1. Gabbia.

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Un altro anno ad Hogwarts; un altro anno ad imparare qualche cosa in più su quel mondo.

Hermione era appena arrivata a scuola, e aveva già disfatto le valigie, sistemandole nel proprio dormitorio. Harry e Ron, come al solito, era ancora nella torre dei Grifondoro per disfare le loro di valigie. Hermione aveva provato ad aspettarli, ma proprio come l'anno prima, non era riuscita a resistere alla tentazione di rivedere la sala Grande, con il suo enorme camino, le candele che fluttuavano a mezz'aria, i quattro lunghi e resistenti tavoli, il piano rialzato dove sedevano i professori e lo scranno del Preside.

Entrando, un profondo sollievo simile a quello che si prova quando torni a casa dopo un viaggio durato anno la investì, e lei lo accolse a braccia aperte. I piatti sui tavoli erano vuoti, pronti ad essere riempiti con la deliziosa cena che gli elfi delle cucine stavano preparando, servendola subito dopo il discorso di benvenuto del professor Silente. Come al solito, non solo Harry e Ron erano in ritardo: l'intera sala era quasi vuota, fatta eccezione per una ventina di ragazzi seduta ai loro tavoli. Hermione si sedette al tavolo dei Grifondoro, insieme ad altri cinque ragazzi alla parte infondo del tavolo, guardandosi intorno e aspettando i suoi migliori amici.

Draco la raggiunse pochi istanti dopo, mentre lei si stava versando un bicchiere d'acqua.

«Proprio un Grifondoro il tuo amico, eh?».

Quel tono di voce da superiorità era così radicato nella mente della ragazza, affiancandolo sempre al volto di quel ragazzo, che ormai non riusciva più a ricordare come fosse la sua voce al primo anno, quando era un semplice ragazzo, nuovo anche lui come tutti gli altri ragazzi a quel nuovo e affascinante mondo che era Hogwarts. Questo prima che diventasse un insopportabile saputello che si vantava di continuo della sua famiglia e del suo sangue, facendo sentire nonostante tutto quelli come Hermione, Harry ed altri con il sangue sporco delle nullità.

«Di cosa stai parlando?», le domandò lei incuriosita.

«San Potter».

«E... ?», lo incitò lei.

«È vero che è svenuto come una femminuccia nel treno di fronte ai Dissennatori?», spiegò lui, incrociando le braccia al petto. Come sempre, era tutto in ordine: il mantello stirato e senza una traccia di polvere – nonostante la scuola ne fosse infestata a volte –, la cravatta legata per bene al collo della camicia bianco puro che andava ad infilarsi sotto il maglioncino grigio scuro.

«È inutile che te ne prendi gioco, Malfoy», rispose lei. «Tu avresti fatto anche peggio al posto suo».

«Invece no», esclamò lui indignato.

«Sai evocare un Patronus?».

Il ragazzo ghignò. «Non ne avrei avuto bisogno».

«Ah, certo. Ora capisco», annuì la ragazza prendendo un altro sorso d'acqua dal calice che stringeva in mano. «Non ne avrei avuto bisogno perché non ti avrebbero attaccato, ovviamente. Sei un guscio così vuoto e freddo che i Dissennatori non avrebbero avuto di che mangiare con te».

Draco strinse le labbra in una linea dura e pallida, arrabbiandosi. «Con te invece che avrebbero trovato, mezzosangue?».

Hermione agitò la mano verso di lui in maniera annoiata, scacciandolo, e voltando la testa dall'altra parte, opposto a lui. «Sì, certo, quello che vuoi Malfoy. Ormai non mi toccano più i tuoi insulti», aggiunse con un sospiro.

Per diversi secondi il ragazzo non rispose, a tal punto che la ragazza iniziò a pensare che se ne fosse andato. Ma no, era ancora lì, impalato di fianco a lei. Sentiva sulle sua nuca, come se fosse un vero e proprio ago, il suo sguardo. Non serviva alzare la testa per rendersi conto che quegli occhi grigi e profondi stavano guardando lei con intensità, giudicandola, prendendola in giro come ormai la ragazza si era abituata.

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