6. Distrarsi.

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«Allora», si presentò la ragazza, zaino in spalle e libri tra le braccia, cercando di simulare al meglio il ghigno di Draco, «cosa si prova ad essere un furetto?».

Il ragazzo sbuffò, ma Hermione, nonostante la testa chinata di lui, lo vide sorridere.

Ci aveva messo un bel po' a trovarlo. Non appena aveva sentito di ciò che era accaduto in cortile, si era fiondata fuori dalla Biblioteca dove si era recata alla ricerca di un po' di tranquillità per studiare – con quattro scuole tutte raggruppate in un solo castello, trovare un po' di pace poteva essere difficile. Prima di trovarlo, aveva già perlustrato tre cortili della scuola, senza alcuna traccia di lui. Alla fine, quando pensava di lasciar perdere intuendo che il ragazzo era scappato della sua Sala Comune, lo aveva visto seduto da solo su una panchina in un angolo, un albero di fronte a lui a fargli da scudo dagli sguardi e dalle risate degli altri studenti.

All'inizio Hermione pensava di lasciar perdere comunque: per un ragazzo come lui, introverso e attento alla sua immagine, poteva essere un duro colpo restare vittima delle sue stesse armi. Hermione quasi non riusciva a credere che lo stesse pensando davvero: fino a tre anni fa, avrebbe volentieri preso un brutto voto in Trasfigurazione per poterlo vedere in quello stato, deriso e umiliato come lui l'aveva fatta sentire così tante volte, ma adesso gli sembrava tutto così strano, come se avesse cambiato prospettiva, come se quello che avevano provato loro li avesse spostati in un angolazione differente, mai usata prima.

Di nuovo, la ragazza si sentì come uno spettatore che guardava il mondo dall'esterno, la loro storia dall'esterno, ma poi con quell'immagine venne anche tutto ciò che significava per lei, per loro, e allora la scacciò via come si fa con una mosca.

Si sedette di fianco al ragazzo. Non aggiunse parole, non ancora certa se fosse d'accordo con l'averla lì o meno.

Lui rimase in silenzio per un bel po', e proprio quando la ragazza stava per lasciar perdere e dire qualcosa per provare a tirarlo su, lui si voltò verso di lei, un sorriso malinconico sulle labbra , e disse: «Per tutto questo tempo, non avevo capito quanto fossi forte». Ed Hermione capì dai suoi occhi, che era sincero.

Lei cercò, per qualche strana ragione sconosciuta anche a lei stessa, di non fargli capire quanto quelle parole fossero importanti per lei. «Non così tanto. È solo che ormai c'ho fatto l'abitudine», gli disse stringendosi sulle spalle.

Un sorriso malinconico si fece spazio sulle sue labbra. «Stai tentando di farmi sentire in colpa?».

«Sai, Draco», iniziò lei lasciando andare un sospiro, «non devi per forza leggere tra le righe ogni cosa che dico. Magari volevo solo intendere quello che ho detto. Ti stupiresti nel sapere quante persone fanno così».

«Forse», rispose solamente lui.

«Andiamo», lo spronò lei, «non è così tremendo come immagini. Domani se lo saranno dimenticato già tutti».

«Mi sento così stupido a farne una questione di stato», sbuffò il ragazzo nascondendosi il volto tra le mani, le spalle curvate su se stesso.

Anche per Hermione stava leggermente esagerando, però era Draco Malfoy. Un ragazzo abituato ad essere... beh, ad essere lui e basta, non doveva prendere proprio bene un'umiliazione pubblica di quel genere. Da una parte però la ragazza ne era quasi contenta: magari tutto ciò lo avrebbe aiutato ad aprire un po' di più gli occhi su quello che usualmente faceva nei corridoio della scuola, su quanto risultasse odioso nel deridere sempre tutti, insultare e disprezzare i mezzosangue.

«Allora non farne una. Distraiti», le consigliò lei.

Draco fece prima un respiro profondo, Hermione vide le sue spalle alzarsi e abbassarsi pesantemente. Magari stava calcolando le parole di lei, decidendo se darle ascolto o meno. «Come?», la voce della ragazzo debole e quasi nasale per via delle mani che ancora gli coprivano il volto.

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