29. Tarzan

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GWENDALINE

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GWENDALINE

Giro la chiave all'interno della toppa, spingendo la porta in legno e facendo capolino nell'ingresso di casa. Quest'ultima è particolarmente silenziosa, fin troppo per gli standard a cui solitamente sono abituata.

Appena metto piede in soggiorno è inevitabile storcere il naso per il disordine che regna. Sono abituata a piatti sporchi, libri sparsi sul tavolino da caffè e ogni superficie gremita di album da colorare, pastelli e pennarelli, ma vasi rotti e bottiglie di shampoo riversate sul pavimento, oltre che forbici e pettini, proprio no.

Mia sorella e Zayn sono entrambi seduti sul divano, in silenzio, che fissano il loro sguardo verso il televisore, nonostante questo sia spento. Una bottiglia di vodka aperta è posizionata tra il lavello e il fornello, mentre zucchero a velo e nutella circondano una busta di pandoro sul banco in granito.

Sbuffo, issando con poca grazia la busta della spesa sul primo spazio disponibile, posando alcune confezioni di tè all'interno del frigo, aspettando che qualcuno in questa casa torni a pronunciare parola.

Margaret è la prima ad alzarsi, frugando tra i vari alimenti contenuti nella busta biodegradabile — bucata in più punti adesso che ci faccio caso.

<<Gwen, spero tu abbia lo scontrino, perchè questa vaschetta di gelato è aperta>> dice semplicemente, studiando con una smorfia la confezione.

<<L'ho aperta io>> mi schiarisco la voce, continuando a smistare le varie confezioni tra dispensa, frigo e congelatore. Lei non replica, cosa che non mi aspettavo.

Margaret lancia la busta di patatine a Zayn, ma lui scuote il capo, mantenendo la sua espressione imbronciata.

<<Qualcuno mi spiega cosa succede?>> tiro su col naso, poggiando la schiena al frigo e cercando con lo sguardo Harry, che non so dove sia finito.

<<Camera sua>> risponde semplicemente mia sorella, sospirando. Non aggiunge nient'altro e scavalca gli oggetti posati sul pavimento — piuttosto che raccoglierli. Io mi avvio verso la suddetta camera, afferrando le cose che ostacolano il mio percorso.

Le mie nocche battono contro la superficie lignea. Trattengo un gemito quando i miei denti affondando in modo troppo veemente sul labbro inferiore — azione che, secondo la mia modesta opinione, dovrebbe aiutarmi a gestire l'ansia.

Sono tante le cose che vorrei dire e tante quelle che tralascio, limitandomi semplicemente a chiamare il suo nome, nella vana speranza che risponda — cosa che, tra l'altro, non fa.

Vorrei che si palesasse, stringendomi in un caloroso abbraccio e dandomi la dose di coccole di cui necessito. Mentirei se dicessi che non sono annoiata dall'idea di dover rincorrere lui e qualunque dramma lo affligga in questo momento. È più urgente, ora come ora, procacciarmi del paracetamolo.

StuckWhere stories live. Discover now