29.Rischiare

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Umberto

Carolina posa il cappuccino che ho ordinato pochi minuti fa, accanto al mio libro di letteratura inglese.

Quando alzo lo sguardo verso di lei e la ringrazio, noto che mi sta scrutando in attesa - anche se più specificamente sembra scrutare il segno violaceo che ho sul viso. I suoi grandi occhi fanno fatica a restare aperti, a causa della sua frangetta: evidentemente deve esserle cresciuta e ora le dà non poco fastidio.

Mi chiedo perché non si decida a tagliarla, quando lei sedendosi di fronte a me mi dice: «Non mi aspettavo di vederti qui a quest'ora...»
Lo dice perché sono le otto e mezza del mattino, e io dovrei essere a scuola. Invece sono al bar a studiare, perché non posso accostarmi all'edificio poco distante da qui.

«Dì piuttosto che non ti aspettavi di vedermi da solo.» Rettifico io, portando la tazza di cappuccino alla bocca e bevendone un sorso.

Carolina ridacchia divertita: vengo in questo bar da cinque anni e la ragazza seduta di fronte a me, sa benissimo che non sono il tipo di persona che si siede per bere un caffè in solitudine. Più che altro solitamente, qui ci porto le ragazze.

«Era da un po' che non ti vedevo...» Riflette di nuovo lei ad alta voce. «L'ultima volta è stata mesi fa, quando sei venuto con Beatrice.»

Sto posando la tazza sul piattino bianco di ceramica, quando lei pronuncia il suo nome. Mi blocco per un secondo, prima di lasciar andare il cappuccino e guardare di nuovo lei negli occhi.

«Sono cambiate un po' di cose da allora.» Mi lascio sfuggire. Poi dopo averci pensato su un secondo, aggiungo «Mi crederesti se ti dicessi che mi viene da ridere, al solo pensiero di come ero qualche mese fa?»

«Perché? Come eri, qualche mese fa?»

Ci penso un attimo, sposto lo sguardo verso il tavolo poco distante - quello attorno al quale io e Beatrice ci siamo seduti mesi fa, per la nostra prima ripetizione - e cerco di visualizzare nella mia mente l'immagine di noi due seduti.

Ad un certo punto, riesco davvero a vederci: io mangio un tramezzino sporcandole il quaderno di briciole, e lei sbotta attirando l'attenzione delle persone che ci sono intorno.

Sorrido - rischiando di sembrare un pazzo, agli occhi della ragazza che mi siede di fronte - pensando a quanto io non riconosca quei due ragazzi seduti a quel tavolo.

L' Umberto di allora ha il mio stesso aspetto, ma non guarda Beatrice così come la guardo io. O come la guardo adesso. C'è malizia nel suo sguardo; vuole solo prendersi gioco di lei, rischiando di mandare a puttane il proprio rapporto con il suo migliore amico. Io invece ho comunque perso la fiducia di Andrea, ma non credo di averlo fatto per un semplice gioco.

La Beatrice di qualche mese fa, ha sempre i capelli lunghissimi e la perenne luna storta, ma non ha quella luce negli occhi che invece possiede la ragazza di adesso.

Qualcosa in questi mesi è cambiata. O forse semplicemente, siamo cambiati noi.

«Sei inquietante...! Perché sorrdi?» chiede ancora Carolina. Lei è sempre la stessa, mi guarda ancora con occhi languidi - come ha sempre fatto. È una di quelle con le quali mi è piaciuto scherzare, ma ora anche solo l'idea di iniziare ad approfittarne - magari flirtando con lei - mi sembra noiosa ed effimera.

«È che ora, riesco a vedere le cose da una prospettiva diversa.» Le dico, cercando di rispondere quanto meglio alla sua domanda.

«Beh, ovvio...» Mi fa lei aggrottando la fronte e portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Credo che faccia parte del processo di crescita, no?»

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