6. Il momento di fare qualcosa in più

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-Non sono disposto ad avvicinarmi più di così- esclamò il vecchio, fermandosi in modo brusco in prossimità di un pilastro. Vi si posizionò dietro, volgendo le sguardo alla ragazza che ancora lo seguiva. -È troppo pericoloso- disse ancora.
Etnia inarcò le sopracciglia. -Cosa? Ma non si vede niente, da quì-.
Dalla posizione in cui si trovavano, si potevano vedere chiaramente i cinque capannoni che sorgevano nella vallata sabbiosa; ed un imprecisato numero di persone che camminavano lì attorno. Da quella distanza, però, era impossibile capire cosa stessero facendo, tantomeno distinguerne le figure.
-Non essere sciocca, ragazza. Avvicinarsi ancora sarebbe stupido; se qualcuno dovesse vederci, sai che accadrebbe?-.
La ragazza sospirò. -Beh, immagino che..-.
-Sparano a vista- la interruppe il vecchio. -Neppure ti chiedono spiegazioni-.
-Io non credo... Siamo cittadini della Città Celeste...- farfugliò la ragazza, senza smettere di osservare con occhi curiosi lo spazio sconosciuto che le si parlava davanti -Le guardie ci proteggono. Non è permesso loro di sparare ai cittad...-.
-Me ne vado- la interruppe ancora lui -Non avrei neppure dovuto portarti qui-. Scosse nervosamente la testa e prese a camminare nella direzione opposta.
Etnia lasciò cadere le braccia lungo i fianchi in segno di resa. -Davvero te ne vai? Fai sul serio?!- chiese, spalancando la bocca per lo stupore.
Il vecchio si voltò indietro senza smettere di camminare. -Puoi contarci. Non ascolti quello che ti dico, e sei maledettamente incosciente. Non voglio essere partecipe della brutta fine che farai di certo...- esclamò. Le diede poi nuovamente le spalle, e riprese a camminare a passo ancor più veloce.
Etnia tacque per qualche secondo, indecisa se andare avanti o rinunciare e tornare alla Città Celeste assieme a lui. Tuttavia, il desidero di vedere e di provare emozioni che forse ancora non conosceva, la spinse a restare con i piedi incollati a terra.
-Io andrò ugualmente- disse, con voce decisa. Era la prima volta che provava un così forte bisogno di avventurarsi in qualcosa di nuovo; il suo corpo fremeva, per la paura ma anche per l'emozione. E dentro di sé sapeva di star facendo una follia, ma nell'entusiasmo di quel momento i pensieri razionali divennero quasi trasparenti.
Il vecchio annuì con un cenno del capo, ormai lontano diversi metri da lei. -La scelta è tua... Ma non dare la colpa a me, per qualsiasi cosa accadrà adesso. Ti sto offrendo la possibilità di tornare in salvo, ragazza-.
-Mi chiamo Etnia- ribatté lei, a tono -E tu non mi hai ancora detto il tuo nome-.
Il vecchio, ormai giunto davanti alla grande rampa di scale, iniziò a salire con aria impacciata.
-Di solito mi chiamano Ed- echeggiò la sua voce, lungo i muri del corridoio.
Gli occhi di Etnia seguirono il profilo dell'uomo fino a che esso non scomparve in lontananza, oltre il cancello che lo ricondusse alla città; e, in pochi secondi, la ragazza si ritrovò sola.
Tirò un lento e tremante sospiro, osservando il modo in cui i suoi stivaletti si erano già sporcati. In altre occasioni sarebbe corsa a pulirli, ma non era questo il giorno; adesso, era il momento di fare qualcosa in più.

..........

Etnia iniziò ad avvicinarsi cautamente, sfruttando i pilastri di cemento per celare quanto più possibile la sua presenza. Il corridoio esterno ne era affianco per diversi metri, fino a che una piccola rampa di scale non dava adesso alla grande distesa di sabbia.
Una volta giunta lì, non avrebbe più avuto possibilità di nascondersi.
La ragazza raggiunse i gradini e scese guardandosi intorno; quando raggiunse l'ultimo, però, si fermò di colpo; non aveva mai calpestato la sabbia. Non l'aveva neanche mai vista da così vicino.
Portò avanti una gamba con evidente titubanza, e quando la scarpa si poggiò a terra emise un sospiro tremante. Sentiva il calore emanato dal terreno salire su per le sue gambe, bruciando la sua pelle.
I successivi passi, furono decisamente più sicuri; iniziò ad avanzare ad un andatura pressoché normale, seppur fosse disturbata dal fatto che la sabbia si muovesse sotto il suo peso, rendendo i movimenti più complicati.
I suoi occhi marroni percorsero lo spazio aperto davanti a sé, scrutando i grossi capannoni che avrebbe dovuto raggiungere; uno di questi, era molto più vicino di quanto le fosse sembrato. Inoltre, guardando ancora oltre, poté notare un dettaglio che la lasciò allibita: oltre quelle costruzioni, in lontananza, erano visibili le mura.
Ciò significava che quel posto... Si trovava all'interno! Quella in cui si trovava doveva essere una fetta di città nascosta agli occhi dei residenti; seppur si trovasse all'interno delle mura, era posizionata in modo da non essere vista, e celata da mura secondarie.
Etnia non smise di camminare, seppur i suoi capelli castani fossero già appiccicati alla fronte sudata, e la sua pelle arrossata. Ispirò una grande boccata d'aria calda nei polmoni, ed aumentò il passo; in lontananza, aveva iniziato ad udire delle voci, e rumori di ogni genere.
Fu forse per un colpo di fortuna che riuscì ad avvicinarsi al primo capannone senza essere vista da nessuno; ed una volta giunta laggiù, con estrema cautela, iniziò a girarci intorno.
Aveva due ingressi; uno grande, proprio davanti, ed uno secondario, posizionato sul lato sinistro. Davanti a quest'ultimo, vi erano alcune pile di mattoni e cataste di travi in legno, che furono utili alla ragazza per celare la sua presenza. Si mise chinata a terra, ed avvicinando la testa, tra un mattone e l'altro riuscì ad avere una visuale più o meno libera sull'ingresso.
C'era un uomo, proprio davanti al capannone. Un grande ombrello bianco teneva la sua testa al riparo dai raggi del sole, e vestiva con una camicia color crema parzialmente sbottonata sul petto; il suo sguardo era celato dietro alle lenti scure di un paio di occhiali da sole.
Dall'angolazione da cui Etnia guardava, le fu possibile scrutare persino una porzione dell'interno; oltre l'ingresso, riuscì a vedere pile di pezzi di metallo, tubi ed altri materiali provenienti dai cantieri. Su un grosso nastro trasportatore scorrevano i materiali destinati ad essere pressati e riutilizzati; a caricarli, erano addetti un gruppo di circa dieci uomini.
Etnia aguzzò la vista, trattenendo il fiato.
Calvi, pelle bianca.
Quelli... Erano Trivial?

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