il piano di Jace

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«Isabelle!» tempestai di colpi la porta della sorella. «Isabelle, aprimi, lo so che sei lì dentro.»

La porta si socchiuse. Provai a sbirciarci dentro, ma dall'altra parte
non vidi nessuno.

«Non vuole parlarti» disse una voce ben nota.
Abbassai lo sguardo e vidi due occhi grigi che lo fissavano da dietro
un paio di occhiali storti: mio fratello. «Max. Avanti, fratellino, fammi entrare.»

«Neanch'io voglio parlarti.»
Oh per l'angelo! Noi Lightwood con questa adorazione per Jace ci porterà alla rovina.

Max fece il gesto di spingere la porta per richiuderla, ma io, svelto, infilai il piede nella fessura. «Non costringermi a sbatterti a terra, Max.»

«Non lo farai.» spingeva con tutte le sue forze.

«No, ma potrei andare a chiamare i nostri genitori e ho la netta sensazione che Isabelle non voglia assolutamente che io lo faccia, vero, Izzy?» chiesi alzando la voce in modo che mi sentisse.
«Oh, per l'amor del cielo.» Isabelle era molto irritata. «Va bene, Max,
fallo entrare.»
Max si scostò, spinsi la porta ed entrai lasciandola semiaperta alle mie spalle. Isabelle era seduta nel vano della finestra accanto al letto, la
frusta dorata arrotolata attorno al braccio sinistro. Indossava la tenuta da caccia: gli spessi pantaloni neri e la maglia aderente con il motivo quasi
invisibile di rune argentee. Aveva gli stivali affibbiati alle ginocchia e i capelli neri mossi dal vento che entrava dalla finestra aperta. Mi lanciò un'occhiata assassina e per un istante somigliava tale e quale a Hugo, il corvo nero di Hodge.

«Che diavolo fai? Stai cercando di ucciderti?» chiesi attraversando
furioso la stanza diretto verso di lei.

La frusta si allungò sinuosa e si arrotolò intorno alle sue caviglie.

Mi blocco, sapendo che a Isabelle bastava un semplice scatto del polso per mandarmi a gambe all'aria e farlo atterrare legato come un salame sul pavimento di legno...e sinceramente non ci tengo. «Non ti avvicinare di un solo centimetro, Alexander Lightwood» disse nel suo tono più furibondo. «Non mi sento molto comprensiva nei tuoi confronti, in questo momento.»

«Isabelle...»

«Come hai potuto rivoltarti a quel modo contro Jace? Dopo tutto quello
che ha passato? Avete anche giurato di vegliare l'uno sull'altro...»

«A patto di non infrangere la Legge» le ricordai.

«La Legge!» saltò su Isabelle, disgustata. «C'è una legge più alta del Conclave, Alec. La legge della famiglia. Jace è la tua famiglia.»

«La legge della famiglia? Non ne ho mai sentito parlare» dissi irri-
tato. Dovevo difendersi, ma non era facile dimenticarsi di una
vita trascorsa a correggere i fratelli minori quando sbagliavano. «Sarà perché l'hai appena inventata?»

Isabelle fece schioccare la frusta. Mi sentì mancare la terra sotto i
piedi e mi girai per attutire l'impatto della caduta con le mani. Atterrai, rotolai sulla schiena e alzai gli occhi, ritrovandosi Isabelle che incombeva su di me. Max era al suo fianco.

«Cosa ne facciamo, Maxwell?» chiese Isabelle.

«Lo lasciamo legato qui finché i nostri genitori non lo trovano?»

Ne avevo abbastanza! Sfilai una lama dal fodero vicino al polso, la girai e tagliai la frusta che mi avvolgeva le caviglie.
Il cavo di elettro si recise di colpo e balzai in piedi, mentre Isabelle ritraeva il braccio con il cavo che le sibilava intorno.

Una risatina sommessa stemperò la tensione. «Va bene, va bene, l'avete
torturato abbastanza. Sono qui.»

Isabelle sgranò gli occhi. «Jace!»

città di cenere secondo Alexander Gideon LightwoodOn viuen les histories. Descobreix ara