14. Non sono nessuno

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La sera non esco. Resto sdraiato sul letto, una vecchia maglietta logora e stropicciata e lo sguardo rivolto al soffitto. Il silenzio che entra dalla finestra è destabilizzante per me, abituato com’ero ad addormentarmi con il brusio delle auto che passavano sulla strada.

Non ho tanta voglia di vedere Elena, tanto per cominciare. Non saprei come comportarmi. Lei, magari, si aspetta pure qualcosa. Dovrei fare finta di nulla? Credo che la parola ora spetti a me, visto che l’ho lasciata andare via così. Non ne ho idea. Ci siamo baciati, okay e si sarà pure accorta che non mi è dispiaciuto, visto che non posso negare di aver ricambiato. Però, finisce qui.

Diciamoci la verità: è stato il bacio più casto del mondo. Non è stato terribile, ma mi è parso piuttosto ovvio che non ho il benché minimo interesse ad approfondire. Dice di non aver avuto molti ragazzi ma un bacio, di solito, qualcosa smuove sempre. E, invece, calma piatta.

Da parte mia non è cambiato niente, anche se temo che la mia scusa non l’abbia affatto convinta e, se non metto le cose in chiaro, potrebbe tornare alla carica. Sì, certo, ha promesso che non avrebbe preso più l’iniziativa, ma se devo essere sincero non sono molto propenso a crederle. E, soprattutto, non ho affatto voglia di scoprire cosa si inventerà per convincermi a prenderla io, al suo posto. Ma che posso dirle? Solo la verità. E quella non gliela direi per tutto l’oro del mondo. Alla faccia della discrezione. Sarebbe come mettere i manifesti, figurati.

Scuoto la testa. Ci penserò quando si ripresenterà il problema. Sì, meglio rimandare. Fino a domani a scuola. Oddio. Ecco, a questo punto potrei pure uscire. A ogni modo, anche se decidessi di farlo, non credo che mia madre me lo permetterebbe. Stasera non posso sgattaiolare fuori, visto che è già in modalità pantofole, popcorn e dvd. E sicuramente non ho voglia di discutere della mia vita sociale.

Provo a distrarmi ascoltando un po’ di musica. Infilo le cuffie e scorro la lista dei titoli, finché qualcosa non cattura la mia attenzione. Faccio partire la versione acustica di FiveYears di David Bowie, cantata da Brian Molko e inizio a canticchiare, mentre nella mia testa si insinua il pensiero di Chri. Questa volta, però, non si tratta di fantasie piacevoli.

Continuo a pensare a quella roba del destino, degli incontri che hanno un significato profondo. E sono in pensiero per lui. All’inizio mi piaceva solo un po’. Okay, mi piaceva tanto, lo ammetto. Però era solo una questione fisica. Adesso, invece, ho voglia di passare del tempo con lui. A parlare, guardarlo sorridere. Non penso più solo al sesso. Cioè, è ovvio che ci penso, ma ci sono anche altre cose.

I suoi sguardi tristi, quel modo da spaccone, i suoi piccoli disegni sui bordi dei quaderni. La sua voce quando ride. E quei segni sul collo. Chissà che cosa gli sta succedendo. Non può essere suo padre, non era suo padre oggi al telefono o l’altro giorno al bar. E se avesse ragione Cosmary? Se davvero fosse in un giro strano? Se fosse nei guai? Dovrei aiutarlo? In fondo, chi sono io per lui? Nessuno. E lui nessuno per me.

Troppi pensieri, stasera. Devo spegnere il cervello. Scelgo una raccolta di poesie di Walt Whitman dai miei scatoloni e mi ributto sul letto a leggerlo. In originale è bellissimo, ma afferro una parola su cinque. Ci rinuncio e mi leggo il testo a fronte.

O tu a cui spesso mi avvicino silenzioso,
per poter stare
con te là dove sei,

Quando cammino a fianco a te per strada,
o ti siedo accanto, o quando resto assieme a te in una stanza,

Tu poco sai del fuoco che sottile, elettrico,
per amor tuo
guizzando mi percorre.

Non mi aiuta certo a distrarmi dal mio chiodo fisso. Scuoto la testa e passo alla poesia successiva. Dopo qualche minuto, mia madre bussa alla porta.

Metto il libro aperto a faccia in giù sulle gambe stese e mi volto, in attesa. Da quando siamo qui non mi ha più chiesto nulla di quella storia e me lo aspetto ogni volta che restiamo soli. Non litighiamo più, io non ho più scatti di rabbia e lei non mi provoca. Soprattutto, non ho più fatto a botte con nessuno. Qui è tutto talmente diverso che mi sembra quasi di essermi lasciato il passato alle spalle, chiuso in una scatola polverosa nella soffitta dei ricordi, e non ci tengo proprio a ritirarlo fuori. Credo che per lei sia lo stesso. Infatti, non ne parla nemmeno questa volta.

«Non esci stasera, Matti?» Mi chiede, affacciandosi alla soglia. Spalanco gli occhi e rimango in silenzio.

«Che c’è? Guarda che lo so che sei uscito, l’altra sera. Questo è un piccolo paese. Ti consiglio di stare attento a quello che fai, se credi di nascondermelo. E comunque, puoi uscire la sera, se ti va, a patto che tu scenda soltanto in paese, durante la settimana e che non torni tardi. La scuola prima di tutto. E ricordati che sei ancora in punizione, anche se qui sembra di vivere su un nuovo pianeta.»

Lo dice con un tono quasi sognante. Questo posto le ha fatto proprio bene. Mi concedo un sorriso. Forse sta facendo bene anche a me.

«Grazie mamma. Sono stanco stasera, comunque apprezzo l’offerta e non mancherò di sfruttarla.»

Arriccia il naso «Tu parli strano, sai?»

«Ah, perché tu no?»

«Io non parlo come un’ottantenne.»

«No. Tu cerchi di parlare come i giovani, ma hai dimenticato che gli anni ’80 sono passati da un pezzo.»

Mi fa la linguaccia, poi ride. «Il tuo impegno del pomeriggio poi? Quello tanto importante da rinunciare a una fetta della mia fantastica torta? Tutto okay?»

Annuisco «sì, dai. Pensavo peggio.»

«Ottimo. Notte tesoro. Non aprire così tanto quel libro che si rovina la costa.» Alzo gli occhi al cielo mentre lo chiudo, tenendo il segno con il pollice.

Poco prima che si richiuda la porta alle spalle, la chiamo. «Andrà tutto bene qui, vedrai,» le dico.

E ci credo davvero. Spero solo che si risolva la cosa di Chri, o che sia meno grave di quello che sembra. Anche se mi pare piuttosto improbabile.

«Lo so. Va già alla grande.»

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