Capitolo 17

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Sentivo gli organi interni contorcersi mentre la testa pulsava, ero indecisa se portare la mano al ventre o al capo per il dolore sparso. Aprii gli occhi ricordando come avevo concluso la serata. Le fitte erano sempre più forti e necessitavo di un qualche medicinale per placare il dolore.
-Ivanova! –  urlai mentre fissavo il soffitto, il tono alto aumentò l'emicrania e non potei trattenere una smorfia di dolore.
Nessuna risposta.
Sbuffai e allungai il braccio in cerca del cellulare sul comodino.
Erano passate le due di notte e il telefono aveva poca batteria, un messaggio della mia compagna di stanza mi avvisava che era andata dal fidanzato a dormire.
Mi trascinai lentamente dal letto e barcollante andai alla ricerca di qualche medicinale post-sbornia. Avevo controllato ogni angolo della stanza e non c'era neanche l'ombra di una pasticca. Avrei voluto buttarmi sotto le lenzuola ma i dolori iniziavano a peggiorare, così indossai una felpa larga sopra i vestiti che avevo indossato per uscire, per poi avviarmi verso il distributore farmaceutico automatico del campus.
Camminavo con il cappuccio in testa che impediva ai passanti di guardarmi, sentivo la terra sotto i miei piedi muoversi e il corpo diventata sempre più pesante.
Arrivata davanti al distributore feci scivolare la mia carta di credito nell'apposito spazio; il mio unico pensiero era che dovevo tornare in stanza prima di cadere a terra priva di sensi o vomitare in qualche cespuglio dell'Università.
Mi piegai per raccogliere la confezione di medicinali dal distributore per poi voltarmi di scatto e sbattere contro una figura muscolosa. L'impatto aumentò il mio mal di testa.
-Cazzo, scusa. – borbottai a testa bassa senza farmi vedere dall'interlocutore.
-Sophia. –  la voce conosciuta mi impedì di scappare.
Alzai lo sguardo e riconobbi i capelli biondi e i morbidi tratti di Zac Bennett.
-Che brutta cera White. – scherzò dandomi una leggera pacca sul braccio e facendomi perdere l'equilibrio. Il cielo stellato sopra di noi sembrava muoversi rapidamente.
Sentivo che sarei potuta cadere a terra più velocemente delle torri gemelle nel 2001, fortunatamente le sue braccia forti mi sorressero e mi impedirono di fare una tragica caduta.
Il movimento brusco fece aumentare il mio mal di testa e il senso di nausea.
-Zac, si muove tutto. – mormorai ridacchiando come un idiota.
-Ora ti porto in stanza. – disse mentre mi allacciava il braccio attorno alla vita e mi aiutava a camminare.
Sentivo il corpo sempre più pesante e ad ogni passo che facevo sentivo gli occhi chiudersi.
Non capivo cosa stava succedendo attorno a me, i suoni erano ovattati e la mia vista era offuscata, ma per fortuna il ragazzo accanto a me mi guidava nella giusta direzione.
-Sop... Mrs. White? - percepii la voce roca dell'uomo che ormai era diventata la mia ossessione. Per un istante credetti che al malore si stessero anche aggiungendo le allucinazioni e che la voce di Christian fosse pura fantasia.
-Mi scusi professore ma devo portarla in stanza urgentemente.- udii le parole di Zac, erano cortesi e gentili rispetto al tono severo e ostile del docente.
L'ultima cosa che sentirono le mie orecchie erano delle poteste da parte di Miller e poi il buio più totale mi avvolse tra le sue braccia accoglienti.

Su un morbido cuscino e tra calde lenzuola mi risvegliai e nessun dolore mi affliggeva più; la luce del sole mi accarezzava la pelle mentre mi giravo nel letto.
Ripercorsi con la mente gli avvenimenti dell'ultima ora e aprii gli occhi improvvisamente per perlustrare la stanza.
-Ben sveglia. – il ragazzo biondo dalle spalle larghe era seduto su una sedia accanto al mio letto e mi osservava divertito da quella mia espressione spaventata.
-Bennett. Tu mi hai portato in stanza. – dissi; non era una domanda perché ero già sicura di questa cosa, in fondo era l'unico ricordo che mi era rimasto della sera precedente.
-Già. –  confermò lui porgendomi un bicchiere d'acqua mentre io cercavo di alzarmi a sedere per non sembrare una malata terminale.
-Grazie per aver salvato questa giovane donzella. – gli sorrisi, sinceramente grata per il suo gesto.
-Forse intendevi una giovane alcolizzata. – scherzò lui fingendo una smorfia schifata. Mi fece scoppiare a ridere quella sua faccia buffa e quelle sue parole.
Non potevo dargli torto. Era orribile e patetica la situazione in cui mi ero fatta trovare da quel ragazzo e, nonostante questo, lui mi aveva soccorso impedendomi di ritrovarmi accasciata accanto alla macchinetta automatica dei medicinali.

The professor Where stories live. Discover now