5. Odiare.

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Le nuvole erano di un grigio tempesta, il vento soffiava velocissimo e l'aria era così fredda che sembrava di avere centinaia di piccoli spilli di ghiaccio congelati nella pelle. Hermione si tirò la sciarpa a coprirgli il naso e la bocca e si sollevò il cappuccio del mantello, scostandosi i capelli dal volto, che il vento continuava a scompigliargli. "Speriamo che nessuno si faccia male oggi", pensò la ragazza mentre si avviva al campo di Quidditch combattendo contro il vento che minacciava di fargli perdere l'equilibrio e scivolare via dalla collina ogni volta che gli soffiava contro.

Ron e gli altri ragazzi si erano avviati prima quella mattina, mentre Hermione si era trattenuta un po' di più in Sala Grande. Ai ragazzi aveva detto che aveva un compito da finire prima, roba di pochi minuti. In realtà non voleva congelarsi ad aspettare sugli spalti. Preferiva avviarsi con ritardo e assistere alla partita appena iniziata e poi scappare di nuovo di corsa nel castello, fiondandosi sulla poltrona della Sala Comune dei Grifondoro davanti al fuoco scoppiettante. Anche solo il pensiero del calore che le fiamme emanavano fece sentire Hermione meglio. Anche se pochi istanti dopo un'altra folata di vento la investì in pieno, riportandola al gelido presente e facendola indietreggiare di qualche passo.

«Per Merlino!», esclamò mentre riprendeva l'equilibrio, sistemandosi di nuovo il cappuccio in testa dopo che il vento glielo aveva fatto scivolare via. Sbuffando, la ragazza si ficcò le mani in tasca e riprese la salita.

«Perché non sei rimasta nella tua torre, grifone?».

Hermione si voltò spiando da sopra il bordo della sciarpa, che quasi gli copriva tutto il volto ormai, la figura che si avvicinava a lei. con il soffio del vento nelle orecchie non riusciva a distinguerla con chiarezza, ma gli bastò notare il verde e l'argento sul mantello del ragazzo per capire chi fosse. Soltanto un Serpeverde si sarebbe preso la briga di infastidirla anche con quel gelo.

«E tu, serpente?», le chiese di rimando lei, aspettandolo.

Draco si fermò ad un metro da lei. Indossava dei guanti di pelle ed una sciarpa nero e argento intorno al collo, sul capo un cappello di lana scuro che gli nascondeva la chioma bionda. I suoi occhi, quel giorno erano lo stesso colore delle nuvolo nel cielo sopra le loro teste. A Hermione ciò non piacque: di solito, quando una tempesta si impossessava dei suoi occhi, era intrattabile.

«Sono venuto a vedere San Potter cadere dalla scopa».

Hermione sbuffò, ma sapeva che il ragazzo non poteva vederla o sentirla con la sciarpa che gli copriva le labbra. «Sei venuto a congelare il tuo regale sedere soltanto per vedere Harry cadere», ripeté lei con tono annoiato. «Sul serio, Malfoy?».

Il ragazzo annuì, con una strana luce negli occhi e un ghigno sulle labbra pallide.

«Mai preso in considerazione l'idea di farti un giro al San Mungo? Magari lì hanno la cura per la tua malattia». Detto ciò, la ragazza gli diede le spalle e riprese a camminare. Ora come ora, non sapeva nemmeno perché si era presa la briga di aspettarlo.

«Tu però non hai risposto alla mia domanda», gli giunse la voce del ragazzo dalle sue spalle, ovattata dal suono del vento ma non abbastanza da coprirla del tutto.

«Perché è una domanda stupida», gli rispose lei di rimando.

Hermione lo sentì ridere. «Perché sono i tuoi amici», la schernì.

La ragazza tenne la calma. «Sì, Malfoy. Di solito questo fanno gli amici tra di loro: passano il tempo insieme. E dato che ci andava tutta la mia Casa, non avevo nemmeno questa grande scelta». Di certo sarebbe stato molto meglio restare in biblioteca con un libro ad osservare la pioggia cadere a dirotto fuori dalla scuola. Nulla di meglio per rilassarsi, a parere della ragazza.

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