3. Domande da non fare mai

250 46 17
                                    

Punto I del C.E.T.: Il duro lavoro è alla base della salvezza.
_______

-Perché non ti metti la maglietta grigia?- esclamò la madre di Etnia, mentre era intenta ad assicurarsi che il piccolo Timber si presentasse al suo primo giorno di scuola elementare nel miglior modo possibile. Non c'era mai voluto andare, prima di allora; invece, già da un paio di giorni, aveva iniziato a parlare della scuola e di come era curioso di sapere cosa si provasse ad essere uno studente.
-Era ora- aveva detto suo padre -Aspettavo questo giorno da un pò, sai?-.
Il ragazzino sembrava davvero entusiasta, a giudicare dal modo in cui saltellava per la stanza. Sua sorella Etnia, invece, era in piedi in un angolino con le braccia conserte, mentre osservava la madre ancora impegnata nel rovistare nei cassetti dell'armadio.
-Meglio questa- disse la donna, porgendo al figlio minore una t-shirt bianca e nera.
Tim la afferrò senza fare storie e se la infilò rapidamente, correndo poi in bagno a pettinare i suoi corti capelli neri. Erano sempre arruffati, quei capelli; ecco perché adesso era costretto a fissarli con un po' di lacca, come sua madre gli aveva insegnato.
-E tu, Etnia?- chiese poi la donna, voltandosi verso la figlia -Oggi non vai a lezione?-.
La ragazza emise un lieve sospiro e scosse la testa. -Se Timber vuole andare alle elementari.... Lo accompagno. Almeno oggi, che è il primo giorno...-.
Sua madre si fece una risata sotto ai baffi. -Cosa non faresti per evitare un giorno di scuola, eh?-.
-Cosa?- ribatté subito la ragazza -Guarda che non..-.
-Che state combinando?- si intromise suo padre che, appena varcata la porta della stanza, strinse Etnia in un caloroso abbraccio. -Stai diventando più alta di me, maledizione- esclamò ridacchiando.
Tim afferrò lo zaino che aveva lasciato pronto sul letto e se lo mise frettolosamente in spalla. -Allora scema? Mi accompagni o no?- disse mettendo in mostra la lingua.
-Arrivo, piccolo demonio. Arrivo..- farfugliò lei, liberandosi dall'abbraccio del padre.
Etnia amava la sua famiglia; e infondo perché non avrebbe dovuto? C'era uno splendido rapporto tra tutti loro. Certo, di litigare qualche volta capitava; ma era cosa molto rara.
La ragazza prese per mano suo fratello minore ed insieme uscirono dalla porta principale, facendola sbattere un pò. Non appena l'aria afosa dell'esterno raggiunse le loro bocche, accelerarono il passo; entrambi non vedevano l'ora di raggiungere la scuola perché il maledetto caldo che avvolgeva tutta la città era davvero insopportabile. Era faticoso persino respirarla, quell'aria.
Le piogge sulla terra erano ormai cosa rarissima; e seppur quando piovesse le temperature scendessero molto, godersi quei rari momenti non era possibile dal momento che le piogge erano altamente radioattive. Quando un temporale era in avvicinamento, tutti si richiudevano in casa e nessuno metteva il naso fuori finché i raggi del sole non avevano asciugato ogni singola goccia.
I due camminarono l'uno accanto all'altra lungo un tratto di strada che percorreva il centro città, fino a raggiungere la scuola elementare dove Timber sarebbe stato accolto; era un edificio piuttosto grande, interamente dipinto di bianco e munito di innumerevoli finestroni a vetrate i quali probabilmente rendevano l'ambiente interno molto luminoso.
L'ingresso, una porta di vetro a doppia anta contornata da lastre di marmo bianco, era già colorato dall'incessante via vai di gente che usciva ed entrava; per la maggiore erano mamme e papà che accompagnano i loro figli a lezione.
Etnia si fermò qualche metro prima dell'ingresso, e posò una mano sulla spalla del fratellino in modo affettuoso. -Mi raccomando, Tim; comportarti bene- disse, accennando un caldo sorriso.
Il ragazzino annuì energicamente -Lo so- esclamò. Poi si portò le mani alla bocca per nascondere una risata. -Sembri la mamma- disse.
La ragazza scosse la testa. -Ma dai... Non sono così tanto noiosa-. Guardò poi in direzione della scuola, e divenne improvvisamente molto seria. -A proposito della mamma... Si è raccomandata che ti dicessi un paio di cose... Le solite che lei disse a me quando andai a scuola la prima volta-.
Il bambino la guardò dritta negli occhi con aria interessata. -Quali cose?-.
Etina sospirò. -Sai, siccome lei ci tiene molto a fare bella figura con le maestre... Vuole che tu non faccia domande assurde-.
-Ma di che parli?- domandò Timber, aggrottando la fronte.
-Beh... Delle cose che ti capita di chiedere qualche volta, anche a casa...-.
-Tipo quando dico che vorrei vedere cosa c'è fuori dalle mura?-.
La ragazza annuì. -Ecco, cose come questa. Alle maestre non piace che si dicano-.
-Ma il non..-.
-Timber- lo interruppe lei -Fuori c'è solo sabbia, e la città Celeste è l'unico posto in cui si può vivere. Cel'hanno insegnato mamma e papà, ricordi?-.
-Sì...- farfugliò il bambino -Ma a volte è così noioso... Vorrei che ci fosse dell'altro, invece-.
Etnia diede un rapido bacio sulla guancia del fratello minore, e lo salutò con una carezza sulla testa. -Se ci pensi tutto sommato non è male... Ma adesso vai dentro, che gli altri bambini sono già in classe!-.
Lo osservò salutarla con la mano e dirigersi verso l'ingresso, correndo con lo zaino che saltellava sulla sua schiena. Seguì il suo profilo finché non scomparve oltre la porta, poi sorrise lievemente e si voltò indietro, per tornare a casa.
Non appena ebbe compiuto un giro su sé stessa, tuttavia, il suo cuore sussultò. C'era un uomo proprio dietro di lei.
Lo spavento le fece cacciare un urlo soffocato, e d'istinto fece un balzo indietro.
-Non volevo spaventarla, signorina- esclamò l'individuo, agitando le mani in segno di pentimento -Chiedo scusa-.
Etnia lo riconobbe in pochi istanti: era il vecchio che aveva colpito involontariamente il giorno precedente, quando era in piazza a cercare Ashley.
-Non... Non fa nulla- farfugliò lei in evidente imbarazzo.
L'uomo restò in silenzio a scrutarla per qualche secondo, poi si passò una mano dietro alla nuca e disse: -Non vorrei essere inopportuno ma... Passavo di quì ed ho sentito la tua conversazione con quel bambino... Tuo fratello, immagino-.
Etnia aggrottò la fronte e strinse le mandibole. -Quindi?- chiese, irritata.
L'uomo abbassò lo sguardo a terra, e sembrò cercare le parole più giuste per dire la frase successiva. -Beh, mi sembri una ragazza in gamba... Mi chiedevo se ti interessasse sapere la verità-.
Quelle parole furono seguite da diversi secondi di silenzio, durante i quali la ragazza rimase imbambolata ad osservare il suo interlocutore. Non capiva con esattezza che cosa volesse dire, ma si sentiva estremamente incuriosita; la sua voglia di ascoltare ciò che quell'uomo aveva da dire, era frenata solo e soltanto dal timore che farlo fosse una cosa sbagliata.
-La... La verità?- ripeté soltanto, sistemando i capelli dietro alle orecchie.
Il vecchio annuì soddisfatto. -Tranquilla, non ho cattive intenzioni... Ma se ti interessa sapere, seguimi. Non posso parlare qui-.

Trivial Where stories live. Discover now