17. La mia casa, la mia famiglia

97 21 9
                                    

Punto VIII del C.E.T.: L'accesso allo Halle sarà garantito a tutti coloro che abbiano compiuto il proprio dovere in vita.
____________

Nux restò impassibile, come se non gli importasse affatto di ciò che Ed era o fosse stato in passato. Fece spallucce e distolse lo sguardo, voltandosi invece verso Etnia. Lei ricambiò guardandolo a sua volta, ed istintivamente piegò le labbra in un lieve sorriso, preoccupata del fatto che lui stesse in realtà nascondendo un qualche malessere.
Perché sì, non poteva non aver provato nulla udendo quelle parole.
Il fatto di avere davanti a sé uno degli artefici di tutto il dolore che aveva patito non poteva lasciarlo del tutto impossibile e disinteressato.
-Etnia- disse ancora Ed, con aria preoccupata -Per il tuo bene dovresti tornare a casa, e restarci almeno per un paio di giorni. Dubito che verranno a cercarti, ma non si sà mai-.
La ragazza annuì. -Sì... Immagino che i miei genitori siano piuttosto preoccupati...-. Indicò poi Nux con un cenno della mano: -E lui?-.
-Non puoi portarlo con te, scordatelo- rispose freddo il vecchio -Se qualcuno dovesse vederlo... Sarebbero guai seri. Lui non può restare nella città-.
Il Trivial emise un sospiro. -So badare a me stesso... Troverò un posto-.
Ed annuì. -Posso tenerti quì fino a domani, poi dovrai andartene. Ripeto: dubito vi stiano cercando, ma non è un'ipotesi da escludere.... Quando io vi ho aperto il cancello, vi stavano seguendo. Potrebbero aver visto da dove siete usciti, e questo restringerebbe il loro campo di ricerca, quindi... Non oltre domani. Domani dovrai andartene-.
Etnia si alzò in piedi -Non mi piace- disse -Sembra rischioso. Dove mai potrà andare da solo? Io... Potrei trovare un posto dove nasconderlo-.
-È un suicidio- rispose Ed -Nascondere un Trivial nella Città Celeste?-.
La ragazza lanciò a Nux uno sguardo preoccupato. -Ma lo sarà anche per lui...-. Fece un giro su sé stessa, portandosi una mano al mento con fare pensieroso; poi si fermò, e volse lo sguardo al vecchio.
-Adesso vado a casa, torno dalla mia famiglia. Domani... Domani però tornerò quì, e troveremo una sistemazione per Nux. Okay? Io... Non intendo lascialo al suo destino. Se rischia lui, rischierò anch'io-.

...............

La strada verso casa era così piacevolmente familiare, che Etnia si ritrovò a camminare saltellando per la gioia. Le sembrava essere passato un secolo dall'ultima volta in cui aveva calpestato quelle piastre di cemento, che aveva guardato le vetrine dei negozi, che aveva sentito il profumo dei fiori sulle terrazze. 
Teneva la mano destra premuta sulla pancia, ad affievolire il dolore che provava nel compiere quei movimenti, seppur il suo volto fosse decorato da un caldo sorriso.
Mamma e papà le mancavano da morire, così come il suo dolce fratellino Timber. Immaginava il suo arrivo a casa, il caloroso abbraccio in cui sarebbe stata avvolta da ognuno di loro, e sentiva una nuova energia nascere dentro di sé.
Accelerò il passo; era ormai vicina all'incrocio ove avrebbe imboccato la strada di casa. I suoi occhi si soffermarono sulle insegne colorate dei negozi, sulla frutta fresca che il fruttivendolo esponeva sulla via, sul profumo di pelle che fuoriusciva dalla porta del calzolaio. Scrutò i visi puliti e felici di tutti i passanti, ammirò per la prima volta con stupore la perfezione della sua città.
E ciò che provò, fu un velato disgusto.
Adesso, sapeva. Sapeva che cosa si nascondeva dietro a tutto quel lusso, sapeva che cosa significasse stare dall'altra parte. Aveva provato la disperazione, la stanchezza, il dolore dei graffi sulla pelle. Sapeva che cosa significasse avere paura.
Ormai conscia di tutto questo, alla vista della Città Celeste, questa non poté che sembrarle maledettamente finta; come fosse un quadro meraviglioso appeso ad una parete malconcia e cadente.
Etnia raggiunse finalmente la sua casa. Vi si fermò davanti per qualche istante, ammirandola come se fosse una gemma preziosa; poi iniziò a salire le scale che conducevano alla porta d'ingresso, mentre un sorriso si allargava sulle sue labbra fini.
Finalmente era tornata dalla sua famiglia. Quante volte si era domandata se sarebbe sopravvissuta abbastanza da tornare?
Premette la maniglia e spinse energicamente la porta, poi fece un passo oltre la soglia. 
-Mamma? Papà?-.
Il corridoio era buio. E la casa era stranamente silenziosa.
Etnia riprese a camminare a passo lento, dirigendosi verso il salotto. Anche qui trovò le luci spente, e la stanza deserta. Una brutta sensazione iniziò farsi strada nella sua mente, mentre con aria nervosa si mise a perlustrare anche le altre stanze.
Non vi era alcun segno che indicasse avvenimenti spiacevoli; ogni cosa era al suo posto. Dunque, perché a casa non c'era nessuno?
"Forse... Stanno cercando me" pensò la ragazza tra sé e sé, mentre si dirigeva nella cucina. Premette l'interruttore contro al muro ed accese la luce, inondandone la stanza. Le era sembrato di percepire un lieve rumore, provenire da qualche parte.
Senza una ragione precisa aprì il frigo, e lo trovò come sempre pieno. Bevve rapidamente una sorsata di succo di frutta, direttamente dal cartone, poi lo ripose e chiuse lo sportello.
Ancora un piccolo rumore.
-Mamma? C'è qualcuno a casa?- gridò. Non si aspettava certo di vedere aprirsi un'anta del mobile sotto al lavello, come fosse stata spinta dall'interno. La ragazza spalancò gli occhi; nascosto lì dentro, c'era Timber!
Il bambino la guardò tremante; aveva gli occhi umidi, carichi di paura, con le pupille dilatate. I capelli sulla sua testa erano spettinati, il suo corpo scosso da tremiti.
-Ma che ci fai lì sotto!?- domandò Etnia, mettendosi in ginocchio davanti all'anta aperta. -Dai, vieni fuori-.
Il bambino tuttavia non accennò a muoversi. -Sei... Sei proprio tu?-.
La ragazza allargò un sorriso ed annuì. -Sono io. Dove.. Dove sono finiti mamma e papà?-.
A quella domanda, il bambino reagì nascondendo la faccia con le mani, e scoppiando in un pianto incontrollato. Piangeva, e più piangeva più si spingeva contro il fondo del mobile, come volesse nascondersi, scappare.
-Timber- esordì la sorella allarmata -È successo qualcosa?-. Allungò una mano e riuscì a fare una carezza sulla sua testa. -Non piangere... Ti prego, parlami-.
Il bambino emise un sospiro tremante, e sollevò a fatica lo sguardo. Il suo volto era rosso, rigato dalle lacrime. -Sono venute quelle persone... Li hanno ammazzati- farfugliò, prima di scoppiare in un'altra violenta crisi di pianto.
La ragazza, invece, rimase immobile con lo sguardo fisso sul fratello minore ed il fiato mozzato. Ebbe l'impressione di cadere lentamente nel vuoto, perdendo ogni equilibrio, ogni connessione con il mondo reale.
Mamma e papà erano... Morti?
Scosse la testa, e cercò di recuperare la lucidità. -Timber... Ma che stai dicendo?- disse, con voce tremante.
Il bambino tirò sù col naso e rispose a stento. -Cercavano te... Li hanno uccisi, c'era sangue ovunque e...-. Si interruppe per inspirare aria nei polmoni. -Io mi sono nascosto... Non sono più uscito. Torneranno, uccideranno anche me...-.
La situazione era la peggiore che si sarebbe potuta verificare.
Etnia reagì d'impulso: afferrò un lembo della maglietta di Timber e lo trascinò fuori, in modo piuttosto violento.  -Dobbiamo andare via... Subito!-.
Finalmente si rendeva conto della gravità della situazione. E seppur il dolore che generava tutto ciò le stava bruciando nel petto, sapeva che se fosse voluta sopravvivere doveva in primis mantenere il controllo e agire con coscienza.
Doveva scappare. Portare in salvo sé stessa ed il proprio fratellino; soltanto allora, avrebbe avuto tempo di piangere e fare luce su tutto ciò che era accaduto. 
Prese Timber in braccio ignorando del tutto i suoi lamenti, e si diresse a passo svelto verso la porta d'uscita. Percorrendo quel corridoio buio, tuttavia, la sua mente fu invasa da una miriade di ricordi che resero le sue gambe molli.
Rallentò il passo, ormai giunta dinnanzi alla porta. In quel posto era nata, in quel posto era cresciuta; quella era la sua casa, il luogo in cui ogni suo ricordo prendeva vita. I suoi genitori... Non potevano essere morti. Non riuscì a capacitarsene, non riuscì ad accettare una verità tanto cruda quanto ingiusta. Il suo respiro si fece pesante, la sua vista appannata; probabilmente sarebbe svenuta, se Timber non avesse iniziato a tirarla con forza verso di sé.
-Andiamo via!- gridava -Andiamo via da quì!-.
La ragazza riuscì a recuperare il controllo necessario ad aprire la porta, afferrare la mano del proprio fratello e mettersi a correre; e non si preoccupò del fatto che, in quel modo, aveva attirato l'attenzione di chiunque si trovasse nei paraggi.
Corse più veloce che poté, nel mezzo del via vai di passanti che affollavano la strada, tornando sui suoi passi.
Non subito si accorse, di essere seguita dalle guardie. 

Trivial Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon