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24 dicembre

Non è possibile. Non può essere.
Era incinta e non me l'ha detto... O forse non lo sapeva?
Non so cosa pensare adesso.
Ho la testa che mi scoppia e non faccio altro che pensare che è stata colpa mia.
Resto seduto in sala d'attesa, pregando e sperando che stia bene.
Vedo vari medici passare avanti e indietro parlando.
Sono passate tre ore che sono qua ad aspettare e nessuno ancora mi ha saputo dire qualcosa.
Gli occhi mi fanno male ormai dal quanto sto piangendo.
Ho un dolore straziante al petto e allo stomaco che mi fa mancare il respiro.
Mi alzo da quella maledetta sedia rossa in sala d'aspetto ed esco nel corridoio.
«Signore?» mi chiama un uomo con il camice bianco, i capelli brizzolati e gli occhi verdi, uno dei medici entrati in quella maledetta stanza con Ella.
«Era lei che stava con Ella Gibson?» chiede, tenendo in mano una cartella clinica. Annuisco.
«Abbiamo dovuto operarla. Ha avuto un aborto spontaneo. Ha perso molto sangue.» spiega lui con tono calmo.
«Deduco che non sapesse che fosse incinta, anche se di poche settimane.»
«Immagino sia cosi, o me l'avrebbe detto se stesse aspettando un bambino.» dico, la voce trema.
Il medico se ne accorge. Mi appoggia una mano sulla spalle e dice «non si preoccupi. Ora è fuori pericolo. Starà bene appena si sveglierà.» dice il medico con nonchalance.
Io mi giro a guardarlo male. Tolgo la sua mano dalla mia spalla e dico «ma che cazzo sta dicendo? Come pensa starà quando saprà che ha perso il bambino che però non sapeva di aspettare?» sbotto.
«Ha perso un bambino! Non una ciglia o un capello. Come cazzo fa a parlare con cosi tanto menefreghismo e con tanta freddezza dentro?» gli urlo in faccia. Lui non scompone.
Mi verrebbe voglia di prenderlo per quel camice, sbattero al muro e ammazzarlo di botte dal quando sto nervoso.
Si schiarisce la voce, si sistema il camice e poi dice «le farò sapere quando si sveglia.» si gira e si allontana senza dire altro.
Tiro un pugno secco e deciso al muro, facendo staccare parecchio intonaco rovinato e ammaccando il muro.
«Cazzo!» urlo e mi tengo la mano, mentre torno a sedermi sulla sedia rossa di prima.
L'infermiera che era entrata in ambulanza con Ella, mi appare davanti con le mani in tasca, facendomi prendere un colpo.
«Mi dispiace per il muro. Ripagherò i danni.» mormoro a testa bassa.
«Non ti preoccupare.» la sua voce è tranquilla, non è arrabbiata con me per il muro e questo mi tranquillizza. Mi prende le mani con fare dolce e premuroso.
«Vieni.» la seguo nel corridoio fino ad arrivare a una sala.
«Ti serve una lastra.» dice lei.

Dopo un po', la ragazza mi dice che ho la mano non è fratturata per fortuna, facendomi una semplice fasciatura.
«Grazie.» le dico, mentre esco.
«Aspetta.» dice.
Quando mi giro, le sue mani sono sulle mie braccia e la sua bocca è sulla mia, mentre è in punta di piedi. Resto immobile mentre mi bacia, non capisco neanche perchè lo stia facendo.
Faccio per staccarmi, ma la sua mano destra, si posiziona dietro la mia testa e mi accarezza i capelli, avvicinandomi di nuovo a se, baciandomi ancora.
Le prendo il viso tra le mani e lei, lentamente inizia ad accarezzarmi le cosce. Posa le mani sui fianchi e poi le appoggia sulle natiche, stringendole.
Si stacca da me per chiudere la porta a chiave, poi torna, togliendosi il camice e la maglia.
Ha un bel corpo. Una vita piatta, due tette abbastanza grandi, il piercing all'ombellico e qualche tatuaggio sparso per il busto.
Si inginocchia e mi sbottona i jeans, senza neanche il tempo di pensare cosa sta succedendo, me lo prende in bocca. Tossisce, non riuscendo a prenderlo tutto.
Nonostante sia nella sua bocca, non sento il piacere che sento sempre. Non è come scopo la bocca di Ella.
Ella! Cazzo!
«Basta.» dico secco, spostandomi bruscamente da lei e tirandomi su i pantaloni insieme ai boxer velocemente.
«Che ti prende?» chiede alzandosi e rivestendosi.
«Non riesco.» mi viene la nausea e sento troppo voci nella testa, e tutte le voci, pronunciano il suo nome.
«Scusa.» dice in un sussurro che sento appena, uscendo poi dalla stanza e io dopo di lei.
Passano altre quattro ore, e in quelle ore, penso a lei. A quanto sono stronzo e...non riesco a non pensare che è colpa mia.
Non dovevo trattarla in quel modo. Ha perso il bambino sicuramente per colpa mia.
Mi sento morire. Faccio schifo.
Mi faccio tre rampe di scale correndo fino ad arrivare con l'affanno sul tetto. Il buio e il freddo mi fanno tranquillizzare.
«È colpa mia...» continuo a ripetere mentre sto seduto non molto distante dal cornicione.
Ti prego Dio, fa che stia bene...
Non potrà mai stare bene finchè ci sono io.
«Che ci fai qui? Torna dentro!» mi urla la ragazza di prima.
Io la ignoro e resto li seduto.
Sento la sua mano sfiorarmi la spalla. Mi sposto e lei si ritrae.
«La sua ragazza si è svegliata. Ha chiesto di te.»
Non desideravo altro che si svegliasse, e ora che si è svegliata, vorrei essere io ad addormentarmi e non svegliarmi più. Mi prendo il viso fra le mani e inizio a piangere con non ho mao pianto in vita mia.
«È colpa mia.» dico, stringendo i capelli fra le mani.
Mi alzo in piedi e faccio qualche passo in avanti.
«Che stai facendo?» mi chiede la ragazza.
Metto un piede sul cornicione.
«Sei impazzito? Scendi da li subito!» urla lei alle mie spalle.
La vista è più offuscata per le lacrime.
Due mani mi afferrano da dietro la schiena il petto e mi spingono all'indietro, cadendo a terra di schiena.
«Se lo rifai, giuro che ti ci butto io.» tossisce la ragazza e mi rendo conto solo ora di esserle caduto addosso.
Mi abbraccia mentre io continuo a piangere come un matto.
«Vieni, ti porto da lei.» mi dice, prendendomi per mano.
Io la seguo fino ad arrivare alla camera di Ella.
«Ciao..» sussurra lei con un filo di voce.
«Piccola.» le dico sedendomi su una poltroncina accanto al letto.
Le prendo le mani e le stringo fra le mie.
«Non piangere, ti prego.» mi sussurra lei piangendo a sua volta.
Dovrei essere io a consolarla, invece è lei che consola me.
«Cosa mi è successo?» chiede, accarezzandomi con la mano destra la guancia e poi i capelli.
Mi giro a guardare la ragazza che mi viene in contro capendo la mia richiesta d'aiuto anche se non espressa.
«Lei ha avuto un'aborto spontaneo signorina. Era incinta di otto settimane.» spiega nel modo più calmo è dolce possibile.
Ella mi guarda confusa.
«Non sapevo di esserlo.» sussurra lei. Le tremano le mani e io gliele stringo fra le mie per calmarla.
«Mi dispiace...» dice lei in un singhiozzo. Io la guardo e lei si asciuga gli occhi con la mano.
«È colpa mia. È solo colpa mia.» dico ricominciando a piangere.
«Non è colpa tua amore.» mormora lei e tira su con il naso.
«Amore?»
«Amore.» sussurra lei.
Si sposta leggermente facendo piano e io mi sdraio sotto le coperte accanto a lei.
Il telefono mi suona e quando guardo, trovo diversi messaggi da varie persone. "Buon Natale."
Guardo l'ora e mi rendo conto che è mezzanotte.
«Buon Natale piccola.» sussurro.
Mi giro e Ella è appoggiata con la testa sulla mia spalla e la mano sui miei addominali.
Guardandola mentre dorme, noto che fuori inizia a nevicare e il freddo aumenta.
Mi tolgo la giacca e la metto addosso ad Ella vedendola tremare.
Inspira il mio odore nel sonno e io sento il suo respiro su di me.
«Buon Natale.» singhiozzo e mentre la guardo e le accarezzo dolcemente i capelli mi addormento, ascoltando il suono del suo respiro.

All I want is youWhere stories live. Discover now