Capitolo 10

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Non sentivo e non vedevo nulla da quasi un'ora, la mia mente era annebbiata dalle emozioni che quell'abbraccio mi stava provocando.
Tornai alla realtà quando sentii per l'ennesima volta il mio telefono che vibrava nella borsa senza sosta diventando fastidioso, lontana ormai dal petto muscoloso di Christian Miller, tirai fuori dalla borsa il cellulare. 
Lo smartphone era pieno di chiamate perse e di sms da Katherine, che non solo era molto preoccupata ma anche assai arrabbiata.
"Ti ho cercato ovunque dove sei??"
"Sei con quella Lola, Lili come si chiama?"
"Chiamo la polizia se non rispondi!"

Mi accorsi di essere tornata dal mio paradiso terrestre alla nuda e cruda realtà; capii che mi ero isolata in quelle dolci fantasie facendo preoccupare chi teneva veramente molto a me.
L'uomo dagli occhi verdi scuri come le foreste amazzoniche mi scrutava attentamente aspettando che rispondessi a quei messaggi allarmati.
Digitai rapidamente sulla tastiera un: "Sto bene, sto tornando in stanza."
Dopo aver premuto il tasto INVIO, si fece largo nel mio inconscio la consapevolezza che non appena avrei varcato la soglia del planetario sarebbe finito tutto. Avevo la gola secca ed ero completamente pietrificata sulla poltroncina color rubino, aspettavo una sua parola di conforto o anche un mezzo sorriso per cancellare quei brutti pensieri.
-Vorrei riaccompagnarti in stanza ma non posso. - la sua voce era calma e sul suo viso si dipinse uno sguardo premuroso, tenero ma anche dispiaciuto.
Annuii impercettibilmente tenendo gli occhi piantati sulle mie mani continuavano a torturarsi sulle gambe nude. Apprezzai le sue parole anche se non avrei voluto muovermi da lì.
Mi alzai dopo poco dalla mia postazione mettendomi la borsa su una spalla, con mia grande sorpresa anche lui si alzò e mi circondò le spalle per l'ultima volta con le sue braccia, lasciandomi infine un leggero bacio sulla fronte.
Le gambe, ancora tremolanti per quel gesto pieno di dolcezza, mi trascinarono fuori dall'abitacolo lasciando lì l'uomo che per l'ennesima volta mi aveva scombussolato.

Mi affrettai ad arrivare alla mia stanza prima che la mia amica chiamasse i vigili del fuoco e tutte le forze armate; i passi erano sempre più veloci per divenire in fine una leggera corsetta.

-Sono viva! - esclamai non appena spalancai la porta della stanza e mi materializzai dentro di essa.
-Finalmente! Dove tieni quel telefono del...? - mi saltò tra le braccia facendomi percepire la sua ansia attraverso la quella forte stretta attorno alle spalle.
-Del cazzo? - completai con l'imprecazione che stava trattenendo, per poi sussurrarle nei capelli dorati: -Scusami, ero al planetario.
Lasciai cadere la borsa accanto al letto e iniziai a spiegarle il motivo delle mie mancate risposte ai messaggi e alle chiamate. La gioia che provavo in quel momento vinse su qualsiasi dubbio che era nato in me nei giorni precedenti, sul mio viso era comparso un sorriso ebete mentre descrivevo ciò che avevo vissuto in quel luogo magico.
In quell'istante non mi importava di sembrare ridicola, di apparire come una ragazzina alle prese con la prima cotta perché la serenità che sentivo era al di sopra di qualsiasi altra cosa, anche al di sopra degli avvertimenti di un'amica contrariata.

I suoni metallici emessi dallo smartphone mi svegliarono il martedì mattina e mi ricordarono che anche quella volta ero sola nella mia camera e quindi era assente colei che mi buttava giù dal letto solitamente. Riluttante alzai il fondoschiena dal materasso e mi andai a preparare per una giornata piena di studio e molto pesante.
Mentre mi spazzolavo i lunghi capelli castani davanti allo specchio ripercorsi con la mente gli avvenimenti della sera precedente e non potei far altro che chiedermi cosa mi sarei dovuta aspettare quella mattina a lezione di filosofia e con quale atteggiamento si sarebbe posto lui nei miei confronti dopo quello che avevamo condiviso.
Le lezioni del giorno non furono stancanti come pensai io o, probabilmente, ero consapevole del fatto che nulla sarebbe potuto essere più pesante dell'ora di filosofia.
Feci il mio ingresso qualche secondo prima dell'inizio della lezione rischiando di arrivare in ritardo e fare una brutta figura. Trovai nell'aula meno studenti rispetto al solito e infondo all'aula, sulla lavagna, Mr. Miller di spalle scriveva a caratteri cubitali "Il velo di Maya".
Mi accomodai a quello che ormai era diventato il mio posto fisso ma senza nascondermi dietro al solito studente robusto che quel giorno era assente, il mio intento era quello di farmi vedere bene da lui e di vedere a mia volta sia i suoi occhi sia che cosa gli stesse passando per quella sua testolina contorta.
Non appena si voltò, il professore passò in rassegna tutti i banchi dell'aula, quando rilevò la mia presenza, l'emozione che riuscii a percepire dal suo volto fu una sorta di sollievo.  Quella sua espressione rilassata fu un balsamo per la mia anima piena dei dubbi che mi trascinavo dietro da quando mi ero svegliata.
-Questo velo di cui parla Shopenhauer separa noi esseri umani dalla autentica percezione della realtà, imprigionandoci nel ciclo di morte-rinascita, impedendoci la liberazione definitiva...- iniziò la spiegazione muovendosi all'interno dell'aula.

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