4. Stuzzicarti.

168 15 2
                                    

«Io vado a mangiare qualcosa», la avvisò Ron. «Vieni con me?».

«Sì, tra un minuto», le rispose Hermione.

Ron annuì e, raccogliendo il suo mantello dallo schienale della sedia si avviò fuori dall'infermeria. Hermione si alzò a sua volta, afferrando il suo mantello e gettandoselo sulle spalle. Afferrò la borsa ai piedi del letto e guardò Harry. La pozione lo aveva fatto addormentare, ma di tanto in tanto grugniva di dolore. Poverino, doveva farsi ricrescere tutte le ossa in una sola notte. Hermione non riusciva nemmeno ad immaginare quanto dolore stesse provando il suo amico in quel momento ma, egoisticamente parlando, non voleva sapere di preciso quanto dolore facesse. Il solo pensiero le faceva venire i brividi.

Al solo ricordo di come gli si era piegato il braccio quel pomeriggio, come se fosse fatto di gomma anziché di carne e sangue e tessuti, le veniva da ridere. Il loro nuovo professore di Difesa contro le Arti Oscure era un vero idiota. La ragazza per l'ennesima volta in quella giornata si chiese cos'avesse mai pensato il professore Silente quando aveva deciso di assumere Gilderoy Allock come nuovo insegnante per una materia tanto delicata e pericolosa.

Certo i suoi libri avevano fatto storia, e il suo sorriso faceva sciogliere centinaia di ragazza. Hermione stessa, che in una persona vedeva l'aspetto fisico solo in secondo piano, non poteva negare a se stessa un sospiro quando gli occhi caldi e grandi del mago si posavano su di lei. era così bello... ma anche così stupido. Hermione sperò che l'anno seguente non sarebbe stato ripreso Allock come professore, oppure tutta la classe – se non tutta la scuola – non sarebbe stata capace nemmeno di difendersi da un Pixie alla fine dei sette anni di studio.

Con un ultimo sguardo, Hermione diede le spalle ad Harry e si avviò verso l'uscita dell'infermeria in fondo alla stanza. Ormai era quasi ora di chiusura e non c'era più nessun ragazzo per visitare Harry, il ragazzo si Tassorosso – Hermione non aveva idea di chi fosse, e nemmeno conosceva il suo nome – o Draco. Per tutto il tempo che aveva passato insieme a Ron accanto al letto del loro migliore amico, Hermione aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per ignorare la presenza del ragazzo qualche brandina più indietro, nonostante i suoi continui lamenti e i sospiri delle ragazze Serpeverde che lo avevano visitato, chiedendogli con tono preoccupato e l'ansia negli occhi come stesse e se gli faceva tanto male.

Ad Hermione era venuta voglia di vomitare, ma era rimasta in silenzio accanto alla brandina di Harry senza dire una parola o emettere un verso.

Draco era ancora sveglio. Lanciandogli un'occhiata veloce mentre si allontanava da Harry, Hermione vide i suoi occhi aperti, e mentre attraversava la stanza poteva sentire su di lei il suo sguardo, come se fosse qualcosa di fisico, terreno, tangibile. Scacciò quella strana sensazione di caldo e freddo allo stesso tempo che negli ultimi giorni l'assaliva ogni qualvolta sentiva il suo sguardo sulle sue spalle, e, tenendo la testa bassa per non incrociare i suoi occhi con quelli del ragazzo, puntò dritto verso la porta dell'infermeria, sperando di riuscire a superarlo senza che le rivolgesse la parola.

Ma Draco Malfoy non voleva proprio lasciarla in pace.

«Come sta San Potter?», le domandò con tono sprezzante.

Hermione non lo guardò. «Chiediglielo tu stesso quando si sveglia. Siete nella stessa stanza, no?», le rispose a tono lei.

Draco soffiò tra i denti come se fosse uno stupido gatto con i pelli incrostati di gelati come i suoi capelli. «Non rivolgerei mai la parola a Potter».

«Magari dovresti prendere questa filosofia anche verso di me».

«Non penso», rispose lui. «Mi diverto un sacco ad innervosirti».

Hermione alzò gli occhi al celo. «Allora attento che qualche giorno non ti mandi una fattura, facendoti svegliare con tre occhi e una gamba, stupido idiota». Di solito non era così violenta con le persone, nemmeno con coloro che la prendevano in giro nei corridoi, gli stessi bulli che si atteggiavano che facevano parte della stessa casa di Draco, ma lui riusciva a tirare fuori una parte di lei che ogni volta si sorprendeva di possedere.

«Uh-uh!», esclamò lui con finta ammirazione. «La Granger sta cacciando gli artigli!».

Hermione scosse la testa con sguardo eloquente e senza aggiungere nulla tornò ad incamminarsi verso l'uscita.

«Che stupido San Potter a cadere dalla scopa in quel modo». Draco Malfoy, per qualche strana ragione, era riuscito ad imparare tutti i punti deboli di Hermione. Sapeva che non sarebbe riuscita a lasciar perdere quando venivano insultati i suoi amici, specialmente quando non erano presenti o quando non potevano difendersi. «Persino mio nonno sarebbe capace di cavalcare meglio uno scopa vecchia e malandata come la sua».

«Parla colui che si è fatto quasi castrare con la sua stessa scopa. Se non sbaglio», Hermione assunse un finto tono pensieroso, voltandosi verso di lui, «anche tu sei caduto dalla scopa, non è così? E non hai nemmeno preso il boccino».

Hermione vide la rabbia montare dentro di lui, attraverso i suoi occhi. «È stato Potter a spingermi giù. Tutti quanti l'hanno visto».

Hermione ignorò la sua risposta. «Dev'essere stato davvero un brutto colpo, sia per te che per tuo padre che ti guardava tra le tribune, seduto proprio di fianco al preside. Sperava di vederti prendere il boccino? Non deve essere mai venuto agli allenamenti per guardarti, allora. E per te? Per Merlino, riesco solo ad immaginare la vergogna che hai provato quando eri steso lì a terra con tutta la scuola, l'intera scuola che rideva di te. Non proprio un spettacolo degno di un Malfoy, non credi? Tuo padre cosa ne pensa? Ti ha già detto la sua? hai già preso ordini?».

«Io non prendo ordini da mio padre. Faccio come mi pare».

«Ma davvero?», le domandò lei con tono scettico, lo sguardo eloquente. Senza aggiungere altro, tornò a dargli le spalle.

«Non è nemmeno riuscito a difendersi da quel bolide da solo», le gridò dietro.

Hermione fece un respiro profondo. «Era senza bacchetta. Non avrebbe potuto».

«Già, perché non sapeva come farlo». Hermione doveva riconoscergli che quello di quel momento, era uno dei ghigni più cattivi che gli aveva mai visto fare, non che fosse un pregio, certo, ma bisognava riconoscere se una leone sapeva uccidere una gazzella al primo colpo.

«Aveva un braccio spezzato».

«Uno solo, non due».

Hermione perse la pazienza. «Cosa stai cercando di fare? Aizzarmi contro di te in modo che ti attacchi e mi metta nei guai? Pensi che non sia capace di controllarmi? O pensi il contrario, e credi che non sia abbastanza brava nell'attaccare».

Lui si strinse nelle spalle. «Volevo solo stuzzicarti. Mi diverto così, e qui non c'è molto da fare».

«Potresti continuare a sperare nella mia morte e quella di tutte le persone con il mio stesso sangue. È un pensiero abbastanza gratificante per te, questo?». Ricordava ancora troppo bene il tono di voce, gli occhi che luccicavano e il ghigno sulle sue labbra quando quella sera avevano scoperto il gatto di Gazza pietrificato e la scritta sul muro. Non credeva che se ne sarebbe mai riuscita a liberare per tutta la sua vita. Non era riuscita a credere che Draco fosse cambiato in modo così radicale, da sperare nella sua morte. Certo, la sua non era stato proprio una minaccia del genere, ma aveva fatto male lo stesso. Molto male.

Draco la guardò con una strana luce negli occhi, le sopracciglia leggermente aggrottate come se si stesse rifiutando di credere alle parole della ragazza, alle parole che lui stesso le aveva detto quella sera di qualche settimana fa. Se ne stava pentendo? Hermione non ne era certa, e non voleva restarci troppo sopra a rimuginare. Si limitò a sperare che fosse così, che non fosse diventato una persona così cattiva.

Stringendosi il mantello sulle spalle, Hermione se ne andò.

Scordati di meWhere stories live. Discover now