Capitolo cinquantacinque.

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"Cogito ergo sum" affermava Cartesio. Penso dunque sono; come se ragione e coscienza fossero due cose ben distinte e separate.
Ero sempre stata dalla sua parte, prendendo questa massima come un mantra di vita: il mio essere, la mia anima, i miei sentimenti, prescindevano dalla mia attività cerebrale.

Fu in quel preciso momento che mi schierai  per la fazione contrapposta, donando tutto il mio appoggio a quegli scienziati che affermavano invece che razionalità e biologia, nell'essere umano, siano strettamente interconnesse e che dunque le emozioni sono nient'altro che il frutto di risposte fisiologiche all'ambiente circostante. La coscienza dentro la ragione.

Penso dunque sono: formula esatta con interpretazione errata.

Semplicemente, in quel momento, mi resi conto di non essere nient'altro che una macchina dagli ingranaggi perfettamente oliati ed incastrati, che giravano grazie al terrore come forza motrice.

Erano questi i pensieri che allontanarono la realtà di ciò che stava accadendo intorno a me, cercando il più possibile di dissociarmi da me stessa in qualche modo, inutilmente.
Strinsi con maggiore forza il braccio di Dimithryus che, come un bastone, tentava di sostenermi inconsapevolmente in quel cammino verso la morte.
Credevo di averla accettata, di essere scesa a compromessi con quella parte di vita in cui i sipari venivano chiusi eppure, il troppo preavviso riguardo la mia fine, non aveva fatto altro che predispormi a temerla ancora di più. La consapevolezza delle cose non è sempre un bene: a volte restare all'oscuro della verità impedisce al nostro cervello di varcare la soglia della pazzia.

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Raggiungemmo l'elegante salone dove, al centro, vi era un'enorme tavolata dalla lunghezza sproporzionata, imbandita di profumate pietanze che misero a dura prova il mio stomaco nervosamente attorcigliato.
Tutti gli invitati avevano preso ormai posto stuzzicando gli assaggini sapientemente organizzati, senza curarsi troppo della nostra entrata; solo Lucifero ci vide avanzare, sorridendoci obliquamente prima di invitarci a raggiungere il suo fianco.
La sua seduta, anche questa volta, risultò essere maestosamente più grande ed elegante rispetto a tutte le altre, appunto per differenziare il suo status di Re.

Come se i miei piedi fossero improvvisamente radicati al suolo, smisero di rispondere ai comandi impartiti, immobilizzandomi sul posto nel momento stesso in cui Dimithryus provò a tirarmi verso suo padre.  L'istinto di sopravvivenza, mescolato ad un lontano ed amaro sapore di timore, mi impedirono di proseguire.

Dimithryus mi osservò accigliato e dubbioso, non comprendendo del tutto il perché del mio atteggiamento restio.

-È tutto okay, Jolie?- Domandò in un sussurro sovrastato dal chiacchiericcio costante degli invitati ignari.
Dapprima non risposi, sostenendo lo sguardo bruciante di Lucifero che, con un semplice gesto del dito, come se questo fosse collegato a dei fili invisibili legati al mio corpo, mi spinse in avanti di un mezzo passo. Fu come sentire le sue possenti mani feline su di me.

-Quello è il nostro posto? - Domandai cercando sicurezza laddove non ve n'era. Indicai, con un cenno della mano, due posti vuoti alla destra di Lucifero che, ovviamente, era seduto a capotavola.
Admoreth, a sua volta, manteneva saldo il posto alla sinistra del grande ospite d'onore.

-Sì, ragazzina. Andiamo.- Afferrò dolcemente la mia mano, trascinandosi dietro il peso morto che rappresentavo.

Presi posto accanto al mio accompagnatore sotto le occhiatine sfuggenti dei presenti. La sensazione di disagio non si acquietò, anzi diventò sempre più invadente quando, con rammarico, mi resi conto di essere una succosa bistecca lanciata in un recinto di leoni affamati.

Azazel - Lucifer's SonWhere stories live. Discover now