Capitolo trentacinque.

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Restai tutto il pomeriggio ad ingegnarmi per trovare un valido nascondiglio a quei libri "rubati".  Bocciai diverse ipotesi che vedevano come protagonisti rifugi pessimi o idee che neanche un bambino di cinque anni, o anche meno, avrebbe mai approvato.
Dopo ore di riflessione e calcoli di probabilità, qualcuno bussò alla mia porta ed io, prontamente, lasciai scivolare la marmaglia di libri sotto il letto, colpendo con la punta del piede alcuni degli spigoli ancora visibili; feci parecchi respiri profondi per permettere al mio corpo teso di rilassarsi. Ero una pessima bugiarda io: probabilmente se mi avessero chiesto cosa avessi combinato, perchè si sarebbe subito notato dai miei modi schivi, avrei confessato tutto in lacrime; se in caso contrario mi avessero colta sul fatto, il motto sarebbe stato solo uno: negare fino alla morte.
-Jolie è permesso?- La voce di Dimithryus risuonò aldilà della porta, ponendomi sugli attenti. Mi imposi di mantenere un tono fermo e deciso, una postura morbida ed il respiro regolare.
Raggiunsi  la piccola toiletta per specchiarmici e farmi trovare impegnata in qualcosa.
-Avanti.- Dissi cercando di sistemare i miei indomiti capelli.
-Buon pomeriggio ma chère.- Entrò chiudendo la porta alle sue spalle facendomi sussultare; non che avesse bisogno di chiedere consensi essendo nella propria dimora, ma ero tesa come una corda di violino e tentavo  inutilmente di nasconderlo.
-Buon pomeriggio a te.- Dissi noncurante, continuando ad armeggiare con le forcine sparpagliate sulla consolle. Osservai la figura dell'uomo attraverso lo specchio rotondo, e lo vidi accomodarsi sul mio letto, dietro di me, osservandomi per mezzo del riflesso.
-Volevo chiederti se hai consultato Snow per la conferma dei colori, il grande giorno si avvicina e ci sono da ultimare ancora alcuni particolari.- Passò una mano sul volto stancamente, come se tutta quella organizzazione lo stressasse.
-Non l'ho incontrata questa mattina, mi spiace.- Mentii. Ero una pessima, pessima bugiarda.
Si alzò dal suo posto raggiungendomi e ponendo le sue grandi mani sulle mie spalle, piegandosi alla mia altezza.
-Qualsiasi cosa tu stia tramando, lo verrò a scoprire ancor prima che tu possa dire "Piano B".  Ero venuto qui per chiederti di aiutarmi nella scelta dell'abito, non mi aspettavo di certo di aver interrotto la pianificazione della tua fuga. Sono costernato.- Fiondò il naso tra i miei capelli, annusansone l'essenza ad occhi socchiusi e, riaprendoli, potei notare la sfumatura rossastra che essi assunsero. -Ti ho già detto che l'odore della tua paura è una delle mie fragranze preferite?- Sorrise meschinamente, perso un po'  tra i suoi pensieri.
Io, ovviamente, pensavo scherzasse quel giorno nel bosco, non avrei mai immaginato che fosse totalmente serio; avrei dovuto prevederlo, viste le cose assurde che constatai in quel periodo di reclusione. Non avrei dovuto dare nulla per scontato ma, soprattutto non avrei dovuto sottovalutare il nemico.
-Non progettavo nessuna fuga.-  Permisi al mio cervello di elaborare una mezza verità, dovendo giocare di astuzia: si, cercavo il modo di scappare, ma prima avrei dovuto capire perchè io fossi li.
-Questa è una bugia Jo, lo sai bene.- Il timbro della sua voce era dolce, mieloso, come se fosse rivolto ad una bambina.
Mi alzai dal piccolo sgabellino, fronteggiandolo in segno di sfida, facendo ampliare cosí il suo sorriso obliquo. Si stava forse divertendo?
-Non sto mentendo.- Scandii ogni singola parola, per rendere il tutto più credibile: volli fare la dura solo per fargli comprendere quanto fossi seria nonostante, in cuor mio, sapessi di stare "omettendo" un piccolo particolare.
*Mantieni il contatto visivo, non abbassare lo sguardo.* Ripetei incessantemente nella mia testa.
Eravamo talmente tanto vicini che un solo sospiro era li a separarci; eravamo in piedi uno di fronte all'altra non vedendoci realmente, troppo presi com'eravamo a studiarci nel dettaglio. Riuscii ad osservare ogni singola pagliuzza grigia delle sue iridi verdi, a sentire il suo torace trattenere quel respiro spezzato, ed io ero ferma a farmi travolgere da questa sensazione di smarrimento che nacque in me quando mi accorsi che, in realtà, non lo avevo mai visto davvero. Non riuscii a trovare un valido motivo per allontanarmi da quello che rappresentava, perchè ero persa in lui, lui che non mi concesse di liberarmi da quelle catene che i suoi occhi avevano legato attorno a me.
Mi afferrò dalla vita, lasciando che i nostri corpi si toccassero prepotentemente. Era tutto sbagliato, eppure lo anelai come l'aria nei polmoni; mi afferrò il volto, girandolo, per poter farsi strada al mio orecchio ed io lo lasciai fare, come se lui potesse finalmente dare una forma a quell'essere che non fui mai: -Non scherzare con me, ragazzina. Non offendere la mia intelligenza, non mentirmi, non provocarmi e sta al tuo posto.- Sputò tutto con profondo disprezzo, mollandomi li con uno scatto e sparendo troppo velocemente.
Rimasi immobile per qualche istante e, dentro di me, assorbii le sue parole che rintronarono nelle mie orecchie in un costante remake. Una furia cieca mi pervase offuscando ogni ragione: tutta la consapevolezza di quello che accadde qualche secondo prima, ricadde su di me, mostrandomi quanto fossi stata patetica. Avevo appena concesso al mio cuore di battere un po' più forte, ai brividi di percorrere la mia schiena e a lui di toccarmi: cosa stavo diventando? Cosa ne stavo facendo di me stessa? Avanzai a grandi falcate verso la porta, aprendola con uno scatto repentino, i pugni ben stretti e la mente in fiamme: persi ogni barlume di coscienza, fu come se l'ira ardesse in me e non ebbi ne modo ne voglia di controllarla. Seguii Dimithryus in direzione della sua stanza e, la rabbia, crebbe proporzionalmente alla vicinanza con l'oggetto della mia ira. Ogni singola sinapsi mandava scariche elettriche, e capii che qualcosa dentro di me cercava di prevalere, annullandomi quasi completamente: provai un senso di dissociazione dal mio corpo, rendendomi spettatrice di una me, che compiva azioni quasi in maniera del tutto automatica. Contrariamente a quanto pensassi, lo raggiunsi in breve tempo, consapevole che  avesse avvertito la mia presenza.
Concentrai  tutto il risentimento provato, tutta l'amarezza e la delusione accumulate e, la mia mente, le focalizzò come energie che ridussi ad una vibrante  sfera di negatività, pronta a rimbalzare in me da un momento all'altro. Riaprii gli occhi, abbandonando la concentrazione mantenuta e mi sentii rigenerata di una forza nuova, mai provata, capace di brillare attraverso le mie pupille che, prontamente, saettarono sulla figura imponente che mi dava le spalle; sollevai un braccio ed immaginai di star stringendo la sua gola tra le mani e, come se l'aria attorno a me avesse percepito questa mia esigenza, lasciò che Dimithryus si sollevasse in sincrono con i miei movimenti. Ero io il direttore dell'orchestra: dirigevo il suo corpo a ritmo dei miei desideri e potei sentire nitidamente la mia presa farsi più ruvida, nonostante io non lo stessi sfiorando affatto.
Quando i suoi ansimi divennero insopportabili, mischiandosi al mio affannoso respiro, abbassai il braccio che tenni sollevato fino a quel momento, lasciandolo cadere rovinosamente sul pavimento. Non provai rammarico per il mio gesto, solamente tanta, tanta rabbia. Chi era il burattino ora?
Dimithryus si rialzò, voltandosi nella mia direzione, muovendo un passo verso di me con le braccia larghe protese in avanti, massaggiandosi il collo di tanto in tanto.
-Calmati Jolie.- Tentò di rassicurarmi notando il mio smarrimento.
-Non avvicinarti! Non fare un altro passo o giuro che ti ammazzo D!- Urlai, protendendo nuovamente la mia mano verso di lui. La consapevolezza di ciò che ero in grado di fare mi esaltò all'inverosimile; mi sentii una bambina in un negozio di caramelle e, l'irrefrenabile voglia di sperimentare e scoprire fino a dove potessi spingermi, oscurò ogni buon senso. Osservai le mie mani attentamente, sperando immensamente di riuscire a vedere, dare una forma alla forza che esse avevano sprigionato.
In un millesimo di secondo l'uomo sparì dalla mia visuale, per finirmi alle spalle e cingere il mio corpo tra le sue braccia muscolose, in una morsa invalicabile; cercai inutilmente di liberarmi, provando a muovermi con violenza ma, la forza di cui disposi fino ad allora era come sparita, andata. Ero nuovamente Jolie la prigioniera.
Rinsavii del tutto, ancora intrappolata tra le braccia di Dimithryus che espresse bene la sua intenzione di non lasciarmi andare.
-Va meglio?- Ansimò affannato al mio orecchio.
Riacquistando lucidità tutto mi apparve confuso, privo di senso: Cosa avevo appena fatto? Come ci ero riuscita?
Mi sentii svuotata, come se quella sfera energica si fosse appena dissolta in me, scoppiando come una piccola bolla di sapone; solo una forte stanchezza, mista ad una simil sensazione di malinconia, riuscirono a colmare quel profondo buco interiore che chiedeva di essere risanato. Quello non fu il primo episodio di perdita di ragione e coscienza che ebbi, ma lo classificai come il più intenso, chiedendomi quanta cattiveria fossi in grado di coltivare in me, quanto rancore potessi ancora esprimere e come avrei fatto ad estirparlo dal mio essere.
Ero davvero io quella Jolie che tentava di uscire allo scoperto, per potersi ribellare ad una vita che non gli apparteneva?
Mi accasciai al suolo, accompagnata dall'abbraccio di Dimithryus che tentò di calmare il mio pianto singhiozzante.
-Ho come la sensazione che il cuore voglia esplodermi nel petto.- Annaspai alla ricerca di un po' d'aria, tirando su col naso. Non ebbi il coraggio di sollevare lo sguardo per incontrare i suoi occhi ricolmi di domande a cui io stessa non avrei potuto dar risposta.
-Credo che sia meglio se ti riaccompagni  alle tue stanze.- Riuscí solamente a dire.
Non avrei trovato conforto in lui in un momento come quello, dove la sensazione di smarrimento mi depersonalizzò quasi completamente, ne in nessun altro li dentro; avrei dovuto semplicemente cavarmela da sola come avevo sempre fatto. Ci sarei riuscita.

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Azazel - Lucifer's SonWhere stories live. Discover now