35. Ricominciare a bastarsi

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«Ti aiuto con i piatti?» Chiedo mentre la osservo, affacciato alla porta della cucina.

Sonia e mio padre se ne sono appena andati, il profumo costoso di lei ancora aleggia nel salotto. Ci siamo abbracciati di nuovo, nel salutarci e la seconda volta è stato un pochino più facile.

«No, vai pure dai tuoi amici.»

La guardo, il capo chino sul lavello, i capelli che le sfiorano le spalle curve per la stanchezza. È svuotata. Lo sento dentro la pelle come se lo stessi provando io stesso. Mi avvicino e poso una mano sulle sue, che stingono lo strofinaccio con forza.

«Mamma?» Tento «Tutto bene?» Anche se già so che non è così.

«Sì, certo. Tutto a posto,» risponde con un sorriso tirato, che non ha nulla di allegro.

Cerca di mentire ancora. Quando capirà che non serve? Ho sempre visto ognuna delle sue lacrime, comprese quelle mai versate e ricacciate dentro a forza, e ho sempre fatto di tutto per asciugarle. Quando finalmente sposta lo sguardo su di me, capisco che lo ha sempre saputo. Fa un piccolo sorriso triste e mi accarezza, mentre una lacrima fuggitiva scivola sul suo viso. Abbandona lo strofinaccio e si lascia cadere sul pavimento, sfinita, le spalle contro il mobile della cucina. Mi siedo accanto a lei e le prendo la mano.

«Mamma…» mormoro, ma non so cosa dire. Lei mi ignora.

«Mi dispiace che tu abbia dovuto sentire,» mi guarda «prima, con tuo padre…» La fisso senza rispondere.
Come se fosse la prima volta.

Beh, non lo è. Quante volte li ho sentiti litigare, soprattutto su di me; ora non ci faccio nemmeno più caso, ma da bambino lo odiavo a morte. È per questo che ho iniziato ad ascoltare la musica, per questo che le cuffie sono diventate il mio rifugio. La mia musica, la sola via di fuga da tutta quella rabbia, quel senso di inadeguatezza che le loro parole, spesso urlate o venate di tagliente sarcasmo, aprivano in me come una ferita. Lei sa anche questo. Tutto quello che sono ora è una conseguenza del loro amore. E sì, anche del loro odio.

Volge di nuovo lo sguardo altrove e riprende a parlare; il tono è lo stesso che usava quando mi raccontava le fiabe prima di dormire, abbracciati in quel grande letto che avevamo finito per condividere, perché eravamo solo noi. Avevo soltanto lei e lei soltanto me. Ora non più.

«Sai, Matti, non erano tanto le sue fughe, la sua anaffettività, il suo cinismo a distruggermi, quanto le tue manifestazioni di gioia incondizionata per quelle briciole d’amore che ti concedeva. E più le cercavi, più sentivo che lui si allontanava. Ha sofferto di depressione per anni, c’erano momenti in cui sembrava che il mondo non avesse alcuna attrattiva per lui. Nessuna passione, nessuna gioia.»

È la prima volta che menziona la depressione di mio padre. Se lo avesse fatto prima, forse avrei visto in lui una luce diversa. Forse sarei riuscito a comprendere meglio, a trovare un modo per comunicare. Non lo giustifico, ma devo provare a perdonarlo. Per lui, per mia madre, ma soprattutto per me stesso.

«Quando hai passato quel periodo chiuso nella tua stanza, l’anno scorso, sempre al buio, non parlavi, non mangiavi quasi più, mi sono spaventata molto. Avevo il terrore che ti stesse accadendo la stessa cosa. Volevo farti seguire da qualcuno, ma aspettavo il momento giusto. Prima, volevo capire se avresti reagito come lui, ma non sapevo cosa fare.Con lui avevo sempre sbagliato, non volevo fare lo stesso errore anche con te. Non volevo perderti come avevo perso lui.»

La mia reazione alla morte di Chicco deve aver segnato molto anche lei. Con il senno di poi, vorrei avergliene parlato prima. Se avessi saputo quanto avrebbe fatto bene a entrambi, non avrei aspettato tanto. È che non ci rendiamo quasi mai conto di quanto, a volte, sia potente l’ascolto. Continua e io non ho la forza di interromperla.

Universo Dentro - Zenzonelli VersionWhere stories live. Discover now