1. Strade Perdute

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La pioggia batte impaziente sui finestrini e sul parabrezza, rendendo confusa la strada che si snoda davanti all’auto.
Buia, deserta.
Il rumore insistente delle gocce sulla lamiera minaccia di farmi impazzire. Porto al massimo il volume e appoggio la testa all’indietro, scivolando con tutto il corpo in posizione semisdraiata, le mani abbandonate in grembo, gli occhi chiusi. Le note di 36 Degrees dei Placebo a palla nelle orecchie.

I’ve never been an extrovert, but I’m still breathing

La musica mi dà sempre un po’ di sollievo, mi impedisce di pensare. A volte, riesco persino a dimenticare dove sono, “chi” sono, almeno per qualche minuto.
Sono già altrove, quando una mano sulla spalla mi scuote dal vuoto dei miei pensieri. Sollevo una palpebra e sfilo una cuffia, gemendo.

«Vuoi abbassare quel coso? Questo brusio continuo mi dà sui nervi! Faresti meglio ad aiutarmi con la cartina, piuttosto che startene lì a poltrire»

«La cartina?» biascico «sei impazzita? Ma non hai un telefono? Cos’è, il Paleolitico?»

«Il mio telefono è scarico e il caricabatterie è sepolto in fondo alle valigie. Non ho intenzione di fermarmi in mezzo al nulla per cercarlo. Potresti usare il tuo, visto che ho speso un milione di euro per comprarlo. O almeno, cercare quella stramaledetta cartina.»

«Ci siamo persi, mamma?»
Mormoro, la voce impastata, puntellandomi con poca convinzione sul cruscotto, per chinarmi a cercare la cartina nel caos ai miei piedi.

Lo dico senza nascondere una punta di soddisfazione, accennando un sorriso polemico. Avverto in lei la tipica ansia da smarrimento. Mi stupisco che non abbia iniziato a dire parolacce. Quelle anni ’80, che ormai è rimasta la sola a usare, solitamente quando si perde. Cioè ogni volta che guida senza navigatore. Non ha nemmeno bisogno di guardarmi, per decifrare la mia espressione.

«Non fare il saccente e finiscila di comportarti come se fosse colpa mia.»

«Eh no, certo, è sempre mia la colpa,» ribatto tra i denti.

Non posso starmene zitto, ma allo stesso tempo non ho voglia di tornare su quel cazzo di argomento. Già mi sento uno schifo, non ho proprio la forza di litigare di nuovo, tantomeno con Miss Ho-Sempre-Ragione-Anche-Quando-Ammetto-Di-Aver-Torto.Ma lei non si mette sulla difensiva come mi aspettavo. Invece, scuote la testa e sospira. Quando parla, la sua voce sembra molto stanca.

«Non ho detto questo, Mattia. Lo sai. Ne abbiamo già parlato.»

Mattia. Uh, è in modalità Madre-Seria. Strano che non ci abbia infilato pure il cognome.

«No, tu ne hai parlato. Tu e papà,» preciso, il tono polemico fino alla nausea «io, mi sono limitato ad ascoltare. E ubbidire.»

«Non fare la vittima, adesso.» Me lo dice con un piglio piuttosto diretto, che mi fa incazzare.

«Hanno iniziato loro!» Sbotto, pentendomi subito del tono infantile con cui mi è uscita la frase. Maledizione, ci sono cascato di nuovo.

«Sì, me l’hai detto cento volte, ma non mi hai detto “che cosa” avrebbero iniziato. E all’ospedale ci sono finiti loro, mentre noi davanti al giudice.»

«Lui,» mi limito a precisare, senza entusiasmo «uno solo di loro è finito all’ospedale. Non è colpa mia se quello sfigato ha battuto la testa.»

«Non è colpa tua? E chi l’ha preso a pugni? Io?»

Sbuffo e mi rimetto le cuffie. Non ne voglio parlare. Perché nessuno lo capisce?

«Va bene, non ne parliamo più.»
La sua voce è lontana, soffocata dalla musica, ma la sento lo stesso.

«È solo che, per quanto ci pensi, non riesco proprio a capire cosa ti sia successo. Non è da te risolvere le cose con le mani. Non sei mai stato così.»

Chiudo gli occhi e fingo di non sentire. Non c’è altra via d’uscita.

I’ve always been an introvert Happily bleeding

Universo Dentro - Zenzonelli VersionWhere stories live. Discover now