Capitolo cinquantasette.

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La nascita e la morte sono le due fasi fondamentali che determinano il nostro passaggio sulla terra: transizioni che segnano l'inizio e la fine di ogni cosa.

Ho sempre considerato la morte come un mistero, un'enigma irrisolvibile che prima o poi mi avrebbe privata del materialismo di questa vita; ma, la paura stessa di essa, è considerabile come il suicidio dell'anima.

Nessuno ha mai potuto guardare alla morte per poi raccontarne la bellezza eterea.
La morte è un dono, un limbo che è necessario attraversare prima di divenire essenza, prima di diventare parte dell'universo parallelo ed inconsistente, prima del giudizio divino che determinerà la sorte dell'anima; un'estirpazione dall'involucro fatto di carne, per tornare ad essere finalmente parte del tutto.

La cosa più affascinante di questa transizione però, è la sensazione di rinascita; capire improvvisamente che è la vita ad incutere timore, ad essere quel purgatorio pieno di sfide e tentazioni e che, per quanto possiamo provare a cercare, spremere le meningi per trovarlo, essa non ha un reale significato. È semplicemente una costrizione necessaria per comprendere ciò che vi è dopo.

Noi siamo solo un pensiero che attraversa tutte le forme di materia, da quella concreta come l'acciaio a quella più evanescente come un colore; nient'altro.

E fu così che mi sentii appena la morte mi avvolse col suo manto oscuro, mostrandomi ogni singolo avvenimento della mia vita come fossi una spettatrice pronta a guardare un film dalle immagini sfocate e velocizzate.
Mi vidi cellula, poi embrione, poi feto;
mi sentii cullata in quell'antro che era il ventre di mia madre; mi vidi assaporare la fresca e nuova aria del mondo mentre venivo alla luce e poi vivere la mia vita, dai primi passi fino al mio suicidio, in piccoli e rapidi frame.

Dopo, il nulla.

Mi sembrò di volteggiare nell'etere, nell'assenza di luce, suono e tempo, ma con coscienza, consapevole di star eseguendo il più temuto dei viaggi.

Come una piccola, leggera nebula acquosa e brillante, danzavo tra i miei ricordi più lontani, protetta dal senso di tranquillità donatami dal mio non più essere.

Poi, come se un forte e gelido vento mi avesse risucchiata nell'occhio del ciclone, venni trascinata sempre più giù con grande violenza e, quando mi sembrò di non raggiungere mai la fine di quell'ascesa, capitombolai bruscamente su di un terreno arido.

Un sapore amaro e secco di zolfo esplose nelle mie fauci, facendosi largo col suo odore pungente fino alle narici.
Sputacchiai il terriccio qui e lì, tossicchiando per liberarmi dalla rete che aveva causato nella mia gola, prosciugandola.
E fu allora che mi resi conto di essere tornata materia: osservai le mie mani come se non le avessi mai avute e, con grande stupore, presi a tastare ogni singola parte del mio corpo, fasciato dal morbido tessuto di un vestitino dal bianco candido.

La morte era rinascita.

Iniziai a tastare il terreno bollente osservandomi attorno: uno spazio angusto, assai lungo e stretto, mi teneva schiacciata al suolo, rinchiusa in quello che all'apparenza sembrava un forno molto basso, sudicio e ricolmo di insetti viscidi che si muovevano freneticamente, fuggendo via, in fondo alla parete di quella strettoia.
Proprio lì, come uno sfiato sulla libertà, un piccolo fascio di luce filtrava da sotto quella che pareva essere una porta, una cavità incastonata nel pungente muro grezzo.

Accanto al mio corpo imporporato di terriccio, vi era il pugnale con cui avevo posto fine alla mia vita, grazie il quale avevo condannato la mia anima alla dannazione eterna.
Lo afferrai, ispezionandolo con non poco sforzo a causa della luce fioca di quel luogo, constatando fosse ancora intatto.

Azazel - Lucifer's SonUnde poveștirile trăiesc. Descoperă acum