Una giornta poco normale

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La sveglia suona puntuale alle 5.30.
Con una mano spengo il cellulare e accendo la lampada sul mio comodino.
La luce serve a non permettermi di addormentarmi di nuovo. Non ho mai potuto dormire se nella stanza c'era anche solo una piccola lucina, negli anni mi sono un po' ammorbidita, nel senso che ormai arrivò al letto talmente stanca che se anche c'è una piccola infiltrazione di luce non ho né il tempo né la voglia di alzarmi a cercare di coprirla.
In ogni modo, la notte è trascorsa, più o meno, visto che ancora fuori l'alba non si vede.
Apro le persiane su un cielo ancora buio e apparentemente nuvoloso, siamo a ottobre, quasi novembre e Torino inizia ad assumere quel l'aria vagamente retro' e languidamente grigia che ho sempre amato.
Vado in cucina, accendo la macchina del caffè e mentre aspetto che si scaldi mi dirigo in bagno e apro il rubinetto della doccia.
Attendo che l'acqua arrivi bollente, tolgo il pigiama e l'intimo buttandoli nel cesto della biancheria e mi infilo sotto il getto.
L'acqua mi scorre addosso, tiepida, svegliando i miei sensi e la mia mente.
La mia testa inizia a ripassare ciò che dovrò fare oggi, visite mediche, visite mediche, visite mediche, reparto bambini e poi forse potrò tornare a casa.
Sono un medico e questo è il mio lavoro, quello che ho scelto, quello che ho voluto e che ho raggiunto con fatica e costanza. Mi sono laureata prima del tempo, a ventiquattro anni ero già medico, ora a ventotto sono il più giovane ortopedico  dell'ospedale "Umberto I".
Sono fiera di me, si, ma non appagata! Non sono arrivata ancora da nessuna parte. Io, Caterina Donati, la più giovane dottoressa d'Italia non mi sento per nulla "arrivata" sto ancora percorrendo la mia strada che spero essere molto lunga.
Esco dalla doccia e mi dirigo in cucina. Il gorgoglio della macchina del caffè mi fa spuntare un sorriso, non potrei viver senza questa nera bevanda. Prendo la mia tazza preferita con lo stemma della Juve , ci verso del latte scremato, la infilo nel microonde e metto una tazzina da caffè sotto la macchinetta. Spingo il tasto che fa uscire l'inconfondibile aroma e bevanda dal colore scuro. Il contrasto con il bianco della tazza mi fa pensare ancora alla mia squadra del cuore. Juventus, bianco e nero, latte e caffè, strisce a contrasto esattamente come la mia anima. Sono così, senza compromessi, o è bianco oppure è nero, le sfumature di grigio, per quante possano essere non mi interessano, i compromessi non mi sono mai interessati che fossero sul lavoro oppure nella vita.
Faccio colazione in quindici minuti. Poso tutto nel lavello e torno in camera. So già cosa indosserò e come mi preparerò. Apro la porta del bagno. Chiudo la finestra che ha rinfrescato la stanza. Prendo lo spazzolino e mi lavo i denti. Subito dopo è il momento del trucco. La mia pochette si trova esattamente dove l'ho lasciata, prendo il fondotinta, i pennelli, la matita per gli occhi, il mascara e il rossetto a lunga tenuta. Fa tutto parte del mio rituale di "sicurezza", il trucco è' solo la maschera della mia corazza. Sarò pronta solo dopo essermi vestita, a quel punto la mia armatura sarà completa e io potrò uscire sicura di me. L'insicurezza non mi piace, la combatto, fosse anche solo con una mano di trucco.
In dieci minuti sono pronta.
L'effetto è definito ma non troppo evidente, sofisticato ma non sfacciato, preciso ma non finto. Il nero del kajal incornicia i miei occhi scuri, il fondotinta da uniformità al mio incarnato, i rossetti nude-look definisce ma non attira troppa l'attenzione.
Aperte le ante del l'armadio estraggo un tubino verde sottobosco con il bordo di pizzo dello stesso colore, mi infilo le calze nere coprenti, l'abito mi scivola addosso perfetto, sopra le maniche corte metto un giacchino di pelle che mi arriva in vita, infilo le parigine nere con il tacco, metto gli orecchini di perle che non possono mancare, spruzzo il mio profumo sui polsi e sul collo, guardo la mia figura nello specchio e decido che va bene così, l'armatura per oggi è perfetta.
Non sono una donna che passa inosservata lo so, il mio metro e settanta centimetri di altezza mi mette sopra la media, la mia quarta coppa "c" di reggiseno attira di per se l'attenzione, non sono troppo magra ma nemmeno sovrappeso, diciamo pure che le curve sono esattamente posizionate dove devono essere. Ho fatto pace con il mio corpo tempo fa, ho imparato ad accettarmi così come sono quindi chi se ne frega di ciò che la gente può pensare, tanto la gente trova sempre il modo di pensare male.
Prendo la borsetta e ci infilo dentro il cellulare, le sigarette (uno dei miei vizi!). Nella borsa da lavoro introduco l'Ipad, e l'agenda perché va bene la tecnologia ma senza cartaceo non potrei vivere.
Chiudo tutto, dalla cassettiera afferro le chiavi della mia auto, quelle di casa e le metto nelle tasche della giacca leggera che ho infilato. Mi guardò un attimo in giro chiedendomi se ho dimenticato qualcosa e mi rispondo di no, do' un ultima occhiata al mio appartamento consapevole che lo rivedrò tra molte ore e con molte meno energie.
Scendo le scale ed esco nel grigio perlato della mattina torinese. Apro il garage, salgo sulla mia Mercedes classe A, le borse sul sedile del passeggero, accendo l'auto, il display del navigatore indica le 6.35, in perfetto orario avrò anche il tempo per prendere un secondo essenziale caffè.
Mancano dieci minuti alle 7.00 quando il mio telefono prende a squillare. Sullo schermo dell'auto appare il nome di Mario Castellani, il mio superiore, il mio mentore, il primario del reparto di ortopedia e medicina sportiva.
Non mi chiedo nemmeno che cosa vorrà a quest'ora, se mi chiama un motivo valido sicuramente c'è.
Spingo il tasto di risposta dal volante.
"Buongiorno professore"
"Ciao Caterina, scusa l'orario in cui ti disturbo"
"Lei non mi disturba mai professore! Poi sto andando in ospedale quindi..."
"Lo so che sei sempre puntuale e precisa...ti chiamo perché devo scombussolare la tua giornata lavorativa e so che questo non ti piace..."
No, decisamente non mi piace. Non amo le sorprese e ancora meno gli imprevisti, ma se è Mario a chiedermi dei cambiamenti non posso che accettare, non  me lo chiederebbe se non fosse necessario.
"Lei mi conosce troppo bene professore...non si preoccupi, mi dica cosa devo fare e sarà fatto!"
"Non ho dubbi su questo...infatti lo chiedo a te e non ad altri...oggi non posso essere in ospedale, devo andare ad un convegno a Roma e starò via qualche giorno..."
"Si professore, lo sapevo." Rispondo attendendo altre delucidazioni.
"Ecco...domani avrei dovuto svolgere le prove dello sforzo sui ragazzi...ma pare che per motivi organizzativi abbiano chiesto di anticipare ad oggi le visite mediche. Ti sarei immensamente grato Caterina se fossi tu a svolgere le prove...conosco la tua scrupolosità e mi fido dei tuoi giudizi....so che ti chiedo uno stravolgimento di giornata..."
"No professore, non si preoccupi lo farò volentieri...mi dovrebbe solo dire a che ora arrivano questi ragazzi e quanti sono...giusto per potermi organizzare." Gli rispondo così, mentre guido e il traffico è ancora scorrevole, pensando a come dovrò riorganizzare la giornata, a quanto tempo impiegherò per fare queste prove di sforzo a questi ragazzi che non so chi siano, comunque è un favore che mi chiede e io devo mettere da parte la mia proverbiale irritazione verso i cambiamenti dell'ultimo momento.
Riprende a parlare e io rimango in ascolto.
"Scusa Caterina, ormai sto invecchiando e mi scordo le cose! Davo per scontato che tu sapessi...la squadra arriverà alle 9.00, di solito la Juventus è sempre precisa in queste  cose non dovrai aspettare, sono in 25, devono fare tutte le prove dello sforzo con spirometria e elettrocardio..."
Il semaforo diventa rosso e io pesto il pedale del freno con tutto il piede. Forse non ho capito, nella mia mente passano a caratteri luminosi tre parole: squadra, Juventus, 25" il tutto a Led iper luminosi.
Castellani continua a parlare, spirometrie, elettrocardiogramma...ma io sto perdendo il filo. Cerchiamo di capire: devo sottoporre la mia squadra del cuore alle prove dello sforzo? Il tutto in questa mattinata?
Decido di interromperlo.
"Mario, scusa, forse non ho capito bene...mi stai chiedendo di fare la prova dello sforzo ad ogni singolo giocatore della Juventus? Questa mattina?"
"Caterina, quando mi chiami Mario vuol dire che sei alterata!"
Ride. Lui ride. Io sono sconvolta e lui ride. Perfetto!
"No, non sono alterata...ehm...sto cercando di capire..."
"Lo so, lo so. Ti conosco bene! Ti sto chiedendo un grande favore altrimenti tutto andrebbe scombussolato per loro è per noi...gli esami sono di routine, più approfonditi perché parliamo di atleti, ma tu sei perfettamente in grado di svolgere ogni cosa correttamente. Li ho già avvertiti che ci sarai tu"
"Grazie della fiducia, ne sono lusingata...cercherò di fare del mio meglio...ma Mario...scusa se te lo chiedo...hai comunicato che sono una donna?"
Ride, di nuovo ride e la cosa sta iniziando a snervarmi. Non ci sono donne nello staff medico delle squadre di serie A, non in quelle più importanti per lo meno e non che io sappia!
"Li ho avvertiti, tranquilla, non ci sono problemi. Fai il tuo lavoro come sai fare e andrà tutto bene."
"Farò del mio meglio."
"Non ho il minimo dubbio"
Beato lui che non ha dubbi, a me appaiono nella mente solo punti di domanda.
"Devo salutarti Caterina, tra due ore ho l'aere. Ci sentiamo in serata così mi riferirai. Anche questa è una buona occasione per fare esperienza non dimenticarlo."
"Certo professore. Ci sentiamo stasera. Grazie. Buona giornata."
"A te dottoressa Donati."
Riaggancio la chiamata e in quel preciso istante penso che la mia non sarà una giornata come le altre.

L'altro battitoWhere stories live. Discover now