14. La quiete dopo la tempesta

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La sera si era pigramente avvicinata, ed Etnia iniziava a sentirsi nervosa. C'era un proiettile nella sua carne, e Ed l'avrebbe rimosso con l'ausilio di una pinza di ferro che stava reggendo tra le mani proprio adesso.
Si chiedeva quanto dolore avrebbe sentito, ma non potendo dare risposta al suo quesito doveva limitarsi a mantenere il controllo e pensare positivo.
-Metti questo in bocca- le disse il vecchio, porgendole un pezzo di stoffa strappato da chissà dove. Lei afferrò l'oggetto con una mano, e lo osservò con aria confusa. Oltre al fatto che non capiva a cosa sarebbe servito, le faceva anche piuttosto schifo l'idea di doverlo mettere in bocca... Non sembrava particolarmente pulito.
-Quando sentirai dolore avrai l'impulso di stringere forte i denti- disse ancora Ed, mettendo luce sui suoi dubbi.
La ragazza non poté che annuire, e fare ciò che le aveva detto. Decise che per una volta avrebbe dovuto dare ascolto a quel vecchio che di certo sapeva molte più cose di lei.
Mise la pezza in bocca e tornò a sprofondare la testa sul bracciolo morbido del divano; allungando lo sguardo avanti, notò che Nux non era più nella stanza. Le sembrò una cosa strana.
Stava per chiedere dove fosse finito, ma una fitta di dolore la mise a tacere.
-Cerca di stare ferma- le disse Ed, -Farò presto-.
Infilò la pinza nella ferita senza neanche darle il tempo di riprendersi, ed afferrò il proiettile al suo interno senza difficoltà, dimostrandosi piuttosto abile nel fare cose di quel genere. Etnia non si chiese il perché, occupata com'era a sopportare il dolore. I suoi lamenti risultavano silenziati dalla stoffa che teneva in bocca, che allo stesso tempo stringeva tra i denti.
-Ho fatto- annunciò poi l'uomo, con aria soddisfatta. Prese una fascia e la avvolse con cura attorno alla ferita, facendola passare con un pò di fatica dietro alla sua schiena. La strinse bene, poi tagliò l'estremità rimasta nelle sue mani.
Etnia aprì gli occhi lentamente, trattenendo il fiato. Sentì il dolore affievolirsi pian piano, fino a raggiungere una soglia bassa e stabile. Alzò la testa ed estrasse la pezza dalla sua bocca, lasciandola poi cadere a terra. Ed reggeva ancora in mano le pinze, tra le quali era tenuto stretto il proiettile appena estratto.
-È un proiettile comune, niente di speciale- affermò l'uomo -Non appena la ferita si sarà richiusa, tornerai come nuova-.
Lei annuì vagamente, e tornò a distendersi. Si sentiva esausta, non tanto fisicamente quanto psicologicamente. Quel giorno era stato il più intenso e strano di tutta la sua vita; aveva visto cose e provato sensazioni di cui ignorava completamente l'esistenza; aveva percepito sulla sua pelle il significato del dolore, della stanchezza, della paura.
Tutte cose che mai prima d'ora aveva conosciuto.
Le sue palpebre si calarono da sole, progressivamente, finché non cadde in un piacevole buio. Ed uscì dalla stanza, spense la luce e chiuse piano la porta, lasciandola sola.
Si addormentò in fretta, spossata com'era.
Il pacifico silenzio che riempiva quella piccola stanza era interrotto solo dal debolissimo suono del suo respiro, che si faceva sempre più lento e profondo.

................

Il risveglio della ragazza fu causato da un suono, proveniente dalla stanza accanto. Aprì gli occhi e dovette guardarsi intorno un paio di volte, prima di ricordarsi dove si trovasse.
Etnia sollevò istintivamente la schiena in modo brusco, causandosi una fitta di dolore che si propagò lungo la sua spina dorsale. Emise un gemito soffocato e continuò ad issarsi, finché non si ritrovò seduta.
La stanza era ancora deserta, ed era illuminata della luce chiara del primo mattino. La ragazza voltò lo sguardo in direzione della piccola finestra posta sul muro alla sua sinistra, e poté vedere il cielo azzurro. Si stupì del fatto che avesse dormito, in modo ininterrotto, per tutta quanta la notte!
Puntò i palmi sui braccioli del divano e si alzò in piedi, emettendo un altro gemito. Dapprima la sua testa tornò a girare, ma ancorandosi al muro recuperò l'equilibrio.
Avanzò il primo passo, piuttosto barcollante, che fu seguito da altri decisamente più sicuri. Raggiunse la porta e la aprì senza esitazione, mentre il suo sguardo si allungava lungo il corridoio.
Si stropicciò gli occhi e riprese a camminare, raggiungendo la stanza più vicina. Nonostante avesse ormai recuperato tutto il suo equilibrio, proseguì il cammino sfiorando il muro con la mano sinistra, poi si fermò sulla soglia della porta aperta.
All'interno, una piccola camera da letto ove albergavano un piccolo comodino ed un armadio. C'era Ed, seduto sul letto con lo sguardo basso; reggeva un fucile posato sulle sue gambe, e sembrava lucidarlo con un pezzo di stoffa umida.
-Che.. Che stai facendo?- balbettò la ragazza.
Lui si voltò, per nulla sorpreso, e le mostrò un sorriso. -Nulla di cui tu debba preoccuparti- rispose.
Etnia lo guardò in silenzio, senza sapere che cosa avrebbe dovuto rispondere. Si chiedeva dove avesse recuperato quel fucile, e soprattutto perché mai lo tenesse con sé. Nella Città Celeste le armi erano assolutamente vietate; nessuno poteva possederne una.
Non gli pose quelle domande, tuttavia. Si limitò ad annuire, e continuare ad osservarlo. Stava pulendo la canna con grande attenzione e cura, come reggesse tra le braccia un figlio. Non era certo difficile capire che quel fucile doveva rappresentare qualcosa di molto importante per lui; forse lo aveva ereditato dai suoi genitori, o dai suoi nonni.
-Ma... Dov'è Nux?- gli chiese poi, guardandosi intorno.
Il vecchio sollevò lo sguardo. -Il ragazzo? Dev'essere fuori- rispose.
Lei annuì vagamente, e con aria pensierosa si incamminò nuovamente nel corridoio fino a raggiungere la porta d'ingresso. Non sapeva dirsi il perché, ma si sentiva piuttosto preoccupata. Non lo vedeva da molte ore, e si chiedeva se stesse bene.
Aprì la porta, e subito i raggi del sole raggiunsero il suo viso costringendola a sbattere più volte le palpebre. Avanzò un passo oltre la soglia, e si guardò intorno soffermandosi qualche istante sui palazzi della sua amata città, visibili all'orizzonte. Non vedendo da nessuna parte la figura di Nux, tuttavia, aggrottò lo sguardo e riprese a camminare, dirigendosi sul retro della piccola casa. Non appena girò l'angolo, notificò la sua presenza.
Era seduto su un muretto, in una zona in cui era proiettata l'ombra delle grandi mura, e teneva le braccia intrecciate e lo sguardo basso. Il suo torso era adesso coperto da una vecchia giacchina marrone, che probabilmente gli era stata procurata da Ed; ed anche i pantaloni che indossava era differenti da quelli che lei ricordava. La sua pelle, adesso, aveva un aspetto pulito.
Si avvicinò al Trivial in silenzio, e notò che, nonostante avesse notato la sua presenza, non accennava a muovere un solo muscolo. Giunta dinnanzi a lui, si mise a sedere lì accanto con un movimento piuttosto goffo.
-Hei..- farfugliò, puntando lo sguardo a terra, nello stesso punto in cui lo puntava lui. Realizzò soltanto adesso che non stava guardando il vuoto: al contrario, stava fissando una piccola coccinella che camminava sulla terra arida; un esserino rosso e nero, dalle dimensioni incredibilmente piccole.
-Tutto bene?- disse la ragazza, ancora in attesa di una risposta.
Il ragazzo annuì vagamente, senza mai staccare gli occhi dalla coccinella. Restarono poi entrambi in silenzio, ognuno preso dai suoi pensieri, per un tempo indefinito.
-Non è servito a niente- disse finalmente Nux, rompendo quel silenzio fastidioso con la sua voce vagamente roca.
Etnia voltò lo sguardo verso di lui. -Che cosa?- chiese.
-Tutto- rispose lui. La coccinella nel frattempo era salita su di un ramoscello secco. -Ho lottato tutto il tempo per ottenere l'accesso... Mancava così poco... Lui mi avrebbe accompagnato alle porte dello Halle..-. La sua voce si faceva più triste ad ogni parola, ed il suo sguardo sembrava spegnersi.
Etnia ebbe l'impulso di posare una mano sulla sua spalla, nel tentativo di consolarlo seppur in modo fin troppo timido. -Forse non è tutto finito- disse. In realtà avrebbe voluto fargli notare quanto fossero stupide e assurde le cose che stava dicendo, ma non ne trovò il coraggio. -Magari non è proprio com..-.
-Ho aggredito un mio superiore- la interruppe lui -Non c'è crimine peggiore per un Trivial... Avrebbero dovuto uccidermi, per questo...-. Emise un sospiro tremante, e finalmente il suo sguardo si sollevò. -Non potrò mai più andare nello Halle...-.

Trivial Where stories live. Discover now