Capitolo 30

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Il cappuccio mi copriva gli occhi mentre percorrevo con un'andatura veloce il campus in direzione delle aule. Il vento pomeridiano accarezzava gli alberi scuotendoli e facendo precipitare le ultime foglie rimaste aggrappate ai rami. Malgrado il freddo pungente, io continuavo a sentire forti vampate di calore causate dalla rabbia che mi ardeva dentro.
Ero una bomba ad orologeria e nessuno avrebbe potuto trovare il filo da tagliare per disinnescarmi, l'unico modo che avevo per calmarmi era esplodere.

La rabbia trattenuta durante gli ultimi minuti a causa delle offese subite mi aveva provocato muscoli tesi, un gran mal di testa e la mascella dolorante causata dal digrignare dei denti.
La porta dell'aula di filosofia era socchiusa facendo intravedere le luci al neon accese all'interno. Nel momento in cui mi trovai in prossimità di essa non seppi che fare, mi ero lasciata trascinare dai nervi senza pensare a cosa avrei detto a Christian, mi maledii mentalmente per non aver ragionato prima uscire dalla mia stanza e andare lì. Non avevo neanche pensato a cosa dirgli, ero totalmente in balia delle mie emozioni.
Mi feci coraggio. Sarebbe stato da vigliacchi tornare indietro; così, dopo un respiro profondo, varcai la soglia e mi chiusi la porta alle spalle.
In fondo alla grande stanza, dietro alla cattedra, il docente di filosofia stava digitando sul suo pc di ultima generazione e non sembrò essersi neanche reso conto della mia entrata in scena.

"Guarda come è tranquillo" dissi tra me e me mentre osservavo la sua espressione più che rilassata, ma infondo lui non aveva motivi per essere arrabbiato visto che tutte le offese me le ero subite io. Aveva messo troppe volte alla prova la mia pazienza che in quel momento era divenuta ira, rabbia e collera.
Mi diressi verso di lui lentamente senza neanche degnarmi di togliere il cappuccio e mi accomodai su un banco in prima fila, proprio sotto il suo naso.
-Sembra una fuori legge Miss White. –  commentò lui analizzandomi rapidamente con lo sguardo prima di tornare a fissare lo schermo davanti a sé.

Ero a pochi passi da lui ma questo non gli importava, nei suoi occhi non trapelava alcuna emozione, sembrava di trovarmi davanti ad un mimo.
Imbarazzata per il suo commento mi abbassai il cappuccio color pece e nascosi le mani nelle immense tasche della felpa.
-Volevo sentirle chiedere scusa con le mie orecchie, Mr. Miller. – spiegai cercando di far percepire la mia indignazione.
-Tra queste quattro mura non c'è nessuno che le debba delle scuse. – mi spiegò alzando l'indice per indicare lo spazio circostante in maniera teatrale.
-Sta scherzando? Nessuno le ha mai detto che è un vanesio arrogante? – pronunciai quelle parole a denti stretti e non riuscii più a rimanere poggiata allo schienale della sedia.
Sulle labbra contratte del docente comparve un sorrisetto obliquo, come se a stento riuscisse a trattenere le risate per quelle mie domande.
-Non mi avevano mai definito "vanesio arrogante" Miss White. –  i suoi occhi verdi e divertiti si spostarono dal monitor alla sottoscritta pietrificandomi in un modo tale che, a confronto Medusa era una principiante.

Quando ebbi la sua attenzione mi pentii di averla cercata precedentemente.
-V-vorrà dire che sarò la prima. - cercai di riprendermi e mostrare un minimo di contegno.
Persino nel suo silenzio c'era un'alta carica di tensione, simile ad un insieme di attrazione e repulsione. Non diceva nulla e mi guardava come se fosse lui che aspettava qualcosa da me.
-Sto aspettando. – mi sporsi verso di lui con sguardo di sfida.
-Anche io.
-E tu cosa staresti aspettando? – gli chiesi io alzando un angolo della bocca quasi divertita.
-Con chi eri oggi a pranzo? – si fece serio in un attimo e l'aria divertita che aveva precedentemente scomparve.
-Non sarebbero fatti tuoi, comunque era il mio psicoterapeuta. – borbottai poggiandomi nuovamente alla sedia e guardando da un'altra parte.
-Ah... – sembrò seriamente stupito da questa rivelazione mentre si grattava il mento.
Annuii con un sorrisetto sarcastico mentre lui si riprendeva dall'inaspettata notizia. Nonostante mi piacesse lasciarlo senza parole in quel momento non riuscii a gioire di quella mia piccola vittoria.
-Sono quindi costretto a chiederle scusa. Anche se ho visto come la guardava Miss White. – disse Christian alzandosi dalla sua sedia imbottita per poi fare il giro della scrivania e piazzarsi di fronte a me.
La camicia bianca aveva i primi bottoni sbottonati mostrando il collo leggermente abbronzato, mentre la mandibola era coperta da un accenno di barba ramata come i suoi capelli scompigliati.
-Ti stai sbagliando Christian. – mormorai riflettendo sulle sue insinuazioni su Jason. 
Ero fermamente convinta che il mio terapista mi vedesse come una ragazzina oltre che sua paziente, soprattutto dall'episodio in cui mi aveva respinta al liceo. Non considerai neanche per un istante che le parole di Christian fossero vere.
-Non credo, Sophia. – affermò, le sue labbra sembravano accarezzare il mio nome facendo scandire e dando importanza ad ogni singola lettera.
Quando notai l'eccessiva vicinanza che c'era tra me ed il docente iniziarono ad accumularsi tutte quelle sensazioni di spaesamento a cui ormai ero abituata; il suo profumo sembrava allucinogeno per il mio corpo, come anche i suoi intensi e scuri occhi.
-Ora sarebbe meglio che... – provai a dire prima che lui accorciasse ulteriormente le distanze.

The professor Where stories live. Discover now