CAPITOLO 25: Come Nelle Favole

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L'ufficio del Presidente Sergej Vladimirovich Volkov è, probabilmente, la stanza più bella del Gran Palazzo del Cremlino.

Il locale, grande come il ranch Volpe, è una immensa distesa di marmo bianco, così luminoso ed intenso che mi sembra di essere catapultata in un gigantesco lago di ghiaccio.

Sento quasi freddo.
Forse è per questo, mi dico, che la valanga di brividi che mi percuote la pelle si fa sempre più graffiante.

Forse. O forse no.

Trattengo il fiato quando varco la porta in legno pregiato, l'ultima del lungo corridoio del decimo piano, senza la forza di alzare la testa.

Con fare discreto, le mie pupille passano da destra a sinistra, dall'alto in basso, per abituare i miei occhi a questo nuovo panorama, questo nuovo ambiente.

Per conoscere timidamente il suo mondo.

Per sapere come vive, dove trascorre le sue giornate, cosa vede ogni mattina quando si reca a lavoro.

E mi sento così piccola, così inappropriata, come una nota stonata in questa melodia radiosa.

"Wow..."

Le gigantesche vetrate del suo ufficio mi regalano una vista mozzafiato: scorgo il sole al tramonto che illumina tutto il Cremlino, la capitale, il fiume Moscova che scorre beatamente nel cuore della città, fino alle cupole colorate della cattedrale di San Basilio le quali, da quassù, mi fanno sentire come un'aquila tra le nuvole.

Una scrivania d'altri tempi, curata nei minimi dettagli e sulla quale intravedo fascicoli, computer e scintillanti fermacarte, si trova dalla parte opposta del salone: le rifiniture dorate del tavolo, uguali e luminose come quelle che tracciano il perimetro della sala, abbellito ulteriormente da quadri di incredibile bellezza, sono così abbaglianti da provocarmi un dolce bruciore nelle pupille.

Una biblioteca strapiena di libri antichi, costosi e accuratamente ordinati, domina tutta la parete orientale della stanza mentre, e adesso alzo leggermente il collo, un enorme lampadario di cristallo cattura il riverbero rossastro del sole, generando un'atmosfera calda, di fuoco, che si unisce al colore scarlatto dei miei capelli sciolti.

E sì.

Lo avverto ancora. Ancora di piu.

Quel profumo.
Il suo profumo di neve fresca.

"Anche l'aria si inchina al suo cospetto..."

Forse sono così assorta, rapita, shockata dall'esplosione di magnificenza che mi travolge da non accorgermi che Sergej, rimasto alle mie spalle, chiude la porta con delicatezza.

Ed io mi blocco, al centro del suo ufficio, senza la forza di guardarlo.

«Prego, accomodati...» mormora, con quell'alone di emozione che tradisce la sua voce apparentemente calma.

Mi sento morire.
Mi sento così in ansia che, ancora non mi rendo conto che è tutto vero.

Che siamo qui.
Io e lui.

«Ehm...» mi mordo il labbro, rivolgo lo sguardo solo davanti a me, lontano da Sergej . «Dove?»

Forse sono così confusa da non aver il benché minimo senso dell'orientamento. Nel salone, infatti, ci sono così tante sedute da aver l'imbarazzo per la scelta: un divano bianco alla mia destra, alcune sedie attorno ad un piccolo tavolino da fumo vicino ad una delle finestre, le postazioni degli ospiti di fronte la sua scrivania.

«Dove preferisci. Dove vuoi te.» Sergej, dietro di me, smuove l'universo con il suo respiro.

"Madonnina, ti giuro che se non mi fai svenire prendo i voti che manco Lucia Mondella..."

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