Maia

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Eravamo andati a casa di Luke. Jace spalancò la porta facendo un casino infernale.

Vedevamo Simon che probabilmente era stato aggredito dalla lupa che stava bellamente stesa sul divano. Sicuramente quella che dovevamo, o meglio, che Magnus doveva curare, ma io ero venuto perché anch'io me la cavo nel curare la gente, non ricordo quante volte l'ho fatto con Jace e Isabelle.

Osservo Magnus nel suo abbigliamento, come sempre, molto appariscente: un lungo mantello scintillante che sembrava decorato di frammenti di vetro frantumato.

Gli occhi dorati di Jace si fissarono immediatamente su Clary con la precisione di un laser. Sembrava soltanto arrabbiato. «Che cosa credi di fare?» le domandò con un fastidio esagerato e studiato.

Clary abbassò lo sguardo su di sé. Era ancora appollaiata sul tavolino da caffè con il coltello in mano. Soffocò l'impulso di nasconderlo dietro la schiena. «Abbiamo avuto un incidente. Me ne sono occupata io.»

«Ma va'.» La voce di Jace trasudava sarcasmo. «Ma lo sai almeno come si usa un coltello, Clarissa? Senza sforacchiare te stessa o qualche spettatore innocente?»

«Non ho ferito nessuno» sibilò Clary tra i denti.

«L'ha conficcato nel divano» disse la lupa in tono fiacco, gli occhi che le si chiudevano. Aveva le guance ancora arrossate per la febbre e la rabbia, ma per il resto il suo viso era pallido in maniera allarmante.

Simon la guardò preoccupato. «Credo che stia peggiorando.»

Magnus si schiarì la gola. Visto che Simon non si muoveva, disse: «Fuori dai piedi, mondano» in un tono di immenso fastidio.  Attraversò a grandi passi la stanza verso il divano su cui era stesa la lupa gettandosi il mantello dietro le spalle. «Se ho ben capito, sei tu che hai bisogno delle mie cure?» chiese, abbassando lo sguardo su di lei attraverso le ciglia incrostate di glitter.

Lei lo guardò con gli occhi persi nel vuoto.

«Sono Magnus Bane» continuò lui in tono tranquillizzante, allungando le mani ornate di anelli. Scintille azzurre avevano cominciato a danzare tra di esse come una bioluminescenza che danza nell'acqua. «Sono lo stregone che è qui per curarti. Non ti hanno detto che stavo arrivando?»

«So chi sei, ma...» sembrava inebetita. «Sembri così... così... risplendente.»

Io feci un verso che assomigliava molto a una risata soffocata da un colpo di tosse, mentre le mani sottili di Magnus intrecciavano una cortina azzurra di magia intorno alla lupa mannara. 

Jace non rideva. «Dov'è Luke?» chiese.

«Fuori» rispose Simon. «Stava spostando il pick-up dal prato.»

Jace ed io ci scambiammo una rapida occhiata. «Buffo» fece Jace. Ma non sembrava divertito. «Non l'ho visto quando abbiamo salito la scala.»

Una sottile spira di panico si dischiuse come una foglia nel petto di Clary. «Hai visto il suo pick-up?»

«L'ho visto io» dissi. «Era nel vialetto. A luci spente.»

A queste parole perfino Magnus, che si stava occupando di Maia, alzò lo sguardo. Attraverso la rete di incantesimi che aveva intrecciato intorno a sé e alla ragazza i suoi lineamenti apparivano sfocati e indistinti, come se li guardasse da sott'acqua. «Non mi piace» disse, la voce sorda e lontana.

«Non dopo l'attacco di un Drevak. Si spostano in branchi.» La mano di Jace era già protesa verso una delle spade angeliche. «Vado a cercarlo. Alec, tu rimani qui, proteggi la casa.»

Clary saltò giù dal tavolino. «Vengo con te.»

«No.» Jace si avviò verso la porta di casa, senza guardarsi alle spalle per controllare se lo seguiva.

città di cenere secondo Alexander Gideon LightwoodWhere stories live. Discover now