CAPITOLO 7: Dasvidania

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Cammino a testa bassa, tenendo lo sguardo puntato sulle mie infradito zozze.

Il vento mi regala un po' di tregua, anche se la sfumatura di ansia che mi accompagna dalla scorsa notte continua a perseguitarmi come quegli odiosi gonfiabili a forma di fenicottero rosa. Sì, li odio.

Ne pretendo l'estinzione.

Il clandestino, bello come il sole che risplende in cielo, è rimasto ad una manciata di metri, alle mie spalle.
Stiamo percorrendo il lungomare di Viareggio, clamorosamente privo di cenni di vita.

"Mannaggia a questa crisi... pure il settore turistico stanno distruggendo, maledetta globalizzazione!"

Ma non ce la faccio proprio a focalizzarmi sugli strascichi della depressione economica nella costa dell'Alta Toscana.

Perché lui è qui, con me.
Dietro di me.

"Se ti sta guardando il culo, Selvaggia, non è una bella notizia: significa che hai il deretano da uomo!" penso, avvilita come la peggiore delle sfigate.

Perché l'ho sentita bene, quella frase; l'ha detta col suo accento slavo, ma a me non sfugge mai niente.

Se mi avesse tirato una testata in fronte, sarebbe andata meglio.

"'Io son gay'... ammazza, che bella presentazione! Ma a me chi ci pensa? Chi??? Cosa ho fatto di male nella vita?"

Mi sto arrovellando le budella, tanto tento di trovare una ragione alla iella pazzesca che mi stalkerizza fin da quando sono nata, quando l'uomo mi ferma.

Gli bastano poche parole.

«Siamo arrivati, Sirena...»

Lo dice con quella voce calma, divertita, rassicurante.

Mi volto ed è ancora lì, a fissarmi, con le braccia incrociate sul suo petto muscoloso.
Ed è in questo istante che capisco che il tizio, sin dall'inizio della nostra passeggiata, oltre a rimanere in silenzio... non ha mai smesso di sorridere.

«Ehm... dove andiamo?» balbetto, mi tiro indietro i capelli.
Respiro così faticosamente che la collana dei miei genitori pare un vibratore attorno al mio collo.

«Pranzeremo lì, se non ti dispiace...» fa un cenno col capo, verso la parte opposta del viale.

Seguo la sua indicazione, strizzo le palpebre per mettere a fuoco.

"Eh?!"

«Lì dentro?!» sono basita. «Mangiamo al Principe di Piemonte?»

L'hotel extralusso, con più stelle dell'Hollywood Boulevard, si materializza improvvisamente davanti ai miei occhi.

È un albergo storico, simbolo della ricchezza sfrenata e dell'eleganza ultrachic del litorale; la sua architettura ricercata, in stile liberty, lo dipinge come una reggia settecentesca.

In poche parole, il Principe di Piemonte sta a me come Maurizio Costanzo sta a Marlon Brando.

Ed io, in questo caso, sono il marito senza collo della De Filippi.

«È un posto come un altro...» il profugo fa spallucce.

«Beh, insomma...» mi gratto il naso. «Non è una cosetta easy, uguale uguale al porchettaro post-fame chimica...» non ho parole.

Il ragazzo si avvicina, ancora, ed io mi paralizzo come una renna impagliata.

«Non ti piace?» mi sorride, tranquillo come un passero solitario. «È bello, te lo garantisco. Anche se qua sono sempre a lavorare, per cui me lo godo poco...»

COLPO DI STATO Where stories live. Discover now