Capitolo cinquantotto

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*Consiglio la lettura del capitolo con la canzone che vi ho proposto in anteprima. Nel caso in cui non dovesse uscirvi il video, basta premere sullo spazio vuoto, partirà ugualmente la riproduzione*

La distruzione fisica è qualcosa a cui si può sopravvivere; ne ebbi la conferma lo stesso istante in cui la mia essenza lasciò il mio corpo morente, viaggiando libera verso la mia sorte.
È la distruzione morale, quella dell'anima, a ridurti in milioni di piccoli frammenti che non si ricongiungeranno mai.

La dannazione, la possibile legge del contrappasso che gravava sulla mia testa come una spada di Damocle, erano nulla in confronto alla tortura data dalla consapevolezza di essere a due passi da qualcosa che si desidera fino all'esasperazione e sapere di non aver soluzione per ottenerla.

Quella porta rinforzata fungeva da divisorio tra la vera vita che, letteralmente appesa a delle spesse corde, veniva torturata senza alcuna compassione e la morte dove, l'anima dannata che rappresentavo, non aveva alcuna possibilità di riuscire ad assaporare quello scorcio di vita tra le braccia di Sebastian.

Eravamo lo Ying e lo Yang.
La luce ed il buio.
Il bene ed il male.

Non ero certa di quanto tempo passai ad infrangermi violentemente contro l'imposta arrugginita, calciando a piedi nudi le giunture o grattando con le unghie il muro di mattoni grezzi che circondava l'uscio.

-Dragă.-

La voce soffice di Sebastian non mi raggiunse, soffocata dai miei gemiti emessi per lo sforzo e che, mescolati agli sbuffi d'aria che rotolavano via dai miei polmoni, creavano un  frastuono ritmico nelle mie orecchie.

-Dragă.- Si sforzò nuovamente a richiamarmi.

Questa volta l'udii perfettamente: il suo tono, morbido e carezzevole, fu come quello che viene rivolto ad una bimba a cui viene spiegato un concetto complesso. Non volli ascoltare. In quel semplice nomignolo affettuoso aveva racchiuso il profondo significato di ciò che a parole non riusciva ad esprimere a causa del dolore: Jolie, lascia perdere.

Come avrei potuto lasciar perdere? Ero dannatamente morta. Andata. Sparita.
Ero finita lì per salvare la sua vita, non potevo arrendermi. Non lo avrei permesso: lo dovevo a lui, lo dovevo a me.

-Jolie.- Il suo tono aveva assunto sfumature gravi, un vero richiamo all'attenzione e, improvvisamente, smisi di colpire come un ossesso quella porta.

Il peso della consapevolezza, dato dall'impossibilità di abbattere quella frontiera, rotolò giù sottoforma di calde lacrime mentre, con la fronte poggiata allo stipite, cominciai ad accarezzare il nostro divisorio, come se in realtà stessi accarezzando il viso tumefatto di Sebastian per recare un po' di sollievo a quelle ferite.

-Non chiedermelo Seb, ti prego.- Lo implorai con voce rotta. -Dammi la forza; incitami a continuare questa follia.- Iniziai ad ammettere a me stessa che quella si prospettava una sfida impossibile.

Cosa poteva una semplice ragazza, proveniente da una famiglia disastrata, contro la morte? Nulla.
Io rappresentavo solo una delle tante pedine posizionate sulla scacchiera della vita, in una partita giocata tra Dio e Lucifero.
Inutile specificare chi fosse in vantaggio.

Per tutta la vita ero stata cieca non vedendo e non sentendo nulla, se non ciò che passava superficialmente davanti ai miei occhi. Il dono della fede non mi era stato concesso, rilegando la mia essenza alla materia concreta; eppure lì, in tutto il mio spirito senza corpo, ancora non riuscivo a comprendere sul serio quale fosse la realtà. Chi stava cercando di impartirmi una lezione? Il bene o il male?
Lucifero mi aveva mostrato la realtà che non avevo mai compreso; Dio mi aveva abbandonata o, forse, non mi aveva mai accompagnata.
Dio era morto.

Azazel - Lucifer's SonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora