4. Scariche elettriche

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«Non posso aiutarti con le scatole, stasera. Esco,» annuncio con la bocca piena di spaghetti al pomodoro, cercando di non sputacchiare qua e là.

La mamma alza gli occhi dalla sua insalata e mi sorride. «Hai già la serata impegnata? Siamo arrivati solo ieri.»

«Mhm, ho conosciuto dei ragazzi giù in paese, mi hanno invitato a una festa in spiaggia. Ti dispiace? Se non vuoi restare sola, passo almeno ad avvisarli.»

Mamma fa un cenno e si alza per prendere il dolce dal forno. «No, no, scherzi? Non si dica che impedisco a mio figlio adolescente di socializzare. Sono felice che tu abbia già trovato degli amici. Ci tengo che passi una bella serata. Magari ti accorgerai che questo posto è meglio di quanto credi.»

«Adesso non correre, però sì, sono simpatici. Beh, alcuni di loro. E il posto non è così male. Il mare è magnifico. Come mai non hai fatto un salto in spiaggia?»

Un piccolo broncio si disegna sul suo viso «Mi annoio in spiaggia da sola.»

Continuo a mangiare in silenzio, mentre taglia la torta di mele, dandomi le spalle. Mi dispiace per lei. Mi lamento sempre della mia situazione, ma non è facile per nessuno. Ci siamo trasferiti qui soprattutto per colpa mia, ne sono consapevole, anche se sono troppo testardo per ammetterlo davanti a lei. In fondo, qui ha trovato un lavoro che ama, ma è sola. E per lei è molto più difficile fare amicizia. Dopo la separazione non è mai più stata la stessa e la sentenza di divorzio è ancora recente. E poi, mi ci metto pure io, con le mie crisi e i miei casini.

«Ma la tua collega? Quella con cui hai parlato per il lavoro? L’hai vista un paio di volte, no? Non è che le hai raccontato di me?»

«No, lei non vive qui. Abita a C., dove lavorerò e dove tu andrai a scuola.» Si porta una mano alla bocca e mi guarda, gli occhi sgranati dalla sorpresa. «Ma tu come sai che…?»

«Che le hai parlato di me? Diciamo che la fama mi ha preceduto.»

«Oddio, Matti, mi dispiace! Mi è scappato, io…»

Scuoto la testa e, davvero, non ce l’ho con lei. «Non preoccuparti, contribuisce all’alone di mistero che si crea intorno al forestiero.»

Si avvicina e mi scompiglia i capelli con un sorriso. Prende il piatto vuoto e lo sostituisce con una fetta di torta. Sono già le dieci e mezza passate, quando esco di casa. L’acqua si è fermata mentre ero sotto la doccia e ha pensato bene di ripartire senza preavviso, dopo quasi un’ora, quando ormai avevo risolto, sciacquandomi i capelli con due bottiglie di acqua minerale. Frizzante. Senza contare il tempo che mi ci è voluto, poi, per cercare di dar loro una parvenza di ordine. Tempo perso, come al solito.
Il problema è che sono troppi, è impossibile tenerli a bada. Decido di tirarmeli indietro con dell'acqua, per evitare almeno di trovarmeli sempre sulla faccia. Salto sulla bici con i miei capelli incasinati e la mia chitarra in spalla, sperando che mi abbiano aspettato.
E se se fossero andati via? Potrei cercarli giù alla spiaggia, sono certo che li troverei, con il fuoco e il resto. E se il pezzo di spiaggia non fosse quello giusto? Okay, lo ammetto, del falò non me ne frega niente. Né delle birre, della notte in spiaggia, degli occhi dolci di Elena.
Una cosa sola mi interessa. Lui. Devo vederlo.

Lo so, lo so. L’ho visto una volta sola e le uniche parole che mi ha rivolto non erano neanche indirizzate a me. E, soprattutto, non erano gentili. Senza contare che è una specie di sfigato, che se la tira un casino e porta pure gli occhiali scuri al chiuso. Ma che ci posso fare se non riesco a pensare ad altro? Magari è vero, magari ha ragione Elena. Forse non è davvero così stronzo. Magari oggi era di cattivo umore. In fondo, succede a tutti, no?

E comunque, anche se fosse, non cambierebbe nulla. Non potrebbe mai ricambiare il mio interesse; non capisco cosa cerco, né cosa mi aspetto da questa serata. È che mi è scattato qualcosa dentro nell’istante in cui i nostri occhi si sono incontrati. Qualcosa che non so definire, ma che non riesco a ignorare. Un brivido sotto la pelle, una scarica elettrica dentro le vene. Qualcosa di potente, come il Destino. Ci sono cose che sembrano accadere soltanto nei romanzi. Non te le spieghi, e non ci credi, finché non ti capitano. So solo che pedalo più forte che posso e che il cuore mi batte nel petto, non soltanto per lo sforzo. Quando arrivo non c’è nessuno.
Il bar è aperto, ma dai vetri intravedo solamente Giulia, che sfoglia svogliata una rivista appoggiata al bancone del bar. Mi guardo intorno qualche minuto e poi faccio per andarmene.

«Finalmente! Ti sei perso?» Una voce alle mie spalle. Mi volto, sorpreso. È Elena, da sola. Una punta di delusione mi si pianta sottopelle, ma sorrido. Guardo l’orologio. Le undici.

«Scusa. Un problema nella doccia. Ho fatto tardi…»

«Interessante,» commenta, maliziosa «risparmiami i dettagli, ti prego. Non ci conosciamo ancora abbastanza.»

Mi ci vuole un attimo per afferrare la battuta. Arrossisco. Il problema è che l’intenzione c’è pure stata, visti i pensieri folli che mi invadono la testa da qualche ora, ma la doccia non ha collaborato.

«No, non…l’acqua,» balbetto «non funzionava l’acqua nella doccia.» Non so che altro dire, quindi lascio perdere.

Lei fa un gesto per zittirmi e mi afferra un braccio, trascinandomi verso il retro del bar. «Sto scherzando, dai. Aiutami a prendere le birre, gli altri sono già là. Aspettano solo noi.» La seguo senza aggiungere altro, tanto rischierei solo di affondare ancora di più nel ridicolo. Non c'è limite al peggio.

«Andiamo a piedi,» mi informa «lega la bici a quel palo laggiù.» Ubbidisco e raccolgo le confezioni di birra che mi ha affibbiato.Lei ne porta altrettante.

Per tutto il tragitto non smette un attimo di parlare, ma io non riesco a seguirla. Mi limito ad annuire e mugugnare nei punti giusti, ridere quando lei ride e tacere quando è il momento. La mia testa è altrove. È assurdo, lo so, ma sono nervoso da morire. Dopo qualche minuto, mi accorgo che c’è uno strano silenzio. Mi volto verso di lei e noto che mi osserva, in attesa.

«Dicevi, scusa? Mi sono distratto un secondo.» Giusto un secondo. Lei non si offende. «Ti ho chiesto se frequenterai anche tu il liceo a C.»

«Sì, la quarta,» confermo.

«Ottimo, così possiamo andare a scuola insieme. Siamo un bel po’. Verrai in pullman anche tu?»

«Sì, speravo in un motorino per il mio compleanno, ma non ci conto granché. Con la bici non vado lontano.»

«Che sezione?»

«La E.»

«Perfetto, sei in classe con noi!»

«Noi?»

«Sì, Luca, Serena, Luigi, Alex, Chri e io. Cosmary e Carola frequentano un’altra scuola.» In classe insieme. Un bene o un male? Ancora non lo so, ma il cuore non vuole saperne di disperarsi.

«Mhm,» mugugno, fingendo indifferenza «bene. Non pensavo aveste tutti la mia età.»

«No, infatti. Serena, Luigi e io abbiamo diciassette anni, Luca e Chri sono più grandi. Loro hanno la macchina, non prendono il pullman con noi. Luca è stato bocciato due volte, ne ha diciannove. Chri, invece, diciotto. Ha perso un anno. Ma non è stupido, sai? È un bravo ragazzo. Solo che ha qualche problema…» esita, ma è solo un attimo «in famiglia,» conclude.

La guardo interessato, ma lei non prosegue. Non me la sento di insistere, anche se sono curioso. Si morde un labbro. «Non dirgli che te l’ho detto.»

«No, certo che no.» Sorride.

«Ecco, siamo arrivati.»

Universo Dentro - Zenzonelli VersionWhere stories live. Discover now