34. Legami Indissolubili Pt. 2

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Il giorno successivo, Etnia fu chiamata a prendere parte ad un piccolo rito di iniziazione, durante in quale assistette ad un breve discorso e le fu consegnata una divisa, che simboleggiava la sua appartenenza alla squadra difensiva del covo. Da quel momento in poi me avrebbe fatto ufficialmente parte, e sarebbe iniziato il suo periodo di addestramento durante il quale avrebbe affiancato il resto della squadra in alcune missioni di recupero materiali ed esplorazione.
La ragazza afferrò la divisa con entusiasmo, sotto lo sguardo incredulo e geloso del fratellino. Per la prima volta in vita sua sentiva di fare davvero parte di qualcosa, ed era qualcosa di davvero importante.
-Benvenuta tra noi, collega- esclamò un uomo, stringendo la sua mano. Lei rispose con un caldo sorriso, prima di allontanarsi dalla calca e raggiungere Timber.
La divisa della squadra era molto semplice: era composta da un completo scuro, ricavato da porzioni di stoffa cucite tra loro. Non erano tutte uguali, essendo costruite con materiali di recupero, e non erano neanche particolarmente belle; ma per Etnia, averne una, significava davvero molto.
Corse assieme al fratellino lungo un vicolo, finché non trovò uno spazio angusto tra due palazzi. - Tu controlla che non arrivi nessuno- disse, rivolgendosi al fratello. - Ci metto un attimo a cambiarmi-.
Si infilò in quello spazio stretto e si sfilò di dosso i vestiti, per poi sostituirli rapidamente con la sua nuova divisa.
-Che ne dici? Come mi sta? -.
Timber spalancò gli occhi ed allargò un enorme sorriso. - Che figata! Sembri il protagonista di un videogioco! -.
La ragazza scoppiò a ridere ed abbassò lo sguardo sul suo vestiario, mentre con le mani sistemava il colletto della maglia. Sul lato frontale vi era una spilla, il simbolo della squadra di difesa del covo.
Vi passò sopra le dita, poi sorrise. - Non vedo l'ora di farlo vedere a Nux, andiamo- esclamò.
Ripercorsero la via a ritroso tenendosi per mano, ed a passo svelto raggiunsero la loro baracca.
Etnia accellerò il passo; non vedeva l'ora di mostrare a Nux il suo completo, e di annunciare che adesso faceva ufficialmente parte della squadra di difesa.
Varcò la soglia della baracca seguita dal fratellino Timber, ma all'interno trovò tutti i letti vuoti.
C'era solo una donna, al centro della stanza, che non appena la vide entrare sollevò la testa e spalancò le braccia.
-Eccoti, dove diavolo eri finita?! -.
Etnia aggrottò la fronte; neanche la conosceva quella persona.
-Sei... La ragazza della città Celeste, giusto? - disse ancora la donna.
Lei annuì con un cenno del capo, e si fece ancora più confusa. Solo pochi attimi dopo, suo malgrado, le sarebbe stato chiaro che cosa stesse accadendo.
-Il Trivial è stato portato in infermeria- annunciò, assumendo un'espressione più cupa - Ero venuta ad avvertirvi ma non vi ho trovati-.
Etnia sentì il suo cuore mancare un paio di battiti. Si voltò a guardare il fratellino, che pareva a sua volta piuttosto sconvolto, e corse via senza dire una sola parola.. Si precipitò fuori dalla baracca e corse più veloce che poté lungo le vie strette del covo, innalzando un pò di polvere ad ogni contatto delle sue suole con il terreno, fino a raggiungere il decadente stabile dell'infermieria, vicino alle mura del covo.
Non si lasciò il tempo di fermarsi a pensare, ma si precipitò all'interno e per poco non inciampò sull'unico gradino presente.
-Dov'è Nux? - esclamò, con il fiato corto.
Nella stanza, piuttosto spoglia, vi era un singolo dottore seduto su un divanetto di pelle rossa, pieno di crepe. Sollevò lo sguardo ed osservò Etnia attraverso il vetro spesso dei suoi occhiali, con la fronte aggrottata.
-Dov'è Nux? - ripeté lei, inarcando la schiena e puntando i palmi delle mani sulle ginocchia, intenta a riprendere fiato.
-In quella stanza- rispose il medico, allungando l'indice in direzione della porta socchiusa in fondo alla sala. - Ma forse è il caso di lasciarlo riposare-.
Etnia deglutí nervosamente, e si avvicinò di un paio di passi all'uomo in camice. Le tremavano le ginocchia, faceva fatica a reggersi in piedi e sentiva la testa girare.
-Che cosa.. Che cosa è successo? - balbettò, asciugando con la mano la sua fronte sudata.
Lui fece spallucce. -Della gente l'ha visto perdere molto sangue dalla bocca; è svenuto in strada, dei ragazzini sono corsi quì a chiamarmi- spiegò. Si alzò poi in piedi, infilando entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni. - Voglio essere sincero con te, ragazza. La situazione... -.
-Quanto gli resta? - lo interruppe lei, stringendo i pugni. Si voltò poi a destra in direzione del fratellino, che assisteva alla conversazione in completo silenzio, e gli fece cenno con la testa di andare via.
-Aspettami fuori- sussurò.
Timber obbedì senza fare domande, e solo quando fu uscito dalla porta il medico rispose alla domanda. - Beh, quando l'ho visitato credevo che non si trattasse di uno stadio così avanzato- spiegò, sospirando - Per come stanno le cose adesso... Direi poco, molto poco-.
Etnia abbassò lo sguardo, e non ebbe più il coraggio di dire una singola parola. Si incamminò lentamente verso la porta che il dottore aveva indicato poco prima, con lo sguardo basso e la mente soffocata da mille pensieri.
Fu solo grazie alla forza della disperazione che riuscì a varcare quella soglia, richiudendo subito la porta dietro alla sua schiena.
La stanza ove si trovava adesso era molto più piccola della precedente; le pareti bianche erano scrostate in diversi punti, e sul soffitto erano presenti numerose macchie di umidità. Al centro del piccolo spazio vi erano sistemati due letti: il primo era vuoto, mentre nel secondo era stato sistemato Nux.
Etnia dovette prendere una gran boccata d'aria, prima di trovare il coraggio di avvicinarsi. Il Trivial era disteso sotto ad un lenzuolo, con il volto rivolto verso l'alto e le braccia distese lungo i fianchi. C'era ancora del sangue secco ai lati della sua bocca, ed una piccola fasciatura teneva in posizione la flebo attaccata al suo braccio destro.
La ragazza si avvicinò, e vide che aveva gli occhi chiusi; il suo petto si alzava e abbassava lentamente, stava dormendo. Per un tempo indefinito restò lì, in piedi accanto al letto, con lo sguardo perso su di lui.
Nonostante tutto, ancora faceva fatica a credere che tutto ciò fosse reale. Aveva perso i suoi genitori, i suoi amici, quella che era stata tutta quanta la sua vita fino a poco tempo prima; non poteva accettare, dopo tutto questo, di perdere anche Nux.
Intrecciò le braccia sul petto e si mise a sedere a terra, proprio accanto al letto; poggiò la testa sul bordo del materasso e chiuse gli occhi, cullata dal lieve fruscio regolare del suo respiro. Non intendeva svegliarlo, avrebbe aspettato che fosse lui stesso ad aprire gli occhi.

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