39|Mr. Slave

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Erano già le otto e ancora una volta non avrebbe cenato con sua figlia.

Lo squadrone di ricerca era appena rientrato. Un altro fallimento.
Nemmeno Lidia riusciva a rintracciarla.

Non poteva saperlo, ma il campo era protetto da una barriera che rendeva impossibile rintracciarvi qualcuno con la magia, il segnale veniva automaticamente disturbato e si disperdeva.
Non per questo era il luogo più sicuro del Mondo Nascosto, sempre che un traditore non permettesse ai nemici di entrarvi, come accaduto in passato.

Slave si mise le mani tra i capelli neri arruffati, controllando i rapporti dello squadrone.

Era seduto sulla sua scrivania, nascosto nella sua stanza illuminata solo da una lampada da tavolo poco funzionante.

Da qualche parte, sommerso dalle scartoffie, doveva esserci un bicchiere di gin mezzo pieno.
La bottiglia era già stata vuotata da un pezzo.
Se ne scolava una in un giorno e mezzo. I dottori erano preoccupati per il suo fegato ma lui non voleva sentir storie.

Shirley era tutto ciò che gli rimaneva, perderla significava vivere per sempre da solo.

Spostò delle scartoffie, lasciando che cadessero a terra, e afferrò il bicchiere per bere un sorso della bevanda, strizzando gli occhi quando sentì il calore diffondersi con prepotenza per tutto il petto e ritornargli su per la gola.

Tossì e appoggiò il bicchiere sulla scrivania.

Aveva smesso di prendere le pillole che gli aveva prescritto a vita suo padre prima di morire.
Lo aveva ingannato dicendogli che aveva una rara malattia mentale che poteva essere contenuta solo con quei determinati elementi nelle pillole e lui si era ingenuamente fidato, pensando che la sua vita dipendesse da questo.

Ma si sbagliava. Non aveva alcuna malattia, era sano come un pesce, e quelle stupide pillole le aveva sotterrate la mattina stessa.

Erano loro la causa di tutto. Pensava che fosse stata la malattia a farlo impazzire e rivoltare contro sua moglie, ma non era così.

Aveva fatto del male a tutte le persone che amava: sua moglie, i suoi figli, i suoi ex colleghi.

Sospirò bevendo un altro sorso. Voleva dimenticare, ma non ci riusciva.

La sua mente era troppo stimolata, troppo abituata a pensare, non riusciva a spegnerla.

Quando chiudeva gli occhi vedeva lo sguardo terrorizzato di sua figlia tre anni prima che lo pregava di smetterla di strattonarla mentre la portava fuori di casa a forza.

Vedeva il corpo di sua moglie disteso per terra, con un rivolo di sangue sulla tempia.

Era colpa sua.

Tutta. Colpa. Sua.

Era ancora in tempo per rimediare?
Erano passati tre anni ormai, aveva reciso ogni rapporto con chi amava. Pensava fino a pochi giorni prima di avere ancora sua figlia, ma anche lei si era allontanata e non avrebbe mai più fatto ritorno.

Doveva accettare la dura verità: era solo. Ma era impossibile per un uomo testardo come lui.

Forse non poteva riallacciare i rapporti con sua moglie o con i suoi vecchi colleghi, ma almeno con sua figlia aveva qualche possibilità, sperando che gli fosse in qualche modo grata per gli anni passati insieme solo lui e lei.

I Grandi 7Where stories live. Discover now