20|Mi alleno con Marta

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Eleonora rimirò tra le mani la sua spada di legno.
Era abituata, come ogni ragazzina normale, ad usare solo dei legnetti che ricordassero vagamente una spada e falciare così l'erba alta sentendo il risucchio dell'aria prima di colpirla.

Ammettetelo: molti di voi lo facevano e lo fanno tutt'ora. Eh già, vi conosco, anzi, conosco i Normali e so cosa significa vivere una vita spensierata senza il peso di dover fare squadra con altri sei ragazzini per combattere dieci entità malvagie.

Ormai la mia vita era cambiata per sempre da quando, quel "bellissimo" giorno di ottobre ero stata rapita e questo credo che lo sappiate bene se avete avuto la voglia di seguire le mie avventure dall'inizio.

Ma non perdiamoci in chiacchiere inutili, devo assolutamente raccontarvi come andò quel giorno.

Presi anch'io una spada di legno però volli che la mia fosse abbastanza pesante per avvantaggiare Eleonora e allenare le mie braccia.
Che dire? Mi piaceva complicarmi le cose in modo che diventassero più interessanti, anche se a volte esageravo un po'.

Ma proprio quando stavo per indicarle l'arena notai lo sguardo preoccupato della ragazza mentre si massaggiava la ferita e capii che era stata una pessima idea chiederle di fare uno sforzo del genere quando ancora doveva guarire del tutto.

«Senti...» dissi appoggiando la spada su un tavolo nell'armeria. «Che ne dici se facciamo un altro giorno? Oggi concentriamoci su altre cose. Ho sentito in mensa che alcuni guardiani adulti verranno a fare delle lezioni sul Mondo Nascosto per spiegarne l'origine»

La mia amica scosse la testa e strinse l'impugnatura della sua spada. «Tranquilla, posso farcela»

«Ehi» la afferrai gentilmente per le spalle. «Non serve che tu mi accontenti. Impara a conoscere i tuoi limiti, non voglio che lottando ti si apra la ferita e peggiori. Lascia perdere, lo faremo un altro giorno. Abbiamo un tempo infinito da passare insieme, Eleonora... fidati di me»

«Va bene...»

Posò la spada di legno accanto alla mia e uscimmo dall'armeria a braccetto.
Lei adorava camminare insieme a me così, la faceva sentire a suo agio e io, dal mio canto, mi sentivo più vicina a lei.

«Ehi! Ehiiiii! Non andatevene!» gridò una vocina da lontano. «Ehiiii!»

Ci girammo confuse e vedemmo la piccola Marta correre verso di noi agitando le braccia.
E poco prima che arrivasse da noi inciampò su una radice sporgente e cadde a faccia ingiù sull'erba, ai nostri piedi.

Eleonora si portò una mano alla bocca cercando inutilmente di soffocare una risata, io non ci provai nemmeno.

Aiutai Marta a rialzarsi e a togliersi dalla faccia tutti i pezzetti d'erba che le si erano incollati sopra.
La poverina aveva la faccia rossa come un pomodoro dalla vergogna e aveva preso a giocherellare con la sua treccia di capelli biondo scuro legata con un elastico di perle.

Notai per la prima volta un bracciale di pelle marrone sul suo polso sinistro con delle incisioni simile a quelle celtiche riempite con un filo d'oro continuo che girava intorno a tre pietre circolari viola disposte in fila verso la mano, distanziate di pochi centimetri l'una dall'altra.

Marta si coprì il bracciale con la manica della felpa ormai sporca di terra e ci sorrise raggiante.

«Tu sei... Marta!» la riconobbe Eleonora.

I Grandi 7Where stories live. Discover now