22. Mutande in pizzo e inviti a cena

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GWENDALINE

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GWENDALINE

Non avrei mai pensato di spendere, durante questo periodo di reclusione, dieci minuti buoni a fissare la mia figura allo specchio, spoglia di indumenti e biancheria intima.

Perché così, nuda, mi sento profondamente vulnerabile. Quindi mi ci soffermo, abituandomi all'idea di rimanere svestita per un lasso di tempo nettamente maggiore rispetto a quello che impiegherei per una doccia e, soprattutto, all'ipotesi che ci sia qualcuno a osservarmi.

Per quanto io certe volte mi senta sensuale, mi piaccia giocare con i vestiti e mettere in evidenza i punti giusti, con la consapevolezza di avere lo sguardo di molti, riesco comunque a sentirmi profondamente fragile.

È inevitabile soffermarmi sulle smagliature, sui nei, sui fianchi larghi, sulla forma dei miei seni, chiedendomi se siano abbastanza sodi, abbastanza grandi. Sulle mie gambe, sulle mie ginocchia e poi i gomiti, il viso, le labbra. Niente viene risparmiato e tutto viene messo sotto esame.

I suoi occhi si muoveranno lungo la mia pelle nuda, sui nei dietro la schiena, che mi appaiono brutalmente antiestetici o, ad esempio, sulla voglia di colore quasi violaceo, vicina all'inguine — la cui forma, se si ha vasta fantasia, può essere quasi associata alla medesima di un cuore.

Più centimetri di stoffa mi abbandonano, più la mia autostima cala, lasciandomi osservare questo ammasso di carne e ossa che, mai come ora, mi appare tanto ostile. Prendo posto sul bordo della vasca, arricciando le cui dita dei piedi per via delle piastrelle fredde.

Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con il mio corpo, di solito governata da una certa sicurezza, che talvolta si sgretola tra le mie mani come nulla fosse. Sono stata con diversi uomini e mai prima d'ora ho visto le mie certezze vacillare in tal modo, arrivando persino a domandarmi, in un attimo di pura follia, se io possa essere all'altezza.

Non mi viene difficile credere che le aspettative di Harry Styles, su Gwendaline Jones, verranno presto deluse dalle imperfezioni che nascondo sotto i vestiti e di quelle che dimentico — fino a quando il riflesso nello specchio me le ricorda, una ad una.

Adesso che mi trovo a riscoprirlo, ad aprire gli occhi su ciò che è realmente, non posso fare a meno di sentirmi stupida, realizzando di aver avuto quello che per tanto tempo ho cercato proprio sotto agli occhi. Io che l'avevo visto per tutto questo tempo di sfuggita, invece che guardarlo realmente.

Abbiamo condiviso così tanto, nonostante appena ci rivolgessimo la parola, che preoccuparsi in tal modo risulta più che sciocco, oltre che privo di senso.

Nel giro di pochi minuti sono nuovamente in piedi, poggiando le mani sul lavello e lasciando correre di nuovo lo sguardo tra le mie gambe. C'è abbastanza spazio tra queste?

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