Capitolo 29

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Dopo una doccia calda mi sentii più presentabili per l'imminente appuntamento. Lasciai la mia stanza non appena fui pronta, nel mio completo preferito blu notte, e mi diressi verso la fermata del bus che portava in città.
L'autobus arrivò non appena mi sedetti sulla panchina per aspettarlo; in pochi minuti ero già arrivata nei presi del ristorante dove avevo appuntamento e a grandi falcate raggiunsi l'entrata del Old Lisbon Restaurant.
Non appena vidi Jack Richards seduto sulla sedia verde pastello mi avvicinai al tavolo.
Il dottore era un uomo sulla quarantina nativo del Canada, aveva i capelli castani brizzolati e gli occhi scuri; con disinvoltura, mentre guardava il menù, si rimboccava le maniche della camicia celestina che aderiva perfettamente sui bicipiti.
-Buon giorno! – esclamai davanti al tavolo per attirare la sua attenzione.
Non appena mi vide un brillante sorriso comparve sul suo volto coperto da un accenno di barba.
-Sophia White, quanto tempo! – si alzò per lasciarmi due baci sulle guance insieme a una rapida stretta che avrebbe dovuto essere un abbraccio.
Mi accomodai al tavolo e aspettai che iniziasse la sua lunga lista di domande.
-Rilassati. Ora mangeremo e chiacchiereremo come due vecchi amici. –  puntualizzò lui, probabilmente perché aveva notato quanto ero incordata.

Feci un sospiro di sollievo nel sapere che aveva perfettamente compreso ciò che stavo pensando.

Quando il cameriere si piazzò davanti al nostro tavolo, ordinai una bistecca con riso.
-Per me un petto di pollo alla griglia con patatine. Il tutto accompagnato da un Chenin Blanc, se è possibile. –  disse con disinvoltura Jack chiudendo il menù per poi poggiarsi allo schienale ed analizzarmi con i suoi occhi color caramello.  
Quando i suoi occhi entrarono in contatto con i miei, imbarazzata, abbassai lo sguardo sulle posate davanti a me.
-La facoltà di psicologia è come te l'aspettavi? – chiese lui.
Capii dalla sua domanda, che per iniziare avrebbe utilizzato un approccio più "soft" e meno invasivo, così da non farmi agitare; lo apprezzai molto perché in un istante mi tranquillizzai.
-Molto meglio! Ci sono delle cose molto interessati, come per esempio i seminari che ho seguito. – mi affrettai a spiegargli con disinvoltura.
-Sono felice che tu abbia preso questa strada. Gli esami?
-Da lunedì inizieranno.
-Miss Ivanova sta bene?
-Sì, sta bene. È difficile che Kath si metta in mezzo a dei problemi. – scrollai le spalle.
-Mentre tu attiri i problemi come una calamita? –  chiese lui ridendo e mostrando la perfetta dentatura.
Istintivamente mi morsi il labbro per trattenere le risate pensando a tutte le volte che mi aveva definito con quel suo scioglilingua "calamita per le calamità". Durante le nostre prime sedute mi aveva dato quell'epiteto che per me rimase nella storia.
Quando il cameriere arrivò con il vino al nostro tavolo aleggiava un po' di tensione nell'aria a causa della domanda retorica.
-Problemi di cuore.- affermai portando il calice alle labbra mentre osservavo la reazione di lui.
Il mio psicoterapeuta scosse la testa divertito come se non riuscisse a credere che un ragazzo potesse sconvolgermi tanto da chiamare il mio vecchio psicoterapeuta. Purtroppo, non si trattava di un ragazzo qualunque, ma di un uomo maturo oltre che mio docente di filosofia.
-Hai attirato la mia curiosità. – affermò quando arrivarono i nostri piatti.
-Ho conosciuto un...ragazzo alla U.M. – sicuramente omettere alcune informazioni essenziali al proprio psicoterapeuta non era la scelta più saggia, ma non avrei mai potuto fargli sapere una cosa così grave, cioè che stavo violando le regole dell'Università oltre che quelle dello stato.
-Abbiamo iniziato a frequentarci nonostante ci fossero una serie di cose che non sapevo di lui. Ho scoperto ieri notte che un anno fa è morto il suo primo amore e che molto probabilmente io ero una sorta di "rimpiazzo". – sintetizzai il problema e glielo spiegai tutto d'un fiato. Non c'era bisogno dei dettagli, sarebbe bastato l'essenziale per farmi capire da lui.
-Capisco. – annuì lui attendendo che aggiungessi altro alle mie affermazioni.
-Forse si tratta di un tipo di lutto patologico. – supposi io.
-Cosa ti ha fatto credere di essere il suo rimpiazzo?
-Il fatto che quando è stato accusato di ciò non ha risposto. Chi tace acconsente. – spiegai io come se fosse ovvio il motivo di quella mia conclusione.
-Può tacere anche chi pensa che non valga la pena ribattere. Non credi?
Tutte le domande di Jack che si concludevano con un "non credi?" erano retoriche, perché lui era consapevole del fatto che io avevo torto e con il suo aiuto avrei visto la situazione da un altro punto di vista.
-La mimica facciale faceva trasparire vergogna e tristezza. Non sdegno o rabbia.
-Hai letto Paul Ekman? –  chiese lui divertito con il suo tipico sorrisetto comprensivo.
-Già. – confermai spostando gli occhi sulla mia bistecca di nuovo imbarazzata per il fatto che ormai per lui ero un libro aperto.
-Ritieni molto più importante la tua interpretazione della mimica facciale rispetto alle parole del ragazzo? –  mi chiese d'un tratto.
Bloccai la forchettata a mezz'aria dopo questa sua domanda. Mi aveva per l'ennesima volta colta alla sprovvista. Riflettei per un istante se tutti quei pensieri che avevo formato negli ultimi giorni erano solo frutto delle mie paranoie sciocche. Christian non aveva mai detto che io ero per lui solo una "copia" e che quello che avevamo creato era solo una mia illusione.
-Interpreterò il tuo silenzio come un "no". – scherzò contagiandomi con il suo sorriso affettuoso.
Da sempre avevo ammirato il modo in cui Jack Richards manteneva la calma e riusciva a trasmettere la tranquillità anche ai suoi pazienti. Ci fu un tempo in cui ero follemente cotta di lui, proprio perché era una figura nella quale trovavo un forte senso di protezione; per non parlare del fatto che era estremamente carismatico ed attraente.
-E pensare che un tempo mi piacevi. – mormorai io ripensando ai vecchi anni di liceo.
-Mi ricordo il tuo periodo di transfert. Ho perso il mio fascino dunque...– scherzò lui facendomi l'occhiolino.
Mi ricordavano come fosse ieri il giorno in cui mi ero presentata alla nostra seduta e gli avevo confessato che ero innamorata di lui; Jack aveva iniziato a spiegarmi che stavo fraintendo e che si trattava di semplice transfert cioè che trasferivo i sentimenti che avevo provato per una figura significativa verso il mio psicoterapeuta. A quei tempi avevo iniziato a odiarlo perché non prendeva sul serio i miei sentimenti. Dopo molto anni capii che i miei erano veri sentimenti nei suoi confronti ma la distanza mi aveva permesso di dimenticarlo.
-Invece tu? La tua compagna? –  chiesi spostando l'attenzione su di lui, una cosa che non gli era mai piaciuta. Solitamente le domande era lui a farle.
-Ex compagna. A quanto pare tendo a psicoanalizzare tutto e tutti. – minimizzò lui trattando l'argomento con trascuratezza, come se ormai fosse acqua passata.
-Capisco.
Non appena finii il mio pasto Jack insistette per prendere anche un dessert, consapevole di quanto fossi golosa.
-Crem Caramel? – mi stuzzicò l'uomo davanti a me con la sua proposta.
-Assolutamente. – confermai felice come una bambina.
Mi gustai il delizioso dolce mentre chiedevo al mio interlocutore alcuni approfondimenti su degli argomenti di psicologia.
-Pensavo di portare all'esame di storia della psicologia un paragone tra Freud e Jung nel modo di vedere diverso che avevano sull'inconscio. – spiegai aspettando una sua opinione sulla mia idea.
-Interessante come argomento. Inviami poi via mail la bozza di questo tuo approfondimento e ti darò qualche consiglio.
In quel ristorante con una musichetta di sottofondo, mi sentivo più rilassata e serena rispetto a quando ero partita da casa e dovevo ringraziare Jack per tutto quello.
-La prossima settimana verrò alla tua facoltà a tenere una conferenza. Spero tu ci sia. – mi guardò speranzoso mentre finiva di mangiare l'ultimo cucchiaino del suo dessert.
-Sarò in prima fila Jack! – disegnai un sorriso a trentadue denti sul mio viso pensando al fatto che avrei di nuovo rivisto quell'uomo tanto gentile e che non ci saremmo di nuovo persi di vista come quando ero andata via dalla mia città natale.
Purtroppo, il mio sorriso si spense quando a un paio di tavoli dietro al nostro si sedette l'ultimo uomo che potevo immaginare sarebbe apparso in quel ristorante.
Christian Miller nel suo completo griffato nero con una valigetta di pelle si era accomodato ad un tavolo per due.
-Sembra tu abbia visto un fantasma. – attirò la mia attenzione l'uomo al mio tavolo mentre provava a voltarsi alla ricerca di non si sa chi.
Posai la mia mano sulla sua con l'intento di impedirgli di voltarsi e di spostare nuovamente la sua attenzione su di me. Senza accorgermene quel mio gesto non aveva attirato l'attenzione solo di Jack, ma anche del caro professore di filosofia.
-Mi ero solo ricordata un impegno. – mi affrettai a inventare una scusa plausibile.
Sotto il mio tocco il mio terapista si irrigidì e mi guardò sorpreso; imbarazzata ritirai la mano e iniziai a torturarmi il labbro inferiore.
-Ti accompagno al campus? – chiese fingendo che quel mio gesto non ci fosse mai stato.
-Non vorrei disturbarti.
-Non mi disturbi mai tu. – si affrettò a dire tranquillizzandomi con un sorriso gentile.
Ci alzammo contemporaneamente e quando mi voltai verso l'uscita Jack poggiò la sua mano sulla mia schiena in modo affettuoso. In quell'istante i miei occhi stupiti incontrarono quelli Christian Miller, il quale contrariato scuoteva la testa impercettibilmente. Una certa ansia mi stava opprimendo come un peso sul petto impedendomi di fare respiri regolari.

The professor Where stories live. Discover now