Capitolo 9

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Erano passate più di due ore da quando Zac era entrato nella mia stanza e la mia testa era finalmente leggera, libera da pensieri indesiderati.
Zac mi raccontò del periodo passato in orfanotrofio e di come una sua maestra si era affezionata a lui, aiutandolo successivamente a studiare qui per realizzare il suo sogno.
Ad ogni tassello che aggiungevo al grande puzzle che era la vita di Zac, apprezzavo sempre più la sua forza e la sua umiltà.

Verso le cinque del pomeriggio fece il suo ingresso in stanza Katherine in tutto il suo splendore ma rimase bloccata sull'uscio non appena vide Zac Bennett seduto alla sua scrivania.

Feci le dovute presentazioni senza badare all'espressione sconcertata della mia amica e dopo poco il gigante biondo decise di tornare alla confraternita per lasciarci sole.
-Bene bene, Sophia si sta dando da fare. – ammiccò lei gettandosi sul mio letto.
Sbuffai senza rispondere a quelle sue insinuazioni. Non lo avevo guardato neanche per un istante da quel punto di vista, forse perché l'unica persona che aveva scaturito quel tipo di attrazione in me nell'ultimo periodo era un certo professore psicologicamente instabile.
-Non pensi che io possa avere amici maschi? - le chiesi finendo la seconda birra di quella sera e sentendo già che l'alcool iniziava a fare il suo effetto.
-Penso che sia meglio per te avvicinarti a ragazzi come Zac e allontanarti da uomini bipolari come Miller. - mi rispose lei seria mentre si sfilava le decolleté rosa.
Nell'udire le sue parole, immaginai che se come nei film sarebbero potuti apparire sulle mie spalle l'angelo buono e il diavolo cattivo per dirmi cosa fare in situazioni difficili, probabilmente il mio angelo avrebbe dovuto essere Katherine Ivanova.
Recepii il messaggio che cercava di inviarmi la mia migliore amica e capii che per il mio bene avrei dovuto smetterla di concedere attenzioni al professore e guardarmi intorno cercando un tipo adatto a me e, soprattutto, della mia età.

Il lunedì mattina alla U.M poteva essere descritto efficacemente con una famosa opera di Much: l'urlo. Anche il mio corpo come quello del protagonista del quadro era molle e scoordinato mentre gli occhi erano allucinati e persi nel vuoto.

Mi trascinai da un'aula all'altra prestando pochissima attenzione a tutti i corsi, la mia energia vitale era pari a zero. Ricordandomi all'ultimo minuto che le ultime due ore di quella mattinata sarebbero state di filosofia, mi avviai verso l'aula in cui si sarebbe tenuta l'unica lezione a cui probabilmente avrei prestato più attenzione. Strusciando i piedi al suolo come se ad essi fossero legati due macigni, entrai nell'abitacolo.
Mr. Miller era già in aula, seduto alla cattedra consultava un libro di testo e aspettava che tutti gli alunni si fossero accomodati per dare inizio alla lezione del giorno.
Quando anche l'ultima studentessa si era seduta al suo posto iniziò la prima intensa lezione su Schopenhauer.
-Oggi parleremo di un grande pensatore del diciannovesimo secolo. - esordì lui.
Notai dalla sua voce e dai movimenti una certa stanchezza, mancanza di energia e mancanza di concentrazione, molto spesso mi accorsi del fatto che perdeva il filo del discorso e rimaneva a fissare il vuoto prima di riprendere da dove si era interrotto.
Ricollegai i suoi atteggiamenti ai sintomi che solitamente si affibbiavano ai depressi, nonostante sapessi che non era il suo caso, nel vederlo così mi prese una stretta al cuore.
-Le principali opere che ricordiamo sono "Il mondo come rappresentazione e volontà", "Parerga e Paralipomena" e... - lo vidi bloccarsi improvvisamente durante la spiegazione.

I suoi occhi erano sgranati come se non capisse cosa stesse succedendo, come se non si spiegasse il perché di un vuoto di memoria del genere. Si portò una mano tra i capelli strattonandoli leggermente mentre cercava di ricordare il nome della terza opera.
- "Sulla quadruplice radice del principio di ragion sufficiente". - affermai ad alta voce.
Gli corsi in aiuto senza esitare, vederlo così esasperato, privo di speranza e perso nei suoi stessi discorsi mi aveva fatto provare angoscia e compassione nei suoi confronti. Solo una persona senza cuore non l'avrebbe aiutato notando che era in difficoltà
-S-si. - cercò di dire lui sorpreso e contemporaneamente sollevato.
-Miss White vorrebbe aiutarmi a presentare la prima opera che ho illustrato? - chiese con un tenero ed amaro sorriso sulle labbra, celando nella sua richiesta un ulteriore aiuto.
Lessi tra le righe una richiesta di sostegno per quella lezione che gli stava costando uno sforzo esagerato. Mi alzai dalla mia sedia con un block-notes di appunti in mano mentre lui si sedette sulla cattedra guardandomi attentamente e con profonda gratitudine.
-Penso che la frase più importante che può racchiude tutto il pensiero di Schopenhauer sia questa: "La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia" – lessi lentamente i pochi appunti che avevo accumulato leggendo i libri in biblioteca la settimana precedente.
L'argomento del giorno era il meno adatto a una situazione del genere e avevo la sensazione di star peggiorando le cose con quella citazione deprimente. Così dopo una rapida occhiata a Mr. Miller, che totalmente apatico teneva lo sguardo basso, iniziai a fare quello che mi riusciva meglio: sdrammatizzare.
-Questa frase sicuramente non è delle più gioiose nella filosofia del diciannovesimo secolo ma dobbiamo capire che il nostro amicone Arthur Schopenhauer dalla vita aveva avuto poche gioie e quasi sicuramente nessuna donna nel letto. - avevo staccato il collegamento cervello bocca, questa volta intenzionalmente, e lasciai che un po' di questo mio sciocco umorismo potesse alleggerire l'aria pesante che si respirava in aula quel mattino.

The professor Where stories live. Discover now