Capitolo 26

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Christian Miller, giovane docente di filosofia, sembrava essere il padrone della tristezza, si immergeva in essa, si faceva catturare dai suoi numerosi filamenti, apprezzava le sue sfumature sottili. Si creava intorno un guscio fatto di tristezza e melanconia. Il suo sguardo perso e addolorato avrebbe potuto ispirare i migliori drammaturghi della storia.
Lo osservai mentre si crogiolava nel suo dispiacere e attesi una sua risposta.
-Perché questa domanda? – chiese dopo qualche minuto, in un attimo la frustrazione e la collera prese il posto della tristezza ponendomi in una condizione ancora più scomoda.
-Perché non rispondi mai alle mie domande Christian? –  chiesi esasperata, evitando di tirar in ballo il nome di Lilianne Moore e soprattutto il taccuino su cui avevo sbirciato.
-Mi sembra di averti già detto che il mio passato deve rimanere tale. – fu l'unica cosa che mi disse prima di alzarsi aumentando le distanze tra noi sia fisicamente che emotivamente.
-Ed ora scapperai come fai sempre. –  sbuffai guardandolo mentre mi dava le spalle per guardare fuori dalla finestra.
I muscoli tesi sotto il tessuto di cotone, le mani strette a pugno lungo i fianchi era tutto quello che potevo vedere da quell'angolazione.
-Ti sbagli Sophia. Verrai con me. –  le parole uscirono fuori dalla sua bocca come un ordine.
Con un movimento rapido mi prese per mano e mi trascinò fuori dal dormitorio.
La luce fuoco del tramonto evidenziava i riflessi ramati dei suoi capelli e gli illuminava il viso triste, mentre io continuavo a seguirlo verso il parcheggio del campus.
Quando la camminata veloce finì mi ritrovai davanti ad una BMW X4 metallizzata, vidi il mio riflesso nei vetri oscurati e mi pentii di non essermi almeno legata i capelli. Christian, che ormai si contraddistingueva per la sua classe, mi aprì la portiera posando una mano sulla parte bassa della mia schiena per spingermi a sedere.
I raffinati interni in pelle, i tappetini in velluto e tutti gli allestimenti costosi di quell'auto mi facevano sentire fuori posto e per un attimo mi scordai che la meta verso cui eravamo diretti mi era sconosciuta. Mi sembrava di stare sui carboni ardenti più che su un sedile di pelle beige. Il cuore mi batteva nel petto più veloce di un battito di ali del colibrì e, veder diventare le nocche di Christian bianche mentre stringeva con rabbia il voltante, poteva solo far aumentare di più la mia irrequietezza.
La macchina si fermò lungo un sentiero e alla mia destra notai immediatamente, la conosciuta, insegna in ferro battuto del cimitero.
-Aspettami qui. –  mi ordinò senza guardarmi e uscendo sbattendo la portiera.
Lo seguii con lo sguardo mentre passava davanti alla costosa BMW, la testa era china e la mascella contratta faceva intravedere tutto il dolore che stava provando in quel momento.
La tristezza, come una stanchezza mi penetrava nell'anima, nella carne e mi stava creando dentro un immenso vuoto, una voragine.
Aspettare in quella macchina faceva solo aumentare la mia preoccupazione, sentivo un nodo alla gola come se mi mancasse l'ossigeno. Così uscii dall'auto e mi poggiai ad essa tirando una grande boccata d'aria riempiendo i polmoni e sperando che il vento sul viso mi potesse calmare.
Quando intravidi la figura slanciata di Christian avvicinarsi lo scrutai con attenzione; aveva gli occhi lucidi e le labbra tirate mentre le spalle erano abbassate e stanche. Con lo sguardo basso si avvicinò a me fino a far aderire i nostri corpi e poggiò la testa sulla mia spalla, non esitai un istante prima di stringerlo in un silenzioso e comprensivo abbraccio.
Forse provare a consolare un dolore inconsolabile come quello, era impossibile con una semplice stretta, nonostante io volessi concedergli, con quella stretta, di sentirsi libero di provare rabbia, angoscia e necessità di esplodere.
Quando mi accorsi che voleva evadere da quell'abbraccio lasciai cadere le braccia lungo il corpo e attesi una sua parola.
-Ti porto al campus. – affermò senza guardarmi ma, comunque, aprendomi di nuovo la portiera con premura.
Evitai di farmi sfuggire qualche parola di troppo, consapevole del fatto che mi stesse già facendo fare qualche passo in più verso la sua vita e verso i suoi segreti.
Durante l'intero tragitto guardai, fuori dal finestrino, come la notte stava calando mentre nell'auto risuonavano le note di "Because of you" di Kelly Clarkson; una canzone tanto bella quanto straziante.

The professor Where stories live. Discover now