17.Chiarimenti

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Beatrice

Ogni volta che sono costretta ad andare a casa di Loffredi, vengo travolta da un'ansia incontrollata che mi fa venire voglia di tornarmene da dove sono venuta. E questo, perché il solo pensiero di dover passare del tempo con lui, mi rende nervosa.

A maggior ragione oggi, dopo giorni durante i quali non abbiamo fatto che ignorarci.

Poi però il senso di responsabilità che mi caratterizza, ritorna prepotente nella mia mente e mi dico che non posso permettermi di rinunciare a queste ripetizioni, almeno non prima di aver ottenuto un voto decente in matematica.

Così anche stavolta, come le volte precedenti mi sono fatta coraggio e ho salito le scale di questo condominio, stringendo tra le mani il sacchetto bianco contenente due graffe, che venendo qui ho ben pensato di comprare.

Idea di merda; forse un inconscio desiderio di chiedere scusa a Loffredi, portando un piccolo pensiero per sua sorella. Anche se consciamente non ho alcuna intenzione di redimermi.

Quando la porta davanti ai miei occhi si apre, l'immagine di Umberto appare nella sua natura più assonnata e scompigliata; infatti indossa una maglia di flanella blu e un pantalone da tuta bianco - che per inciso, mette in risalto qualcosa che io non dovrei nemmeno considerare, ma che è impossibile non notare - e ha gli occhi gonfi e lucidi. Stava per caso dormendo? Il rigonfiamento nei pantaloni potrebbe esserne una conferma.

Basta Bea! Smettila di guardare punti che non dovrebbero essere di tuo interesse!

Capisci di avere i nervi a pezzi, quando inizi a rimproverarti da sola mentalmente.

«Ciao.» Dico comunque nel più totale imbarazzo. Non so perché, ma ho come l'impressione che abbia dimenticato di aver preso appuntamento con me per queste ripetizioni.

Prima di rispondermi, si passa una mano sul viso: «Ciao. Vieni, entra.» Mi dice poi, spostandosi e lasciandomi passare.

«Stavi dormendo?» non mi trattengo da chiedergli, ma lo faccio nel modo più calmo possibile, senza nessuna ombra di provocazione nella voce.

Lui emette dei mugolii, poi aggiunge: «Non credevo di addormentarmi quando ho poggiato la testa sul cuscino del divano, per questo dormivo ancora quando hai bussato.»

Le sue sono praticamente delle scuse indirette, ma io non insisto oltre sull'argomento. Dopotutto, lui è a casa sua e può dormire quando e quanto vuole.

Mentre quasi si giustifica con me, arriviamo in cucina, e lui sembra accorgersi solo adesso del sacchetto che sto praticamente stritolando tra le mani.

«Cos'hai lì?» mi chiede incuriosito.

«Ho preso un paio di graffe, venendo qui!» esclamo agitandomi per l'imbarazzo - e perché ancora ogni tanto il mio sguardo cade su quel dannato pantalone! - e porgendogli il suddetto pacchetto.

Lui lo afferra con estrema calma e lo esamina quasi come a capire se siano realmente graffe o in realtà una qualche tipo di bomba pronta a scoppiare.

Vorrei dirgli che qui l'unica cosa che sembra pronta a scoppiare è il mio cuore, il quale dal momento in cui ha incrociato il suo sguardo non ha fatto altro che pompare velocemente nel petto. Ma in realtà, credo sia dovuto semplicemente all'ansia di trovarmi qui con lui dopo il nostro ultimo scontro, quindi lo ignoro volutamente.

«Sono per me?» mi chiede comunque lui, stupíto che io possa avergli regalato dei dolci.

«No.» Gli rispondo prontamente io; insomma non so il motivo per il quale le ho acquistate, ma di certo quelle graffe non sono per lui «Sono per tua sorella.» Gli spiego. In fin dei conti, é vero che le ho prese pensando di regalarle alla bambina.

Il Momento Più BelloTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon