25. Il buon giorno si vede dal mattino

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GWENDALINE

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GWENDALINE

L'orologio segna le sette e quaranta. Dalle tapparelle arriva qualche flebile raggio di sole ed Harry è girato di schiena, arrotolato come un involtino nelle sue coperte. I vicini rumeni litigano da più di un'ora e borbotto un paio di lamentele tra me e me, consapevole che non riuscirò più a dormire.

Poi mi schiarisco la voce, posando una mano sotto al cuscino quando mi giro di lato. Lui si è appena svegliato e sorride con un leggero velo di malizia.

«Sai di essere egoista?» Soffio per spostare un ciuffo di capelli che mi ricade sugli occhi. Dopo una manciata di secondi mi attira sé, catturandomi tra le sue braccia — ed io fingo di opporre resistenza, nonostante ami follemente l'idea di essere qui, in questo preciso momento.

«Tu dovresti sapere che è un talento essere così acidi di prima mattina.» Alla sua smorfia scrollo le spalle, costretta a mordere l'interno della guancia per non incappare in una risata.

<<Sei... arzillo,>> allungo le labbra in una linea sottile, mentre lui sorride, sghignazzando.

<<È fisiologico, Gwen, non posso farci nulla al riguardo>> sogghigna, stringendomi maggiormente alla sua figura, mentre mi lascio cullare dalle congetture sul futuro, che comprende anche oggi pomeriggio stesso. E' evidente che le carte in tavola siano cambiate da un paio di giorni a questa parte, facendo accadere tutto così velocemente da desiderare di potermi dare un pizzicotto per poter verificare che, effettivamente, non sia un sogno. E poi mi interpello su tutte le cose che riguardano Harry e, soprattutto, sulle condizioni cliniche del padre. Stamattina è stato inevitabile origliare la chiamata della sorella, che ha telefonato così presto da farmi accigliare.

Durante l'intera conversazione, io ho cercato di trattenere il pressante desiderio di tornare a socchiudere gli occhi, recuperando le ore di sonno arretrate. Quando ha interrotto la comunicazione, tornando a sgusciare sotto le coperte, però, non ce l'ho fatta. Le mie palpebre si sono accostate nonostante le varie opposizioni e, per un solo momento, mi è parso di aver sognato. Lo stomaco mi si contorce alla sola idea che la morte possa sfiorare suo padre, mentre mi trovo a domandare se abbia voglia di condividere una tale informazione con la sottoscritta.

Perché io, dopotutto, sento l'urgente bisogno di raccontargli qualsiasi cosa sul mio conto, che questa sia affibbiata a gioia o tristezza. Dunque, nonostante la situazione sia più delicata di quanto possa immaginare, ci sarebbe qualche problema nel caso in cui lui non condividesse la pressante urgenza di farmi diventare parte integrante della sua quotidianità.

Col suo sguardo soffocante, mi interpello poi sulle questioni che riguardano il nostro rapporto, durante questa reclusione, e il dubbio sulla sua stabilità quando ognuno tornerà alla propria vita. Tutta la questione mi angoscia solamente e, se c'è una cosa che ho imparato da quando sono rinchiusa tra queste quattro mura, è che la sensazione di essere costantemente oppressi da qualcosa so schiacciarla benissimo tramite alcol e cibo.

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