Capitolo quarantasette.

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Ormai mancava solo un giorno al grande evento organizzato in onore di Lucifero. Ciò voleva dire che, da quel momento in poi, le cose sarebbero arrivate ad un punto di svolta: l'inizio o la fine di ogni cosa.
Le domande che avrei dovuto pormi si erano acquietate già da un bel po' di tempo: probabilmente le ultime risalivano al mio tentativo di fuga.
Era inutile cercare risposte laddove non avrei potute trovarne o, comunque, avevo visto fin troppo per continuare a soffermarmi su quesiti già triti e ritriti.
L'unica questione su cui il mio cervello continuava a lavorare incessantemente, era quella riguardante Sebastian; era chiaro che avrei dovuto attendere il ricevimento per ottenere qualche risultato ma, la paura di perderlo e l'ansia di metterlo nelle mani di Hannette, offuscava la ragione.

In quel momento sentii la necessità di un confidente, di qualcuno in grado di darmi un consiglio o anche solo un briciolo di supporto emotivo; ma ero sola. Sola, rinchiusa nella prigione dei miei pensieri.

Cronostoricamente parlando la mia vita era stata un continuo altalenare da una situazione pessima ad un'altra, intervallate da momenti di felicità donatimi dai miei amici, uno dei quali, quello che ritenevo essere sangue del mio sangue, era in estremo pericolo ad ogni suo respiro. Ed io mi sentivo totalmente impotente e senza alcuna scappatoia.

***

In quell'oscura giornata, la pioggia batteva incessantemente contro le larghe vetrate del salone d'ingresso producendo un ticchettio costante, che si fondeva perfettamente con il crepitio del fuoco nel camino.
Ormai quello era diventato il mio posto preferito, in grado di donarmi la giusta quiete per riuscire a riflettere, senza far gravare sulle mie spalle alcun tipo di pressione.
Seduta sul grande e morbido tappeto, alle prese con la mia magia, udii distintamente due voci dai toni gravi provenire dal piano superiore.
Seguii l'eco delle parole, che mi condusse davanti la porta di una stanza a cui non avevo mai avuto accesso; il battente, leggermente socchiuso, mi permise di osservare la scena intenta a svolgersi all' interno: Dimithryus ed Hannette che, in un'accesa discussione, si inveivano contro.

-Non credevo fossi così stupido! Per amore degli inferi, guardati! Lucifero ha seri dubbi sul fatto che tu, alla fine, possa restargli fedele!- La donna gesticolava furiosamente, inchiodando i suoi occhi ricolmi di ira, in quelli dell'uomo che parve essere impassibile.

-Continuo a non capire a cosa diavolo tu ti riferisca, dannazione!- Le parole di Dimithryus parvero perdersi nel rombo del tuono che squarciò l'aria in quel momento, facendo vibrare i sottili vetri delle finestre.

-Sa cosa è successo fra te e l'umana, Dimithryus, così come lo so io e tutto il resto dei tuoi sudditi! L'hai portata a casa nostra, le sei saltato addosso come uno schifoso sentimentale! Cosa stai diventando? Dov'è finito il mio principe oscuro?- Le urla ormai si sovrapponevano, non lasciando spazio al dubbio che stessero parlando di me.

Dimithryus afferrò il collo di Hannette, stringendolo in una morsa ferrea che, temetti, potesse mandarlo in frantumi tra le sue dita, come sabbia. -Non osare mai più rivolgerti a me con quel tono o, giuro su nostro padre, che mi nutrirò di te fino all'ultimo brandello della tua schifosissima anima.- Ringhiò e, in quel momento, sul viso della donna spuntò un sorrisino compiaciuto che non compresi. -Quello che è successo con Jolie è stato uno stupidissimo sbaglio carnale. Il termine "sentimenti", nel mio vocabolario, si trova proprio sotto la voce "odio".- L'uomo terminò il suo sproloquio in un bacio rude ed irruento: le loro labbra unite passionalmente, misero un punto definitivo a quella conversazione.

Come se fino a quel momento avessi osservato tutto con distacco, dove una fitta nebbia mi oscurava la vista, i miei occhi misero a fuoco la scena, infiltrandosi meschinamente in quell'attimo così intimo tra i due.
Uno squarcio profondo si fece largo nel mio cuore, strappandolo così rumorosamente da immobilizzarmi, facendo sì che piccoli tremiti mi scuotessero dall'interno. Le lacrime presero a sgorgare senza che potessi fermarle e, leggeri singulti, minacciavano di farmi scoprire.

Ero stata fatta a pezzi senza essere toccata. L'uomo, il demone, era strisciato come un serpente velenoso all'interno del mio animo, marchiandolo irrimediabilmente ed ora, osservando con orrore la realtà dei fatti, mi resi conto che, oltre ogni mia aspettativa o volontà, quello che provavo per lui era amore; la purezza dei miei sentimenti, per quell'essere, era irragionevolmente profonda, poichè guardava oltre ciò che lui mostrava, oltre quella che era la sua natura.
Lì, sorretta allo stipite della porta da cui sommessi gemiti si liberavano, cercai la forza di andare via e dimenticare ogni cosa, cancellare il riverbero delle pungenti parole con cui aveva screditato ciò che era successo tra noi, annientare le emozioni.

Corsi via cercando sostegno, di tanto in tanto, lungo le pareti che sfrecciavano confusamente al mio fianco, non udendo nemmeno le urla di Admoreth quando, con uno scatto della mano, lo scaraventai di lato per liberare il passaggio.
Tutto il mondo mi parve fuori fuoco, irregolare come i battiti del mio cuore, ingiusto come me in quel mondo così crudele.
Quali erano le giuste parole per descrivere l'amara delusione provata in quegli istanti? Il cuore mi era stato strappato via dal petto, messo nelle mani di Dimithryus che lo aveva spremuto tanto da farlo sanguinare.

Non vi era nulla da amare in quell'angelo caduto, nulla; eppure io, quasi ancestralmente, non riuscivo a non provare qualcosa per lui; come se una forza più grande mi spingesse tra le sue braccia, per qualche motivo ignoto, costringendomi ad amarlo senza che avessi facoltà di scelta.

Irosamente, scacciai  via le lacrime dal mio viso, con il dorso della mano, cercando di raccattare i cocci della mia dignità, prima che questa si polverizzasse.
Il suo, era forse un modo per allontanarmi? Sapevo avesse sentito la mia presenza, come capitava a me quando lui era nei paraggi. Quindi voleva che io assistessi?
E comunque che differenza avrebbe fatto? Ormai non mi importava più nulla, sentii solamente la necessità di ritagliarmi un momento, utile a leccarmi le ferite.

Raggiunsi il salone d'ingresso, ancora singhiozzante, fiondandomi sulla porta d'entrata che sapevo essere aperta a causa di Snow, intenta a curare il suo orticello, per coprirlo da quella pioggia torrenziale.
La mia meta era la casetta rustica nel bosco circostante alla tenuta: un luogo di quiete dove avrei potuto sfogare tutto il mio dolore in un pianto liberatorio.

Il vento s'infrangeva sul mio corpo, anelante la libertà, a folate gelide che non riuscirono a calmare il mio animo in fiamme, ma che fecero bruciare le mie lacrime ancor di più, sottolineandone la presenza.
Caddi sulle ginocchia più volte, smarrita nell'invernale terriccio umido che, ricolmo di pozzanghere fangose, rispecchiava i possenti alberi stagliati alti nel cielo.
Finalmente, col fiato corto ed il cuore impazzito per la corsa, vidi in lontananza la piccola casa, circondata dall'erba secca che risultò essere più alta dell'ultima volta.

La pioggia sferrava le sue pungenti gocce fredde sul mio volto, andandosi a mischiare alle amare lacrime che parvero infinite quando, finalmente, trovai riparo sotto la tettoia in legno.
Aprii la porta che emise uno scricchiolio sinistro, avanzando all'interno dell'abitazione polverosa;
leggeri fasci di luce ombrosa provenivano dalle piccole finestre della cucina, infrangendosi sul pavimento.
Con un balzo, mi distesi sull'antico divanetto a due posti dove, senza alcuna restrizione, riuscii a lasciarmi andare ad un pianto liberatorio che mi privò di ogni forza.
Odiai Dimithryus dal più profondo delle mie viscere; lo odiai perchè ero parte di un suo meschino piano, perché avevo creduto che ci fosse qualcosa in lui ma, più importante perché avevo imparato ad amarlo.

Persa nella marea delle mie isteriche lacrime, non feci caso al leggero rumore proveniente da una delle piccole camere di cui quella casa era fornita.

-Oh, credo di essere capitato nel momento sbagliato!-  Sobbalzai, rimettendomi  in piedi e sull'attenti nell'udire quella voce possente e sconosciuta.

Un uomo dai capelli scuri e barba brizzolata, mi fronteggiava impavido dalla sua altezza, fiero nella postura.
Gli occhi dalle tonalità cangianti, fissi nei miei in attesa di una mia risposta che, purtroppo non arrivò, sostituita da un singhiozzo reduce del pianto.

-Povera piccola, cosa ti è capitato?- Piegò leggermente la testa di lato, muovendo un passo nella mia direzione, che produsse un lieve stridio dei suoi anfibi.
Mi allontanai  quasi impercettibilmente, assumendo inconsciamente una posizione di difesa verso l'uomo.

-Chi sei e cosa ci fai qui? Questa è una proprietà privata.- Tentai in atteggiamento spavaldo che voleva essere quasi intimidatorio.  L'uomo sorrise, stringendo la punta della lingua tra i denti e passando una mano, fasciata in un guanto di pelle nera, sulla sua barba.

-Vorrai perdonarmi. Sono un grande maleducato. Permettimi di presentarmi.- Afferrò una mia mano e, in un lieve inchino, vi lasciò su un lieve bacio. -Ho tanti nomi, ma tu puoi chiamarmi Lucifero.-

Azazel - Lucifer's SonWhere stories live. Discover now