricerche. Una settimana era volata via, senza aver più incontrato Dimithryus, che mi ignorò volutamente, cercando di non incrociarmi neanche per sbaglio. Non compresi il suo cambiamento ma, non mi dispiacque essere lasciata un po' in disparte, escludendo quelle volte in cui Admoreth era solito ronzarmi attorno per infastidirmi. Non avemmo più modo di parlare, tenere una seconda lezione di Bon Ton o sedere a tavola insieme dopo che Snow fu chiara nel riferirmi i voleri di Dimithryus: avremmo pranzato e cenato in orari differenti. Passai la maggior parte del tempo rinchiusa nella mia stanza e, la solitudine addizionata ai tanti pensieri, non furono d'aiuto.
Sapevo bene che sette giorni non sarebbero stati sufficienti a Sebastian per ritrovarmi e, non avendo nessun tipo di indizio sulla mia sparizione, tutto sarebbe stato molto piú complicato, nonostante il prevedibile aiuto da parte dei nostri amici e conoscenti.
Dopo tutti quei giorni in isolamento decisi che prendere un po' d'aria mi avrebbe giovato, considerando che avevo già sfruttato tutti i passatempi a mia disposizione.
Abbandonai silenziosamente la stanza, accingendomi per le scale che scesi in punta di piedi, accarezzando il corrimano in ottone lucido; Mi accovacciai  sulla gradinata, sbirciando attraverso la ringhiera in legno, per accertarmi che nessuno fosse li attorno. Osservai l'ampio ingresso, circospetta, aspettando che qualcuno sbucasse dal nulla e mi cogliesse sul fatto ma, dopo vari minuti di attesa, non accadde nulla; presi coraggio ed avanzai, non prima però di essermi privata delle scarpe: l'ultima cosa di cui avrei avuto bisogno in quel momento era fare troppo rumore.
Sfrecciai, in punta di piedi, attraverso la stanza per raggiungere la grande porta che scoprii, con piacere, essere aperta. Risi come un'idiota una volta fuori, respirando l'aria briosa di quella giornata torbida. Il fresco venticello cullò i miei capelli, scompigliandoli, ma ridandomi quella minima sensazione di libertà di cui fui privata fino a quel momento.
Premetti la schiena contro il grande portone, guardando in alto per assicurarmi che tutti i balconi fossero sigillati a dovere. Annusai la brezza frizzantina, socchiudendo gli occhi, percependovi l'odore di muschio bagnato, di terra umida e di foglie secche: probabilmente a breve avrebbe piovuto, ma non me ne curai seriamente.
Proseguii la mia fuga rasentando costantemente le alte e taglienti mura, aggirandole, così da raggiungere il boschetto retrostante; infiltratami nella selva, sospirai nel sentire il piacevole solletichio sotto i miei piedi, provocato dall'erba umida. Passeggiai indisturbata, assorta totalmente in quel mondo che osservai con gli occhi di chi nasce per la prima volta: gli alti alberi coprivano il cielo plumbeo, oscurandone l'area; il fruscio causato dal batter d'ali, delle molteplici specie di uccelli presenti, sfioravano le foglie che, ormai secche, cadevano a pioggia danzando, per poggiarsi sul terriccio fresco e, le piccole varietà di farfalle donavano un tocco di colore in piú a quella distesa di verde. Feci attenzione a non scivolare su tutto quel muschio, addentrandomi sempre di piú in quel luogo così inesplorato, che quasi mi sentii in colpa, come se proseguendo avrei potuto profanarlo; il silenzio regnava sovrano e non ci fu mai melodia più dolce. Ero immersa nella natura e mi ci rispecchiai appieno, sentendomi quasi io stessa parte di essa.
Non fu un'esperienza nuova per me: fin da piccola, girovagare per luoghi come quello, era un'abitudine ben radicata ma, tutto questo era diverso: ebbi una nuova percezione di quello che osservavo, di ciò che mi accadeva intorno, quasi come se tutti i miei sensi fossero in allerta per recepire ogni singolo particolare.
Permisi alle mie mani frementi di sfiorare le docili piante rampicanti, stando attenta a non ferirmi con quale rovo presente qua e la e, alle mie orecchie di ascoltare il suono prodotto dal mondo.
Dopo un'attenta esplorazione, decisi fosse il momento di rientrare, avendo ormai constatato che non vi era via di fuga: la recinzione che racchiudeva quella tenuta era costituita da una parte elettrica, a corrente continua, che i cartelli messi ben in vista definirono come "alta tensione"; io lo avrei definito " friggi e restaci secco": era certo che non avrei tentato la sorte superando un cancello che sviluppava una potenza superiore a 150kv. Avrei sperimentato altro.
Alzai la testa per poter capire a che altezza si trovasse il sole e poterlo usare per ritrovare l'orientamento; ero arrivata da nord ed avevo proseguito prima verso sud e poi svoltato verso est, non sarebbe stato complicato. Ovviamente la fortuna non fu dalla mia parte poichè, la giornata che si prospettò uggiosa, nascondeva la grossa stella ai miei occhi, aiutata dagli alti fusti di cui quel bosco era colmo.
Il cuore prese a martellarmi nel petto, e osservandomi attorno tutto mi sembrò troppo scuro e gli alberi tutti troppo uguali, non trovai segni che mi avrebbero riportata sulla via del ritorno; la consapevolezza di essermi persa mi investí, accelerando il mio respiro ormai affannoso, cosí cercai di calmarmi per non andare in iperventilazione. L'unica cosa da fare era pensare lucidamente.
Ero un segugio, ed il terreno umido avrebbe reso visibili le mie orme che mi avrebbero condotta fuori. Mi inginocchiai  spazzando via, con le mani, il tappeto di foglie secche creatosi sul suolo, ritrovando il primo segno; ma non fui cosí fortunata perché, proseguendo, notai che le mie orme erano state cancellate dall'umiditá che gocciolava via dagli alberi, formando piccole pozze assorbite poi dal terreno.
Ero fregata.
-Dannazione!- Imprecai serrando i pugni.
-È importante seguire il sentiero, non sai mai chi potresti incontrare nel bosco, Cappuccetto.- Riconobbi subito quel timbro, voltandomi verso il punto d'origine di quelle parole.
-Oh lo puoi ben dire, nonnina!- Incrociai le braccia, spostando i miei capelli via dal viso con uno sbuffo.

Azazel - Lucifer's SonOù les histoires vivent. Découvrez maintenant