23. Lacrime

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Passano le settimane. Ormai è arrivato l’autunno e la temperatura è cambiata. Niente più bagni, ma per il resto la vita qui è quella di sempre. A parte la nebbia che ogni tanto scende, con la sua atmosfera ovattata e malinconica, anche le serate sono quelle di sempre. Qualche chiacchiera al bar, qualche birra. Il fischio del faro. I sabati sera in giro per la costa a fare i pazzi. Questo posto durante l’anno è deserto, ma la pace e il silenzio sono cose che non avevo mai apprezzato tanto, prima.

Avevo bisogno di staccare dalla mia vita dopo quello che è successo con Chicco e il resto. Qui gli amici sono pochi, ma mi piace stare con loro, molto più di quanto mi piacesse stare con quelli di prima, che non sento nemmeno più.

Prima di partire, avevo già cambiato numero e chiuso tutti i profili social e non ho alcuna intenzione di riaprirli. Anche mia madre è felice come non l’avevo più vista da anni. È persino tornata a nominare papà senza innervosirsi. Lui, in compenso, non si fa sentire da settimane e non è mai passato a vedere dove vivo.

Poi qui ho Chri. Lui è più sereno, non è più quello stronzo umorale che ho conosciuto quel pomeriggio al bar e mi piace pensare che sia anche un po’ merito mio, oltre al fatto che Leonardo non si fa vivo da un po’. Ha tentato di chiamarlo i giorni dopo la festa, poi ha smesso. Forse ha trovato qualche altro ragazzino da infastidire, ma non ci spero poi molto. Gli stronzi come lui non si lasciano battere con tanta facilità. Comunque, non ne parliamo mai.

Chri ha recuperato anche la matematica e ora se la cava abbastanza, anche se non capisco come, visto che non è che studi molto quando è con me. Forse lo fa di notte, giusto per salvare le apparenze e mostrare a suo padre che studiare insieme dà i suoi frutti. O forse era davvero tutta una scusa per avermi, come sostiene Elena. Questa è senza dubbio la mia versione preferita.

È sdraiato sul mio letto con le braccia incrociate dietro la nuca e osserva il soffitto. La posizione gli solleva appena l’orlo della maglietta. Mi siedo accanto a lui e prendo ad accarezzare con le dita la pelle del suo addome, facendo piccoli cerchi tra la peluria intorno all’ombelico.

«Da quanto tempo lo sai?» Gli chiedo. Non c’è bisogno che spieghi cosa intendo. Mi guarda e sorride.

Poi sbadiglia e si stiracchia. «Credo di averlo sempre saputo. Tu?»

«Sì, anch’io. Ho tentato di negarlo a me stesso per un sacco di tempo, ma poi non ce l’ho più fatta.»

«Non dirlo a me. Ci ho passato la vita, a cercare di negarlo. Sai, prima di Leonardo,» ci pensa su un po’ «anche dopo, a dire la verità. A qualche falò ero un po’ più sbronzo del solito…con alcune è stato anche divertente.»

Ridacchia e io gli do una spinta. Sì, sono geloso anche delle ragazze.

«Comunque, i ragazzi sono meglio,» conclude, ammiccando.

«I ragazzi?» Gli faccio il verso, piccato. Aggrotta la fronte.

«“Io” sono meglio!» Preciso.

Scuote la testa e scoppia a ridere, alzando gli occhi al cielo. Lascio cadere il discorso, ma non stavo scherzando del tutto.

«Quindi tu con le ragazze…insomma, non hai problemi?» Gli chiedo invece.

Scuote la testa. «Problemi? Mmmm, direi di no. Cioè, mi devo concentrare un po’ e ogni tanto la testa va per conto suo, ma lo nascondo bene. Perché, tu sì?»

«Zero, a parte qualche bacio. Con quelli basta chiudere gli occhi e lasciare andare la fantasia. Ma quando si tratta di venire al sodo, tutto tace.» Faccio una smorfia e un gesto piuttosto rivelatore.

«No, sul serio?» Sembra stupito «Non lo avrei detto. Sì, insomma, da quello che ho potuto constatare, mi sembra tutto in regola.» Ride, allusivo.

Io sono combattuto tra imbarazzo e orgoglio. Gli do un pugno su un braccio e fingo di essere offeso.

Universo Dentro - Zenzonelli VersionWhere stories live. Discover now