22.Praga

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Beatrice

Il mio cellulare vibra nella tasca posteriore dei miei jeans. Quando lo afferro, accetto la chiamata senza nemmeno rendermi conto di chi si tratti, e poi lo porto all'orecchio.

«Bea, sei arrivata a Praga?» mi chiede la voce squillante di mia madre, dall'altra parte della cornetta.

«No, mamma.» Rispondo alzando gli occhi al cielo «In realtà sono ancora in fila per il gate, a Fiumicino.»

Ed è la verità.
Sono arrivata un'oretta fa all'aeroporto - insieme ad Andrea, che si è offerto di accompagnarmi in assenza di mia madre, la quale doveva lavorare. Con il trolley alla mano, e un piccolo zaino nero in spalla, ho scorto da lontano il gruppo formato dai ragazzi della mia classe.
Il professore di educazione fisica - nostro coordinatore - ha fatto l'appello per verificare che ci fossimo tutti. Poi ci ha annunciato che facenti parte di un gruppo scolastico, avremmo saltato la fila al check-in, ma non avremmo potuto evitare i metal detector e il gate, chiaramente.
Quindi dopo aver perso più di un quarto d'ora - a causa di alcuni di noi che hanno pensato bene di indossare oggetti metallici che ovviamente sono stati rilevati dai macchinari - siamo giunti alla coda per il gate. Per inciso, sono dietro a una fila interminabile che sembra non scalare da più di cinque minuti, con Ilaria al mio fianco - la quale avrà scattato già una decina di foto - che sembra essere felice tanto quanto una bambina, la mattina di Natale.

«Ma come è possibile?» mia madre mi riporta alla realtà «Mi avevi detto che il viaggio sarebbe durato meno di due ore, ma sei andata via già tre ore fa da casa.»

Non lo ha detto davvero.

Me la immagino dall'altra parte del telefono, con l'aria di chi non si spiega come sia possibile che io mi trovi ancora a Roma. Evidentemente non comprende quante cose ci siano da fare in un aeroporto, prima di salire sull'aereo e partire.

«Sì, mamma. Il viaggio dovrebbe durare meno di due ore, ma solitamente ci si anticipa all'aeroporto, perché ci sono un po' di cose da fare.» Faccio una pausa, sbuffando. Solo a mia madre, bisogna imboccare le cose così! «Non hai mai viaggiato in aereo, scusa?»

«Certo che l'ho fatto, ma è successo venticinque anni fa, quando sono andata in viaggio di nozze con tuo padre a Palma de Mallorca.» Fa una pausa, prima di chiedermi «Ti ho mai raccontato del nostro viaggio di nozze?»

«No, ma non credo sia il momento adatto per farlo.» Le dico, implorandola.

Chiaramente lei sembra non percepire la muta preghiera, perché inizia a dire: «È stato un viaggio veramente traumatico, sotto certi punti di vista. Mi ricordo che tuo padre...»

«Mamma per favore, ne possiamo parlare quando sarò tornata a casa? Ora sono un tantino occupata.» Cerco di zittirla per evitare che si metta a raccontare delle sue esperienze passate, proprio ora. Mi rendo conto che per lei ogni scusa è buona per tirare in ballo mio padre, ma ora non posso proprio fermarmi ad ascoltarla.

«Hai ragione, tesoro. Me ne ero completamente dimenticata!» esclama ridacchiando.

Io mi passo una mano sul volto, alquanto irritata dalla situazione, e poi cerco di staccare la chiamata il prima possibile: «Senti, ora devo andare. Ti chiamo appena arrivo in albergo.»

Sto per riattaccare, quando la sua voce mi richiama: «Aspetta!» mi fa «Non ti ho ancora elencato tutte le raccomandazioni necessarie.»

«Mamma, ho quasi diciannove anni e so perfettamente che non devo accettare caramelle dagli sconosciuti.» Le rispondo alzando gli occhi al cielo.

Poi il professore si avvicina a me e mi fa segno di posare il cellulare, perché la fila ha iniziato a scorrere e tra un po' dovremo salire sull'aereo.

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