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È arrivato il giorno X. Stasera, dato che è arrivato il marito di Sachiko andrò a dormire da Baji dopo che ha insistito nell'invitarmi. Ci siamo accordati sul vederci nel tardo pomeriggio, andare a mangiare qualcosa e poi dritti a casa, anche perché oggi è il mio giorno di riposo, quindi non devo nemmeno lavorare.
Mentre preparo lo zaino con tutti gli oggetti essenziali, mi arriva una telefonata da mia madre. Da lei è mattina: sono le nove del mattino, si sarà appena svegliata.
"Pronto, mamma?"
"Alessia! Da quanto tempo è che non ti sento... finalmente sento la tua voce..." dice con un tono un po' scazzato.
"Mh... già... come va?" le chiedo.
"Bene. Perché non ci chiami mai?" mi chiede all'improvviso.
"Beh ogni tanto ci sentiamo, mamma. In questi giorni sono molto impegnata tra lo studio e il lavoro non ho molto tempo, mi spiace..." le dico onestamente: pensare a quello non mi fa pensare a nient'altro.
"Credi che noi non siamo impegnati?" mi chiede.
" No... non ho detto questo..." le dico. Sta fraintendendo. Oppure si sta rigirando la frittata come preferisce lei?
"Quindi tu non puoi chiamare perché sei così tanto impegnata... e noi cosa dovremmo dire, io e tuo padre?"
Non so cosa rispondere, non capisco perché mi attacca in questa maniera. Decido di rimanere in silenzio e ascoltare quello che mi dice.
"Noi ci stiamo ammazzando di lavoro, non credi che sarebbe opportuno chiamarci ogni tanto?" È arrabbiata così tanto, esattamente per quale motivo?
"Mamma... mi dispiace, ma anche io sono molto impegnata e con il fuso orario tra tutto viene malissimo... non so mai se vi disturbo o se posso chiamare..." Devo farmi le mie ragioni.
"Quindi adesso stai dando la colpa a me?"
"Io non ti sto dando nessuna colpa. Sto semplicemente dicendo che, come voi, anche io sono occupatissima in questo periodo. Appena trovo un momento libero per chiamarvi, c'è sempre il fuso orario di mezzo. Mi dispiace se le cose vanno così." dico tutto d'un fiato. Queste cose la fanno sempre arrabbiare, lo so, però non potevo non dirglielo. Lei odia sentirsi in errore, odia quando le viene mostrata la verità così com'è, e non come se la immagina. Per questo motivo manipola gli altri, me in particolare, per fargli credere di essere nel torto nonostante abbiano ragione.
"Le cose vanno così? Tu stai solo montando scuse su scuse. Tu non sei occupata come noi. Non puoi capire la vita che noi facciamo. Dillo che ti sei dimenticata. Dillo. Ammettilo. Siamo madre e figlia, puoi dirmi la verità, tanto so già qual è. Dillo che ti sei dimenticata." dice. Sento quanto è arrabbiata e nervosa e ringrazio il cielo di non essere con lei perché di solito in queste situazioni inizia a lanciarmi quello che le capita per le mani e a volte mi fa anche paura.
Mi iniziano a scendere le lacrime dagli occhi, non lo faccio apposta. Non riesco a controllarle, non riesco a farle smettere. Non ricordo cosa vi ho raccontato di mia madre, ma lei è anche questo, e lo è molto spesso.
"Non mi sono dimenticata. Anche voi però non mi chiamate mai." dico scoppiando in lacrime. Piango talmente tanto che non riesco nemmeno a respirare dal naso. Sento le mie lacrime calde che continuano a scivolare sul mio viso già umido dal pianto. "Perché non mi credete mai? È sempre così. Non vi fidate mai di me. Se volete la prossima volta vi chiamo nel mezzo della notte, così siete contenti" continuo a dire in lacrime. La mia voce è tremolante e biascico un po' le parole a causa del respiro che mi manca.
"Allora facci un favore e non chiamarci mai più. Non mi interessa più nulla di te. Per me puoi anche trasferirti sotto un ponte e morire lì." mi dice, poi chiude la chiamata, senza lasciarmi la possibilità di controbattere.
Lancio violentemente il telefono sul tappeto vicino al letto. Mi siedo sul letto, poggio i gomiti sulle mie ginocchia mente i palmi delle mie mani sorreggono il mio volto. Continuo a singhiozzare ancora per un po', poi il respiro si fa più affannoso, la testa inizia a girarmi e non capisco più dove mi trovo: la mia attenzione è altrove, non so dove, è come se non riuscissi a pensare a nulla, il cervello mi va in pappa. Un dolore lancinante mi viene al centro del mio petto. Sembra come se avessi appena ricevuto un'accoltellata. La mia testa è pesante e al centro della mia fronte sento un altro dolore lancinante. Il respiro è sempre affannoso, le lacrime continuano a scendere, ma meno rispetto a prima. Ho bisogno di un sacchetto di carta. Cerco il sacchetto ovunque ma non lo trovo: deve essere da qualche parte nascosto. Provo ad alzarmi per cercarlo ma le mie gambe non si muovono: sono pesanti e non sentono ragione di alzarsi. Le braccia sono deboli, ma riesco a muoverle, quindi improvviso una specie di sacchetto con le mani, per far tornare il respiro regolare e dopo un po' ci riesco. Quando sono calma, smetto di piangere e sento gli occhi secchi. Sulle mie guance c'è quella strana sensazione che fa sembrare come se la pelle tirasse. Il petto non fa più male, ma ho un mal di testa incredibile, non solo nella zona della fronte, ma in generale.
Resto qualche minuto lì, in quella posizione a fissare il vuoto. Mi sento vuota. Dopo un po', non so con esattezza quanto, mi alzo e continuo a preparare lo zaino come un automa. Eseguo tutte le azioni senza rendermene conto, poi prendo una pastiglia per il mal di testa perché persisteva.
Non so perché mi è capitata questa cosa. Credo fossero le parole di mia madre sommate allo stress accumulato in questi giorni. Anche se dico che ciò che ha detto mia madre mi scivola come acqua sul bagnato, beh in realtà non proprio. Mi feriscono le sue parole, e a volte anche tanto.
Mi preparo, mi trucco giusto un poco per non far vedere troppo il rossore del viso e per avere un'espressione presentabile, ma non ce la faccio, quindi mi trucco un po' così come viene. Mi sento stanca, ma prendo lo zaino ed esco, mi dirigo al punto di incontro prestabilito anche se è ancora presto. Il luogo è sempre il parchetto dove ci siamo incontrati la prima volta. Mi siedo su un'altalena, poggio la testa sulla catene e fisso l'erba sotto ai miei piedi, senza pensare a nulla. Aspetto solo che lui arrivi.

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