5. Le ultime tracce della verità - pt.2

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Punto II del C.E.T.: Un Trivial non deve mai desiderare nulla fuorché l'accesso allo Halle.
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Etnia trattenne il fiato, mentre osservava in silenzio il volto del vecchio il quale ricambiava il suo sguardo con un ghigno indecifrabile. Aveva potuto percepire una grande rabbia, nel tono della sua voce; ciò che stava dicendo, era presumibilmente vero.
La ragazza scosse lievemente la testa, ed i suoi capelli castani accarezzarono le guance morbide. -Come sarebbe?- chiese. E quell'affermazione fu un modo come un'altro di incitare il vecchio a continuare il discorso.
-Schiavi- ripeté lui -Allora... Adesso sei disposta ad ascoltare come si deve?-.
La ragazza fece spallucce. -Beh, non so se crederti perché questa cosa mi sembra un pò esagerata... Ma ti ascolto-.
-Esagerata, eh?- fece lui, lasciandosi scappare una risatina.
Etina annuì con aria irritata. -Tutto alla Città Celeste è basato sull'armonia... Dovresti saperlo anche tu, no? Mi pare pressoché impossibile che quello che dici sia..-.
-Etnia- la interruppe il vecchio, spegnendo il sigaro contro al muro -Questo è quello che comunemente viene chiamato un "male necessario". Una verità orribile, che tuttavia risulta indispensabile per rendere bellissima un'altra verità-. Sospirò, e guardò la ragazza dritta negli occhi con sguardo severo: -Potremmo paragonare la Città Celeste al paradiso, ed il luogo di cui ti parlo è di certo più simile all'inferno-.
Lei restò in silenzio per in breve periodo di tempo, poi intrecciò le dita delle mani con aria pensierosa e disse: -Come faccio a sapere se stai dicendo la verità?-.
Il vecchio sorrise. -Sei piuttosto testarda, eh? Immagino che una come te abbia bisogno di vedere con i suoi occhi, per credere. E potrei anche portarti là sotto, perché conosco la via...-. Si interruppe; abbassò lo sguardo a terra e concluse: -Ma non voglio prendermi la responsabilità di far correre ad una ragazzina un tale rischio-.
-Là sotto?- ripeté lei -Dove?-.
-Ai confini delle mura, ed anche oltre. Ci sono pezzi di territorio davvero vasti, su cui sorgono le industrie e tutto il resto... Ma ripeto che non ti porterò in quel posto-.
Etnia scosse energicamente la testa, e strinse i pugni di entrambe le mani. -Voglio vedere- disse a gran voce -Dimostrami che stai dicendo la verità-.
Il vecchio agitò il dito indice in segno di disapprovazione. -Ti ho già detto che..-.
-Non sono una bambina!- lo interruppe lei -So badare a me stessa, non sarai responsabile per me... E poi... Non puoi pretendere che io mi accontenti di ascoltare una storiella di dubbia provenienza. Se ciò che dici è vero, portami laggiù e dimostralo-.
Il vecchio taque, ed il suo sguardo si perse nel vuoto. Non sembrava affatto convinto di volerlo fare, eppure le parole appena pronunciate da Etnia sembravano aver scalfito la sua durezza. Sembrò pensare per qualche manciata di secondi, poi sollevò la testa all'improvviso.
-Sei proprio sicura, di voler vedere? Dopo che l'avrai fatto, il tuo punto di vista nei riguardi della città, e della vita, potrebbe cambiare drasticamente...-.
La ragazza puntò il suo sguardo su di lui, e le sue labbra si piegarono in un sorriso. -Ma certo-.
Forse la sua fu solo incoscienza. Forse, a spingerla a dare quella risposta, fu la semplice curiosità di una diciannovenne che non aveva mai visto null'altro che lusso e bellezza, nella sua vita. Forse fu proprio quella parte più coraggiosa, quella vocina che le suggeriva di seguire il suo istinto, e cercare la verità.
E quando si incamminò nuovamente assieme a quel vecchio, Etnia non aveva idea che la sua vita fosse sul punto di cambiare per sempre.

..........

-Quanto manca?- domandò la ragazza, già esausta di camminare per le strade con il sole che le cuoceva la pelle. Una goccia di sudore stava già percorrendo la sua fronte.
-Poco, ma devi pazientare- rispose il vecchio, senza neanche voltarsi. Pochi metri dopo, si fermò improvvisamente ed indicò un grosso cancello di ferro, ancorato alle mura possenti di due palazzi. -Ecco uno degli ingressi- annunciò.
Etnia aumentò il passo e si avvicinò alle sbarre, osservando con occhi attenti ciò che riusciva a vedere oltre: una scala di piastre di sasso, rese liscie e curvate dall'usura, conduceva verso il basso. Il grande cancello che la separava da quest'ultima, però, aveva un aspetto fin troppo possente: le sbarre erano larghe e spesse, saldate tra loro; i due pilastri che lo sorreggevano erano saldamente ancorato alle mura poste ai lati, ed un chiavaccio enorme ne assicurava la chiusura. Pareva sostanzialmente impossibile danneggiarlo, se non usando una bomba.
-Sono venuta fin quì per vedere un cancello?- domandò la ragazza, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi in segno di arresa.
-Non essere stupida- la sgridò l'uomo, mettendo in mostra un sorriso davvero strano. Infilò una mano nella tasca dei pantaloni, e non appena Etnia udì un tintinnio capì che cosa stava facendo:
Chiavi.
Estrasse un mazzetto di chiavi, e ne inserì una nella grossa serratura di ferro. Un rumore metallico confermò l'apertura del grande cancello, le cui ante si spalancarono verso l'esterno.
-Dopo di te- esclamò ancora lui, lasciando passare la ragazza per prima, per poi richiudere con cura l'ingresso. Sembrò badare bene a non lasciare traccia: si assicurò di riposizionare tutto esattamente come l'aveva trovato.
Etina si passò una mano tra i capelli, osservandolo. -Come fai ad avere le chiavi?- chiese. Iniziava a pensare che forse si era cacciata in un guaio bello grosso: non è che quel tipo la stava conducendo, in realtà, in un altro posto?
-Questo non è importante- rispose lui -Procediamo-.
Lei annuì vagamente, ed iniziò a scendere la grande scala. Il vecchio avanzava per primo, come per aprire la strada; procedeva a passo sicuro, proprio come qualcuno che conosce bene il posto in cui si trova. Giunto infondo alla scala, si fermò e richiamò l'attenzione di Etnia, indicando con il dito indice un punto davanti a sé. -Vedi quell'arco laggiù?- disse.
La ragazza aguzzò lo sguardo; a circa cento metri di distanza, un grosso arco di pietra si affacciava sull'esterno. Oltre vi era uno spazio aperto, una distesa di sabbia ed erba secca su cui sorgevano diversi capannoni dall'aria imponente, i cui tetti luccicavano sotto ai raggi incessanti del sole.
-E così... È questo il posto?- farfugliò la ragazza, rallentando il passo.
Il vecchio annuì e le posò una mano sulla spalla. -Uno dei tanti...-. Anche il suo sguardo si allungò verso l'orizzonte, ed i suoi occhi divennero tristi e nostalgici, come stesse ricordando cose che avrebbe voluto dimenticare.
Etnia spostò lo sguardo su di lui. -Come ne riconosco uno, se lo vedo?-.
Lui ricambiò lo sguardo, aggrottando la fronte. Restò in silenzio per qualche secondo, poi scoppiò in una leggera risata soffocata. -Sei proprio ingenua. Non penso che avrai problemi a riconoscere un Trivial. E non ne vedrai di certo uno soltanto-.
La ragazza fece spallucce, e tornò a fissare i capannoni. Il calore che la sabbia emanava distorceva le immagini.
-Sono tutti uomini, dai tredici ai quarant'anni- disse il vecchio, che sembrava essere ugualmente disposto a spiegare. -I bambini li tengono da un'altra parte-.
-E quelli che hanno superato i quaranta?- chiese la ragazza.
Il vecchio scosse la testa. -Nessuno supera i quaranta, è già un miracolo se sopravvivono fino a trent'anni. Oltre alla mole di lavoro intollerabile a cui sono sottoposti, la maggior parte dei Trivial nascono già malati-. Si grattò il capo ed abbassò lo sguardo, continuando a parlare seppur la sua voce divenisse più triste ad ogni parola. -Vengono preparati al lavoro già da bambini. Li abituano alla fatica da subito, in modo che il loro corpo si rafforzi; vengono poi castrati e rasati, anche se nella maggior parte dei casi i capelli non crescerebbero comunque-.
-Castrati?- ripeté la ragazza, strabuzzando gli occhi. -Perché?-.
-Beh, capirai che questo evita molti problemi... Tra l'altro, pare sia un buon modo per rendere i loro caratteri più... Malleabili- rispose lui. -Altra cosa che li rende riconoscibili a colpo d'occhio è il pallore: nonostante siano esposti alla luce solare per molte ore al giorno, la loro pelle molto difficilmente si abbronza. Restano sempre pallidi, biancastri; tipicamente, hanno chiazze scure attorno agli occhi-.
Etnia taque, indecisa se restare in silenzio o porre ancora domande. Tutta quella storia era talmente assurda, per lei, che la lasciava disarmata. Non sapeva neanche cosa avrebbe dovuto provare. Curiosità, o paura?
-Ma il dettaglio più comune- concluse il vecchio -Sono le labbra. Le labbra di un Trivial sono comunemente colme di tagli e cicatrici; conseguenze dei prodotti che vi vengono spruzzati sopra, per nutrirli-. Si interruppe per schiarirsi la gola con un colpo di tosse. -Non so dire di preciso da quali sostanze siano composti, ma so per certo che a lungo andare danneggiano la pelle-.
Qualche attimo di silenzio separò la frase da quella successiva.
-Questi sono i dettagli fisici che li accomunano tutti...-.

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