16.

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«Ti accompagno io domani mattina all'aereoporto. Devi partire per forza?» chiedo mentre la vedo fare la valigia per la sua settimana a Barcellona.
Piega alla perfezione le maglie e i jeans, sistemandoli per bene.
Mette la biancheria e i calzini, le pantofole, due mie felpe e qualche pantaloncino per dormire.
Nel beauty case, mette un deodorante, una bottiglietta di profumo, la spazzola, degli elastici con le forcine, le salviette, fazzoletti, un borsellino con  dentro pochi trucchi e un'altro borsellino con dentro degli accessori.
Nella valigia c'è ancora tanto spazio, cosi decide all'ultimo minuto di mettere qualche vestito elegante, fin troppo corti per i miei gusti.
«Sai già con chi sarai in camera?» chiedo, spero non dica il nome di nessun ragazzo.
«Con Anna. La mia compagna di banco.» dice, mentre prende dall'armadio suo un vestito troppo scollato e lo mette in valigia.
«Ti vorrei ricordare che siamo a novembre.» dico indicando il vestito troppo corto.
Nella mente, ricordo la prima volta che l'ho vista, i primi di settembre con la sua compagnia di amici cretini.
Lo posa e ne prende un'altro a manica lunga, accollato. È accettabile.
«Il mio ex, Harry, mi ha chiesto di stare in stanza insieme.» confessa.
A me si ferma il cuore e mi sale la rabbia.
«Ma gli ho detto di no.» mi rassicura.
Quando dopo circa un'ora, ha finito di preparare e sistemare la valigia, si mette a preparare la borsa. O meglio, uno zaino nero in pelle con delle rose rosse.
«Devo aver messo tutto.» ricontrolla ancora, e ancora, e ancora.
«Mi mancherai.» dice, mentre posa a terra la valigia e viene ad abbracciarmi.
«Ci scriviamo. Sarà come se fossi li con te.» le sorrido e le accarezzo i capelli mentre è appoggiata al mio petto.
Suonano alla porta e senza rispondere al citofono apro la porta.
«Mamma?»
«Ciao tesoro. Passavamo da queste parti e abbiamo pensato di fare un salto.» spiega oltrepassandomi ed entrando nel soggiorno insieme alla mia sorellastra Cassidy.
«Volete...un caffé?» chiedo mentre sento i passi nel corridoio.
«Salve.» mi giro e Ella entra in soggiorno, mettendosi accanto a me.
La mamma e Cassidy ci guardano confuse, e io non so bene cosa dire o fare. Non so come presentare Ella a mia madre.
Ma vengo interrotto da lei che dice con voce timida e dolce «Ella, piacere.» e stringe la mano prima a mia madre e poi alla mia sorellastra.
«La mia...» cazzo. Non posso dire sottomessa. «una mia amica.» la lingua non si connette al cervello mentre la mia bocca formula quelle tre parole.
Sento gli occhi di Ella su di me.
Mi costringo a non girarmi verso di lei e mi dirigo in cucina a fare il caffè.
«Cosa mi sono perso?» chiedo, per rompere il silenzio assordante che pervade il soggiorno mentre poso il vassoio con i due caffè sul tavolo.
«La signora Cindy stava chiedendo come ci siamo conosciuti e da quanto tempo siamo amici.» dice Ella con voce fredda.
«Da qualche mese. Zuccherò?» taglio corto e cambio discorso.
«Uno di zucchero, grazie tesoro.» dice mia madre, prendendo la tazzina.
«È da tanto che vi frequentate?» chiede Cassidy mentre sorseggia tranquillamente il suo caffè senza zucchero.
«Non ci frequentiamo. Siamo solo amici. Ora scusate ma ho un impegno. Con permesso.» si alza Ella e saluta mia madre e Cassidy rapidamente dicendo «è stato un piacere conoscervi.» taglia corto ed esce di casa con solo il telefono in mano.
Resto li immobile, sperando che sia solo frutto della mia immaginazione, ma non è cosi.
Ma dove ho sbagliato?
Voglio dire...io e lei non stiamo insieme. Non potevo presentarla come la mia sottomessa a mia madre. Potevo dire solo che fosse una mia amica.
Perché le è dato tanto fastidio?
«Devo dirti una cosa.» la voce della mia sorellastra mi risveglia dalle mie domande senza risposta.
«Dimmi.»
«Io e Tyler ci sposiamo.»
Corro ad abbracciarla facendola volteggiare in braccio a me.
Conosco Tyler, da quando ho beccato Cassidy nel letto dei miei quando aveva diciotto anni.
Stanno insieme da una vita, è stato il suo primo ragazzo.
Sembra una cavolo di storia romantica e sdolcinata, i classici film per ragazzini adolescenti con gli ormoni a palla per due labbra che appena appena si sfiorano.
«La data è fissata per il cinque luglio. E vorrei che...tu fossi il testimone.» mi sorride lei mentre io la prendo di nuovo in braccio e la faccio volteggiare in aria.
«Certo che si!» rispondo io, elettrizzato dalla gioia. Nonostante ci siano per gli anni di differenza fra me e lei siamo sempre stati molto legati.
È la mia migliore amica, una rompi palle assurda però le voglio molto bene.
Quando mia madre e Cassidy mi salutano ed escono di casa, mi rendo conto che sono passate troppe ore da quando Ella è uscita.
Provo a chiamarla ma scatta la segreteria telefonica e a me, inizia a salire il panico.
Prendo la macchina e faccio il giro di tutto il quartiere ma nulla.
Sono ormai le dieci quando mi arriva un messaggio "ciao."
La chiamo e lei risponde al primo squillo.
«Dove sei?» chiedo quasi urlando per la preoccupazione che le sia successo qualcosa e per la rabbia.
«A casa.» le trema la voce e sta piangendo.
«Aspettami li, arrivo.» faccio per chiudere la chiamata ma la sento ripetere il mio nome.
«Non a casa tua. A casa mia.» dice con voce rotta.
Senza smettere di parlare con lei al telefono, guido fino davanti al portone del suo condominio di mattoni marrone scolorito.
Scendo dalla macchina e suono al suo campanello.
Mi faccio la rampa di scala tre scalini alla volta correndo per andare da lei.
Mi fermo davanti la porta socchiusa, la luce è spenta e nel buio, riesco a vedere Ella, seduta a terra con con delle foto attorno a lei, sparse sul pavimento.
Apro lentamente la porta e faccio un passo all'interno della casa.
«Mi ha sempre detto di volermi bene. Che ero l'amore della sua vita. Giocavamo insieme quando ero piccola, era felice. Eravamo tutti felici. Ma poi la mamma è morta, e io sono diventata la sua valvola di sfogo quando beveva. Non è mai stato un cattivo padre. Il dolore l'ha reso cattivo. Il dolore rende cattivi tutti quelli buoni.» la sua voce rotta mi mette i brividi.
Mi ricorda molto...me, quando morì mio padre.
«Se non me ne fossi andata, se fossi rimasta qui con lui, si mi avrebbe picchiata ancora, e ancora, e ancora...ma almeno sarei con lui vivo.» inizia a piangere, vorrei abbracciarla, stringerla a me e rassicurarla. Ma i miei piedi sembrano fatti di cemento, non riesco a muovermi.
«Dovrei esserci io al suo posto.»
«Non dirlo nemmeno per scherzo.» rispondo a voce alta.
Capisco che è troppo alta quando a quelle mie parole, la vedo sussultare.
«Scusa.» dico
«Non è colpa tua. Sono cosi patetica. Cosa speravo di cercare qui?» chiede e non capisco se è una domanda rivolta a me, o a se stessa.
«Cercavi lui.» lei dico.
Si gira a guardarmi nel buio del soggiorno. Leggo la domanda che ha nella mente, e senza darle il tempo di formularla rispondo «cercavi il ricordo di lui.» mi correggo.
«Cercavi un momento felice, un momento in cui tutti stavate bene e non avevate pensieri. Tipo qui.» dico prendendo in mano una foto fatta al mare.
L'uomo tiene in braccio la piccola Ella e la donna accanto a loro, la guarda e sorride.
«Dov'eravate qui?» chiedo
«Nella nostra vecchia casa al mare a Miami. Ma poi mio padre l'ha venduta alla morte della mamma.» dice abbassando lo sguardo.
«Come si chiamava?»
«Emily.» si gira e sorride. «Ha sempre amato il suo nome, come il nome della sua scrittrice preferita, Emily Brontë. Amava la letteratura. Mi leggeva tantissimi romanzi. Il suo libro preferito era Utopia. Me lo leggeva sempre quando ero bambina. Non ascoltavo molto il libro, mi piaceva ascoltare il suono della sua voce e vederla sognare ad occhi aperti mentre leggeva.» chiude gli occhi mentre racconta e la vedo sorridere.
«Le piaceva la musica?»
«Amava la musica, soprattutto la lirica e la classica. Quando si metteva a cantare, era bellissima.
Standeva i panni e cantava spensierata. Portava sempre una matita per scrivere incastrata nello chignon morbido che si faceva in casa per tenere i capelli raccolti, i suoi lunghi capelli biondi.» prende una foto e me la mostra.
«Amava i Queen.» dice indicando la maglia che indossava Emily nella foto che mi ha mostrato. «Forse per questo piacciono anche a me. Me li cantava sempre, soprattutto in macchina, quando mi accompagnava a scuola al mattino. E poi a casa cantava sempre 'Love Of My Life'. Era la sua canzone preferita.»
Mentre resto incantato da lei e dai suoi ricordi, lei inizia a cantare, li seduta a gambe incrociate davanti a me, tenendo gli occhi chiusi.
«Love of my life, you've hurt me
You've broken my heart and now you leave me
Love of my life, can't you see?
Bring it back, bring it back
Don't take it away from me, because you don't know
What it means to me...»
Io resto in silenzio ad ascoltarla. Sono ipnotizzato dalla sua voce meravigliosa, come se cantasse una sirena e io fossi un marinaio.
Allunga una mano nel buio e la muove, sorride e le lacrime iniziano a rigarle le guance.
Ritrae la mano e se la porta alla bocca, coprendosela.
Apre gli occhi e mi guarda.
«Spero sia felice.» dice alzandosi da terra e raccogliendo una ad una tutte le Polaroid sparse sul pavimento.
Le prendo la mano e la stringo nella mia.
«Torniamo a casa nostra.» e sorride quando dico nostra.
«Tu non sei una mia amica. Sei molto di più. Se fossimo amici non potrei fare questo.» e la avvicino a me, baciandola.
La mia lingua cerca la sua impaziente e il suo respiro accellera.
Mordo il suo labbro e lo diro dolcemente.
«Apri la bocca.» sussurro staccandomi, lasciandomi a un millimetro di distanza dalla sua bocca.
Lei esegue, lasciandomi lo spazio necessario per mettere la lingua.
Le nostre lingue si muovono all'unisono, mescolandosi in un bacio appassionato e dolce.
Geme nella mia bocca.
Il suo petto sfiora il mio e posso sentire il suo cuore battere all'impazzata.
Passo la mano nei suoi capelli, strattonandoli leggermente all'indietro per farle alzare di più la testa.
Si appoggia con la schiena alla parete e il mio corpo preme sul suo.
«Mark...» sussurra lei.
Mi stacco per guardarla e dice «grazie.»
«Di cosa?» chiedo, accarezzandole la guancia rosea.
«Che sei qui.» si morde il labbro lei.
«Non devi ringraziarmi.» mi zittisce lei, appoggiando l'indice e il dito medi sulle mie labbra.
«Non qui in casa. Qui nella mia vita.» mi accarezza la guancia.
Il suo tocco mi fa venire la pelle d'oca.
L'abbraccio forte, stringendola a me e vorrei che questa sensazione di sentirmi completo, con lei accanto, non finisse mai.

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